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Cosa succede in Sudan e perché ci riguarda? Il nuovo episodio di Direct, il podcast del Direttore

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Partiamo come sempre dalle domande: oggi dalla domanda di Dario: “Aggiornamenti sul Sudan?”

Ti è piaciuto questo episodio di DIRECT?

Detta così, Dario, sembra che quella che sta avvenendo in Sudan sia una guerra di cui si parla tanto. E invece no, non se ne parla per nulla. Pur essendo la guerra in assoluto più sanguinosa e assurda che sta avvenendo oggi nel mondo. Una guerra che a oggi, in poco più di due anni, ha prodotto qualcosa come 130mila morti e oltre 14 milioni di profughi. Ripeto: 130mila morti e 14 milioni di profughi.

Ed è interessante parlarne proprio per questo.
Per chiedersi come sia stato possibile che sia iniziato un conflitto del genere. E per chiedersi come mai vada avanti, nella più totale indifferenza del mondo.

Partiamo dall’inizio, però.

Il Sudan è un Stato africano. È enorme, più grande dell’Egitto. E come l’Egitto, con cui confina a nord, è attraversato dal Nilo. La sua capitale Khartoum, si trova esattamente alla confluenza tra il Nilo bianco e il Nilo azzurro. È enorme, il Sudan. E dall’anno della sua indipendenza dal Regno Unito è stato attraversato da una costante guerra civile tra il Nord del Paese, prevalentemente arabo-musulmano, che ha di fatto sempre detenuto il potere, e il sud cristiano e animista, che si è sempre sentito discriminato. Di fatto, il solito disastro dei colonizzatori britannici. Che finché comandavano hanno separato le due parti del Paese impedendo addirittura all’una di commerciale con l’altra. Mentre quando se ne sono andati, nel 1946, hanno avuto l’ottima idea di riunire queste due parti che non comunicavano da secoli, dando tutto il potere a una delle due, quella del Nord arabo.

Ah, dimenticavo un piccolo dettaglio: il Sudan è il quinto Paese africano per risorse petrolifere nel sottosuolo. E l’80% del petrolio era nel Sud Sudan.

La faccio più breve di quel che è stata. Nel 2005 viene firmato un accordo di pace dall’allora dittatore Omar al-Bashir, che prevede sei anni di autonomia e poi un referendum per l’indipendenza del Sud Sudan, nel 2011, dall’esito scontato. Fondamentalmente è un accordo per spartirsi al meglio i proventi del petrolio, senza che l’indipendenza non penalizzi troppo il nord.

Lieto fine? Parrebbe di sì.  E invece è proprio in quel momento che cominciano guai ancora peggiori.  Nel Darfur, prima di tutto, che è la parte Occidentale di quel che rimane del Sudan dopo la secessione del Sud. Ed è l’altopiano in cui ci sono le rimanenti risorse petrolifere del Paese. Altro piccolo, si fa per dire, problema: il Darfur è abitato prevalentemente da tribù sedentarie non arabe, a differenza di quanto accade nel resto del Paese, che ancora di più dopo la secessione col Sud è dominato da tribù musulmane di origine arabe. Risultato? Un’altra guerra, ancora più cruenta, che il governo di Khartum lancia contro le tribù non arabe, col malecelato tentativo di fare pulizia etnica. Risultato? Un milione di morti in circa 20 anni di guerra – tra violenza, malattie e carestia – e oltre due milioni e mezzo di profughi.

Nel frattempo, siamo nel 2018, iniziano violente proteste contro il dittatore Omar al-Bashir a causa della crisi economica del Paese, già molto povero di suo e prostrato da decenni di guerre civili. Le proteste sfociano in due successivi colpi di Stato, uno del 2019 e uno nel 2021. Quest’ultimo colpo di Stato porta alla presidenza di un governo di transizione un generale che si chiama Abdel Fattah Abdelrahman Burhan e alla vicepresidenza un altro generale che si chiama Mohamed Hamdan Dagalo, ma che tutti chiamano Hemetti.

Concentriamoci un attimo su questo vicepresidente. Che viene dal Darfur, ha le mani in pasta in tutte le risorse che si estraggono nel sottosuolo dell’altopiano. E soprattutto ha una milizia privata potentissima che pende dalle sue labbra. Si chiamano Forze di Supporto Rapido, si sono formate nella guerra civile del Darfur, hanno più di 100mila soldati e sono armate fino ai denti. Di fatto Hemetti è l’archetipo del signore della guerra africano. 

L’accordo tra presidente e vicepresidente è che queste forze confluiscano nell’esercito regolare sudanese. Il problema è che Burhan ed Hemetti non si mettono d’accordo sui tempi. Ovviamente, il primo teme di essere la vittima del prossimo colpo di stato. Il secondo, di essere defenestrato un minuto dopo aver perso il suo esercito privato. La guerra civile è inevitabile, e infatti nessuno la evita. Ed è un crescendo di atrocità ancora superiore alle guerre civili tra nord e sud, e a quelle nel Darfur, se possibile. Perché le forze in campo si equivalgono. Perché tutto il Paese diventa teatro di scontri. Perché milioni di persone sono costrette, di nuovo, a lasciare le proprie abitazioni. Perché se milioni di persone smettono di lavorare la terra, una carestia è quasi automatica. Perché la comunità internazionale, fondamentalmente, se ne lava le mani. Perché gli unici due Paesi che realmente si occupano del conflitto, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, finiscono per diventare fornitori di armi per l’una e l’altra parte.

E così, nel silenzio – tanto indifferente, quanto complice – dell’Occidente, succedono cose terribili. Come la carneficina del campo profughi di Zamzam, dove le milizie di Hemetti, in 72 ore hanno ammazzato oltre 2mila persone di etnia non araba, col solito obiettivo di fare pulizia etnica in Sudan.

Adesso una domanda la faccio io a voi. Tutto questo, da uno a dieci, quanto vi fa orrore?

Bene. Allora sappiate anche che i Sudanesi che scappano da quell’orrore poi passano in Egitto e poi arrivano in Libia. E se non vengono torturati e stuprati nelle carceri gestite dal nostro amico Al Masri, prendono un barcone per venire in Italia. Dove, se non muoiono in mare, finiscono qui, a sentirsi dire da Salvini e Meloni che se ne devono tornare a casa loro.

Così, giusto per dire che parte abbiamo, in questa tragedia.

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