
Partiamo come sempre dalle domande: oggi dalla domanda di Matteo:
“Ma davvero la Flotilla può rovinare il piano di pace di Trump a Gaza, come dice Meloni?”
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Bene. Ora torniamo alla domanda di Matteo
Due premesse necessarie.
Cosa ha detto Meloni? “La speranza di pace che si è aperta con il piano di Trump poggia su un equilibrio fragile, che in molti sarebbero felici di poter far saltare. Temo che un pretesto possa essere dato dal tentativo della Flotilla di forzare il blocco navale israeliano“.
Traduco: secondo Meloni, una quarantina di barche disarmate della Global Sumud Flotilla potrebbero far saltare il piano di pace proposto – pardon, imposto – da Donald Trump ad Hamas.
A prima vista, lo ammetto, può sembrare un’affermazione senza il minimo senso, che tradisce solo fastidio e antipatia verso la missione. Un po’ come quando ha detto che – testuale – una missione promossa da attivisti provenienti da 44 Paesi “utilizza una questione come la sofferenza del popolo palestinese per attaccare il governo italiano”.
Però voglio provare a rispondere seriamente a questa domanda: davvero il piano di pace di Trump è a rischio per colpa della Flotilla? Oppure, al contrario, è un piano destinato in partenza al fallimento e alla volontà di lasciare libere le mani di Israele per eliminare definitivamente i gazawi da Gaza e prendere il controllo della striscia?”
La risposta, più che nelle parole di Meloni, è proprio nel piano di Trump
Un piano che il presidente americano ha presentato lo scorso 30 settembre, a margine di un incontro bilaterale col premier israeliano Benjamin Netanyahu, che dice a sua volta di averlo approvato.
Il piano è articolato in venti punti. E vale la pena di leggerli e commentarli uno a uno. Per capire, soprattutto, perché è un’accozzaglia di buoni propositi, promesse irrealizzabili e regali a Israele, messi in fila senza alcun criterio e senza alcuna coerenza interna.
Scritto, in altre parole, solo come specchietto per le allodole. Per dire che si è fatto il possibile per evitare l’occupazione israeliana di Gaza. E per addossare su Hamas le colpe su ciò che accadrà dopo.
Partiamo.
Primo: Gaza sarà una zona deradicalizzata e libera dal terrorismo che non costituirà una minaccia per i suoi vicini.
Generalmente, quando si firma una pace, le armi si devono deporre in due. Se le depone uno solo, si chiama resa. Non pace. Chiedere lo scioglimento di Hamas – questo vuol dire questo primo punto – è certificare la resa senza condizioni di Gaza a Israele. Che a quel punto può fare quel che vuole di Gaza, anche fregarsene del piano di Trump. Cominciamo bene, insomma.
Due: Gaza sarà ricostruita a beneficio della popolazione di Gaza, che ha già sofferto abbastanza.
Questo vuol dire solo una cosa: che i gazawi non saranno deportati forzatamente, ma potranno restare a Gaza, se vorranno. Su quanto la nuova Gaza sarà per loro, tuttavia, nutriamo qualche dubbio. Ma è meglio non anticipare i punti.
Tre, quattro e cinque li diciamo assieme.
Tre: se entrambe le parti accetteranno questa proposta, la guerra finirà immediatamente. Le forze israeliane si ritireranno sulla linea concordata per prepararsi al rilascio degli ostaggi.
Quattro: entro 72 ore dall’accettazione pubblica di questo accordo da parte di Israele, tutti gli ostaggi, vivi e deceduti, saranno restituiti.
Cinque: Una volta che tutti gli ostaggi saranno stati liberati, Israele rilascerà 250 detenuti condannati all’ergastolo più 1.700 abitanti di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre 2023, comprese tutte le donne e i bambini detenuti in quel contesto.
Li traduciamo tutti assieme: nel momento in cui Hamas accetterà la proposta, avrà 72 ore di tempo per rilasciare tutti gli ostaggi, vivi o morti. Ancora una volta, il primo passo spetta ad Hamas. Rilascia tutti gli ostaggi, perdi ogni potere negoziale, e poi Israele farà quel che deve. Forse. Se vuole. Se non cambia idea.
