Iscriviti a Rumore.
La newsletter di Fanpage.it contro il silenzio

Ciao,
consentimi di usare queste righe per esprimere la più totale e incondizionata solidarietà alle colleghe e ai colleghi de La Stampa, la cui redazione è stata teatro di una violenta irruzione da parte di un centinaio di manifestanti secondo cui il quotidiano torinese era complice del genocidio a Gaza. Consentimi anche di dire che non c’è causa, nemmeno la più nobile, che giustifichi un assalto al grido di “Giornalista terrorista sei il primo della lista”. Che minimizzare quanto accaduto vuol dire aprire la strada ad altri assalti e ad altre violenze. E che l’assalto alla redazione de La Stampa non è che l’ultima manifestazione di un clima intimidatorio verso i giornalisti e i giornali, che deve preoccupare anche chi non fa il giornalista di mestiere. Perché quando si cerca di tappare la bocca a un quotidiano, si tappa la bocca alla libera circolazione di notizie, idee ed opinioni. E quando le notizie, le idee e le opinioni iniziano a non circolare più, per la democrazia è un bel problema.
Mi chiedo se nel caso dei bambini tolti ai genitori in Abruzzo, il confine tra una vita dignitosa e felice — vissuta a contatto con la natura, in un ambiente affettuoso e apparentemente sereno — e una condizione che, pur non apparendo dolorosa, potrebbe risultare chiusa, artificiale e poco educativa rispetto a un futuro inserimento competente nella società?
Paola
Cara Paola,
innanzitutto una doverosa premessa: l'ordinanza del Tribunale per i Minorenni de L'Aquila che ha sospeso la responsabilità genitoriale ai coniugi Trevallion-Birmingham è stata l'esito di un lungo percorso e di un rapporto non semplice tra i servizi sociali e la famiglia. Lo precisiamo perché il caso è stato raccontato, anche da esponenti del governo, come un improvviso sopruso ai danni dei genitori e dei tre figli. Ecco, stando a quello che sappiamo non è così: decisioni di questo tipo sono sempre attentamente ponderate e prese tutt'altro che alla leggera.
Detto ciò, veniamo alla tua domanda. La vicenda della "famiglia nel bosco" ha colpito molte persone perché tocca corde profonde: il desiderio di proteggere i propri figli, il bisogno di un ritmo più umano e di un maggiore contatto con la natura, la sfiducia verso le istituzioni. Può essere comprensibile provare empatia per una scelta che nasce da bisogni autentici e diffusi come questi.
Ma proprio per questo è importante distinguere tra le buone intenzioni e gli effetti reali. Da un punto di vista pedagogico, crescere significa molto più che imparare delle nozioni sui libri di testo: come ha spiegato a Fanpage.it Maria Angela Grassi, Presidente Nazionale ANPE (Associazione nazionale pedagogisti italiani), crescere significa entrare in relazione con gli altri, sperimentare conflitti e alleanze, costruire competenze emotive e sociali. La scuola, con tutte le sue difficoltà, è anche questo: un luogo dove ci si misura con il mondo e le sue tante complessità.
Aggiungiamo che non è l’homeschooling in sé a essere sotto accusa. In Italia è una pratica legittima, regolata e verificabile. Molte famiglie la scelgono con rigore, accompagnate da professionisti del mondo della scuola che garantiscono un percorso didattico adeguato. Nel caso di Palmoli, però, il Tribunale non ha contestato l’istruzione bensì un altro aspetto: il rischio che la vita di relazione dei bimbi fosse troppo limitata.
C’è poi un punto più ampio, che riguarda tutti noi. In tempi di fragilità dei servizi pubblici essenziali (come la scuola e la sanità) e di crescente solitudine, è facile pensare che la soluzione sia costruirsi un piccolo mondo privato, autosufficiente e isolato È però solo un’illusione. Perché nessuno cresce – e nessuno si salva – da solo.
Davide Falcioni, redattore area Cronaca Fanpage.it
Perché Meloni vuole cambiare la legge elettorale?
Michele
Caro Michele, il motivo principale – con tutta probabilità – è lo stesso per cui quasi tutti, in Italia, negli anni hanno cambiato o provato a cambiare la legge elettorale: perché pensa che possa darle un vantaggio.
Il tema è ritornato di moda dopo le ultime elezioni regionali. Veneto al centrodestra, Puglia e Campania vinte ampiamente dal centrosinistra. Dalle opposizioni è quasi subito partito un segnale di allerta, Matteo Renzi è stato il primo, sui social: “Da domattina Giorgia Meloni proverà a cambiare la legge elettorale. Perché con questa legge elettorale lei a Palazzo Chigi non ci rimette più piede”.
