
Partiamo come sempre dalle domande: oggi dalla domanda di Edoardo: “Caro direttore quali sono le novità riguardo la vicenda di Alberto Trentini il cooperante trattenuto ingiustamente in galera da Maduro?”
Chi è Alberto Trentini, innanzitutto.
Alberto Trentini ha 45 anni e viene da Venezia. Ed è un grande appassionato di cooperazione internazionale. Si è laureato alla Ca’ Foscari, l’università della sua città e ha proseguito gli studi all’estero, specializzandosi in assistenza umanitaria. Poi un master, in ingegneria delle acque e della salute. E poi un decennio abbondante in giro per il mondo. Etiopia, Nepal, Grecia, Libano e tanto Sud America. Una carriera che ha fatto di lui un giovane e brillante manager di diverse organizzazioni che si occupano di cooperazione internazionale.
Veniamo ai fatti. Trentini arriva in Venezuela il 17 ottobre 2024, nell’ambito di una missione umanitaria di Humanity & Inclusion, che aiuta le persone con disabilità. Il 15 novembre, viene fermato dalle autorità venezuelane, mentre sta andando in missione da Caracas a Guasdalito. Da quel giorno, a quanto ne sappiamo, è detenuto nelle carceri del Venezuela. Più precisamente nel carcere di El Rodeo I, nella periferia di Caracas. Senza alcun capo d’accusa formale a suo carico. Da allora, sono passati quasi 10 mesi. Ormai, quasi 300 giorni.
Perché è stato arrestato allora?
Informalmente, Trentini è accusato di cospirazione. In pratica, il governo Venezuelano crede che il cooperante italiano sia in contatto o lavori al soldi di gruppi, o servizi di intelligence che mirano a rovesciare o anche solo a indebolire il regime guidato dal presidente Nicolas Maduro. Un’accusa che non trova riscontro nelle informazioni raccolte dai nostri servizi segreti. A quanto scrivono i giornali che, come Repubblica, hanno avuto accesso a quelle informazioni, non risulta che Trentini sia mai stato in contatto con gruppi di opposizione a Maduro. L’unico legame accertato è con una ragazza che aveva conosciuto nel Paese, con cui aveva iniziato una relazione e che rappresenta il motivo per cui, tra gli altri, aveva scelto di recarsi in Venezuela.
Cosa sta facendo il governo per liberarlo?
Liberare Alberto Trentini è complicato. Innanzitutto, perché il nostro governo e il nostro Paese in generale, non è in ottimi rapporti con il Venezuela. Il 28 luglio del 2024, circa tre mesi e mezzo prima dell’arresto di Trentini, Nicolas Maduro ha rivinto le “elezioni” presidenziali venezuelane, le virgolette sono obbligatorie, e l’Italia non ha riconosciuto quel risultato e la legittimità del regime in carica. Probabilmente, non il biglietto da visita migliore per trattare. Non a caso sia il ministro degli esteri Antonio Tajani e il sottosegretario alla presidenza del consiglio, con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano, hanno parlato di situazione difficile, in cui ottenere qualcosa “non è semplicissimo”. La diplomazia, diciamo così, è prevalentemente affidata ai servizi di intelligence. Più precisamente all’Aise, i nostri servizi esteri. Che innanzitutto hanno il compito di accertarsi sul fatto che Alberto Trentini sia ancora vivo.
I familiari sono riusciti a sentirlo una volta sola, la sera del 16 maggio scorso. La chiamata, durata pochi minuti, è avvenuta dal carcere di “El Rodeo I”: Trentini ha rassicurato i genitori dicendo di stare bene e di essere in buone condizioni, spiegando di assumere regolarmente le medicine prescritte. Da allora, silenzio. Tranne una testimonianza. Quella di uno svizzero, cooperante pure lui, detenuto arbitrariamente pure lui. Che una volta liberato, nel luglio scorso, ha raccontato dettagli importanti sulla sorte di Alberto Trentini: “L’ho visto arrivare a Boleíta, nella direzione di Controspionaggio militare dove io ero stato trasferito dopo un primo periodo a El Rodeo I”, ha raccontato ad Avvenire. Racconta che era un grande fumatore, che era preoccupato per la salute dei genitore. E aggiunge: “Non merita di stare lì. E spero possa uscirne presto”. Il cooperante svizzero racconta anche delle torture subite in un Paese, e in un carcere, che è tristemente noto per le angherie che subiscono i suoi detenuti, per le sue condizioni igienico sanitarie al limite, per la presenza di gang di carcerati molto violenti.
Cosa potremmo fare, da oggi?
La madre di Alberto, Augusta, dopo il silenzio stampa autoimposto e richiesto ai media, sta chiedendo da mesi che il governo faccia qualcosa, qualcosa di più di quanto fatto sinora: l’ha fatto al festival del Cinema di Venezia, qualche giorno fa. E l’ha fatto anche il 15 luglio scorso, quando cadevano otto mesi dall’inizio della detenzione di Trentini: “Questo silenzio per me e la mia famiglia è insostenibile, il nostro Governo deve attivarsi come ha fatto quello svizzero con il compagno di prigionia di mio figlio che è stato liberato da poco e ha raccontato alla stampa le terribili condizioni di detenzione in cui si trova ancora Alberto". Lo svizzero, così come Alberto, è uno degli otre cinquanta cittadini stranieri arrestati nell’ultimo anno in Venezuela, arresti che secondo diversi analisti rispondono a una precisa strategia di diplomazia degli ostaggi: in altre parole il governo di Maduro vorrebbe usarli come merce di scambio con gli Stati Uniti e i governi alleati per far si che riconoscano la legittimità del regime di Maduro. Tu mi riconosci, o fai qualcosa per me, e io libero un tuo concittadino. Un po’ come ha provato a fare – riuscendoci – l’Iran con la giornalista italiana Cecilia Sala.
Perché con l’Iran sì e con il Venezuela no?
Questo si chiede la famiglia di Trentini. E ancora: perché la Svizzera è riuscita a liberare un suo concittadino e noi no? Sono domande che ci facciamo mentre Alberto Trentini è ancora in carcere. Senza sapere perché. Senza sapere esattamente dove. Senza sapere come sta. E sì probabilmente il governo non sta facendo abbastanza, come dice la famiglia. Ma qualcosa potremmo fare pure noi, giornali e opinioni pubblica. Ad esempio, parlare. E alzare la voce e fare rumore, ogni volta che possiamo.