Sei: una volta che tutti gli ostaggi saranno stati restituiti, i membri di Hamas che si impegneranno a coesistere pacificamente e a smantellare le loro armi saranno graziati. Ai membri di Hamas che desiderano lasciare Gaza sarà garantito un passaggio sicuro verso i paesi di accoglienza.
In pratica, ai leader di Hamas viene offerto un salvacondotto, basta che se ne vadano da Gaza. Da nessuna parte, tuttavia, si garantisce la loro incolumità. Potenzialmente, da quando lasciano Gaza, Israele può colpirli ovunque, per evitare che si riorganizzino altrove. Anche solo per eccesso di prudenza.
Sette: una volta accettato il presente accordo, saranno immediatamente inviati aiuti completi nella Striscia di Gaza.
E pure otto: l’ingresso degli aiuti e la loro distribuzione nella Striscia di Gaza avverranno senza interferenze da parte delle due parti attraverso le Nazioni Unite e le sue agenzie, la Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali non associate in alcun modo a nessuna delle due parti.
Belli questi punti: in pratica si dice chiaramente che gli aiuti completi non sono mai stati inviati, né da Israele né dagli Usa. Un’ovvietà, per chi ha contezza di quanto accaduto in questi due anni. Meno, per chi si è bevuto per mesi la propaganda israeliana e americana della finta carestia e di Gazawood.
Il bello però deve ancora arrivare.
Punto nove: Gaza sarà governata da un comitato palestinese tecnocratico e apolitico, responsabile della gestione quotidiana dei servizi pubblici e delle municipalità per la popolazione di Gaza. Questo comitato sarà composto da palestinesi qualificati ed esperti internazionali, con la supervisione e il controllo di un nuovo organismo internazionale di transizione, il “Consiglio di pace”, che sarà guidato e presieduto dal presidente Donald J. Trump, con altri membri e capi di Stato da annunciare, tra cui l’ex primo ministro Tony Blair.
In pratica, Gaza diventa un protettorato guidato da Trump, da qualche altisonante figurina tipo Tony Blair e da qualche figurante palestinese deciso da Trump stesso. Di fatto, un protettorato, o una colonia.
Soprattutto però: cosa farà questo fantomatico consiglio di Pace?
Punto dieci: questo organismo definirà il quadro di riferimento e gestirà i finanziamenti per la ricostruzione di Gaza fino a quando l’Autorità Palestinese non avrà completato il suo programma di riforme. E farà appello ai migliori standard internazionali per creare un governo moderno ed efficiente che sia al servizio della popolazione di Gaza e favorisca gli investimenti.
Andiamo avanti: verrà elaborato un piano di sviluppo economico di Trump per ricostruire e rilanciare Gaza, convocando un gruppo di esperti che hanno contribuito alla nascita di alcune delle fiorenti città moderne del Medio Oriente.
Tradotto: Gaza Riviera. Cioè un luogo costruito secondo un piano elaborato da Jared Kushner, genero del presidente, potentissimo promotore immobiliare, rampollo di una famiglia ebrea ortodossa molto vicina a Benjamin Netanyahu. Questa era l’idea di Kushner, nel 2023: “Farei del mio meglio per espellere le persone e pulire tutto dopo”.
Non solo.
Undici: Sarà istituita una zona economica speciale con tariffe preferenziali e tassi di accesso da negoziare con i paesi partecipanti.
Tradotto: Gaza Riviera sarà pure un paradiso fiscale.
Andiamo avanti.
Dodici: Nessuno sarà costretto a lasciare Gaza e coloro che desiderano andarsene saranno liberi di farlo e liberi di tornare. Incoraggeremo le persone a rimanere e offriremo loro l’opportunità di costruire una Gaza migliore.
Ricordate il punto due? Gaza ai gazawi? Sì, per fare gli schiavi come a Dubai, nella migliore delle ipotesi. Ops scusate: “Per costruire una Gaza migliore”
Andiamo veloci, ora.