Poche ore dopo è stato il deputato di FdI Giovanni Donzelli a dare una sostanziale conferma: “Se si votasse oggi non ci sarebbe la stessa stabilità che abbiamo ora. Noi crediamo che sarebbe utile averla”. Come a dire: se si votasse oggi, il centrodestra andrebbe peggio rispetto alle ultime elezioni (peraltro, l’idea che con questo sistema elettorale il centrosinistra unito avrebbe delle possibilità di vincere nel 2027 è stato confermato anche da analisi autorevoli dei trend elettorali). Quindi per Fratelli d’Italia meglio introdurre il premierato o, in mancanza di tempo, cambiare la legge elettorale.
Non è una novità, come accennavo: dal 1993 a oggi abbiamo avuto quattro leggi elettorali diverse, di cui due stroncate dalla Corte costituzionale (Porcellum del 2005 e Italicum del 2015) e una mai utilizzata (lo stesso Italicum). In molti casi sono nate proprio da riforme o ritocchi che la maggioranza in carica voleva fare per cercare di assicurarsi un risultato migliore alle urne. Vedremo come si muoverà il dibattito in Parlamento, questa volta. Ci sarà tempo per approfondire i dettagli delle proposte del centrodestra, e analizzare che effetti potrebbero avere sulle elezioni. Ma sul motivo alla base di questo dibattito ci sono pochi dubbi.
Luca Pons, redattore area Politica Fanpage.it
Perché in senato la lega ha fermato la legge sul consenso? ma non c'era l'accordo tra Schlein e Meloni?
Simona
Ciao Simona,
sì, c’era un accordo politico, ma non tutta la maggioranza l’ha voluto rispettare. Il disegno di legge era entrato in Commissione Giustizia con un’intesa di massima tra Palazzo Chigi ed Elly Schlein. L’obiettivo era quello di definire una cornice chiara in cui il fulcro fosse il concetto di “consenso libero e attuale”.
Il ddl non introduceva alcuna rivoluzione punitiva: formalizzava in norma ciò che già oggi la giurisprudenza usa come criterio, cioè che la chiave per definire la violenza sessuale è l’assenza di consenso libero e attuale. Oggi i magistrati lo applicano comunque, e non basta la parola della vittima: il pm deve raccogliere comunque riscontri, ricostruire le circostanze, superare il ragionevole dubbio. L’onere della prova resta integralmente nelle mani dell’accusa. Per chi teme “processi al buio”, nella legge non c’era nulla del genere. L’obiettivo reale del ddl era un altro: ridurre la vittimizzazione secondaria, cioè togliere dal dibattito giudiziario quelle domande tossiche che tutte conosciamo, come eri vestita, perché non hai reagito, avevi bevuto, che finiscono sempre per giudicare la donna invece che l’imputato. Per questo la norma era importante. Non cambiava l’onere della prova, cambiava lo sguardo.
A bloccare il testo non è stata una questione tecnica. In Commissione Giustizia al Senato, infatti, la presidente Giulia Bongiorno (Lega) aveva sollevato dubbi sui dettagli, che si sarebbero potuti sistemare con audizioni rapide. Il colpo di freno è arrivato dopo, quando il leader della Lega Matteo Salvini ha definito la norma un rischio per “interpretazioni” e “vendette personali”, parlando addirittura di “migliaia di esposti per ritorsione”. È una narrazione che non corrisponde alla realtà dei tribunali, ma è politicamente efficace per rallentare una norma percepita come “troppo culturale” per una parte del centrodestra.
Perché è qui il nodo. Il problema non è la legge. Il problema è che, per la prima volta, la società chiede agli uomini di fare quello che alle donne è stato chiesto per secoli: mettersi in discussione. Ogni nostra conquista è passata per una decostruzione: del ruolo, dell’immaginario, delle abitudini. Ora questo passaggio toccherebbe a loro. Ma non tutti sono pronti.
Il rinvio in Senato riflette esattamente questo: un conflitto interno alla maggioranza, dove una parte è pronta a chiudere l’accordo e l’altra teme che la norma sposti il baricentro culturale, non il codice penale. Salvini ha scelto di parlare al suo elettorato più conservatore; Meloni, ora, dovrà decidere se appianare la frattura o assecondare lo stop.
Francesca Moriero, redattrice area Politica Fanpage.it
Direi che è tutto, anche per oggi.
Grazie per averci accompagnato fino a qua.
Francesco