Tredici: Hamas e le altre fazioni accettano di non svolgere alcun ruolo nella governance di Gaza, né direttamente, né indirettamente, né in alcuna altra forma. Ci sarà un processo di smilitarizzazione di Gaza. E la nuova Gaza si impegnerà pienamente a costruire un’economia prospera e a coesistere pacificamente con i propri vicini.
In parole molto più povere: gli schiavi possono solo obbedire o andarsene. Ribellarsi non è previsto dal piano di pace.
Quattordici: i partner regionali forniranno una garanzia per assicurare che Hamas e le fazioni rispettino i loro obblighi e che la nuova Gaza non rappresenti una minaccia per i suoi vicini o per la sua popolazione.
Questo non è molto chiaro, ma credo funzioni così. Il Libano deve occuparsi di Hezbollah, lo Yemen degli Houti. E il Qatar e l’Iran non devono nemmeno provarci, a destabilizzare l’area con una nuova Hamas.
E comunque, quindici: gli Stati Uniti collaboreranno con i partner arabi e internazionali per costituire una forza internazionale di stabilizzazione (ISF) temporanea da dispiegare immediatamente a Gaza.
Cioè, una bella milizia palestinese controllata dagli americani.
Passiamo al punto sedici, però: Israele non occuperà né annetterà Gaza. Man mano che l’ISF stabilirà il controllo e la stabilità, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) si ritireranno (…), fatta eccezione per una presenza di sicurezza perimetrale che rimarrà fino a quando Gaza non sarà adeguatamente protetta da qualsiasi minaccia terroristica.
In pratica: Gaza rimarrà murata fino a che non lo deciderà Israele.
Sul punto diciassette c’è poco da dire: nel caso in cui Hamas ritardi o respinga questa proposta, quanto sopra, compresa l’operazione di aiuto potenziata, procederà nelle aree libere dal terrorismo consegnate dall’IDF all’ISF.
In pratica, se Hamas non si arrende senza condizioni, Israele procederà alla sua soluzione finale, e renderà agli Stati Uniti una Gaza libera dai gazawi.
Diciotto, diciannove e venti sono il vero e proprio libro dei sogni, infine.
Diciotto: Sarà avviato un processo di dialogo interreligioso basato sui valori della tolleranza e della coesistenza pacifica per cercare di cambiare la mentalità e la narrativa dei palestinesi e degli israeliani, sottolineando i benefici che possono derivare dalla pace.
In altre parole: il maestro del razzismo di Stato, quello dell’assalto di Capitol Hill, o dell’odio i miei nemici pronunciato al funerale di Charlie Kirk insegnerà a israeliani e palestinesi la coesistenza pacifica.
Diciannove: con il progredire della ricostruzione di Gaza e l’attuazione fedele del programma di riforme dell’Autorità Palestinese, potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese, che riconosciamo come aspirazione del popolo palestinese.
Bene: è come la mettiamo con gli 800mila coloni che di fatto hanno occupato buona parte della Cisgiordania? Dove la mettiamo, la statualità palestinese? Con che tempi? Con quali impegni da parte di Israele? Niente di niente, nel piano.
Però, wow, venti: gli Stati Uniti avvieranno un dialogo tra Israele e i palestinesi per concordare un orizzonte politico per una coesistenza pacifica e prospera.
Bella coesistenza, dove c’è uno che comanda, uno che guadagna e il terzo, disarmato e privato di ogni autodeterminazione, che deve semplicemente accettare quel che hanno deciso gli altri due.
Questo, insomma, sarebbe il piano di pace – o forse meglio sarebbe dire di resa senza condizioni – che Hamas dovrebbe accettare. Per il bene del suo popolo, della sopravvivenza politica Netanyahu e del genero di Trump.
Quello stesso piano di pace che, chissà come, la flotilla avrebbe rischiato di far saltare.
Quello stesso piano di pace che, probabilmente, è la polpetta avvelenata perfetta per far vincere Israele senza combattere. O il pretesto perfetto per "finire il lavoro" a Gaza.