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Eccoci nel mondo in cui esportare un prodotto italiano negli Stati Uniti d’America costerà il 15% in più. Una mazzata annunciata, per la nostra economia, fatta di trasformazione, manifattura ed export. Un’economia peraltro, che negli ultimi venticinque anni è cresciuta pochissimo, lasciando i salari al palo e l’innovazione tecnologica ai minimi termini. È la prova, semmai ce ne fosse bisogno, che l’Italia – piaccia o meno – vive di confini aperti, di economie interconnesse, di contesti di cooperazione. Non certo di nazionalismi, di guerre commerciali e frontiere chiuse. Banalmente, perché non siamo autosufficienti in nulla. Da oggi, per chiunque governerà il Paese, si annunciano tempi duri e scelte complicate. E una lezione da mandare a memoria: evidentemente, non basta nemmeno questa Unione Europea, contro questo Trump.
Iniziamo con le vostre domande e le risposte della redazione di Fanpage.it.
- Vorrei capire meglio cosa si intende con l’espressione “dazi autoimposti dalla UE”. Chi li propone e chi li approva? Inoltre, è vero che finanziano l’Unione Europea, e che la loro eventuale rimozione potrebbe avere ripercussioni economiche per i singoli Stati membri? – Paola
Cara Paola, a febbraio Mario Draghi ha scritto sul Financial Times che l’Unione europea ha “posto con successo i dazi su se stessa” (questo il titolo dell’editoriale). L’ex presidente del Consiglio parlava delle cosiddette “barriere interne” dell’Ue, cioè le varie complicazioni burocratiche, legali e normative che rendono più difficile per le aziende degli Stati membri commerciale le une con le altre. Se tutte queste “barriere” venissero eliminate sarebbe come togliere una “tariffa del 45% sui prodotti e del 110% sui servizi”, diceva Draghi. Quindi non si tratta di misure che servono a finanziare l’Unione europea, ma di ostacoli che, secondo l’ex premier, impediscono ai Paesi europei di sfruttare al meglio il commercio con gli altri Stati.
Ma hanno parlato di “dazi autoimposti” anche molti esponenti del governo Meloni e della destra italiana. Solo che l’hanno fatto a sproposito. La presidente del Consiglio e Matteo Salvini, ad esempio, hanno attaccato l’Europa dicendo che i “dazi autoimposti” sono un problema più grave delle eventuali tariffe lanciate da Donald Trump. La verità, come aveva spiegato un economista a Fanpage.it ad aprile, è che le norme a cui fanno riferimento Salvini e Meloni non c’entrano niente con i dazi. Ad esempio: il leader della Lega parlava del Green deal europeo e altre norme per il clima. Il governo ha approfittato delle parole di Draghi per fare confusione e spostare l’attenzione dalle azioni dell’alleato Trump, che rischiano (quelle sì) di danneggiare l’economia italiana ed europea.
Luca Pons, area politica
- Ma tutto quello che sta succedendo nel mondo (Gaza, Ucraina…) sono conseguenze della pandemia? È stata la pandemia ad aprire il vaso di Pandora? – Francesca
Tocchi un tasto su cui mi sono interrogato parecchio, Francesca. Già da quando ci ripetevamo che dai lockdown ne saremmo usciti migliori. In effetti, la pandemia ci ha insegnato parecchie cose: che il nostro benessere dipende anche dalle scelte degli altri. Che dai guai non se ne esce mai da soli. Che concepire il mondo come un’unica grande società interconnessa è l’unico modo attraverso cui vincere sfide come quella del Covid-19. Che forse c’era qualcosa che non andava nel nostro modello di sviluppo che non si può fermare mai e che non può smettere mai di crescere.
A vederla con gli occhi di oggi, invece, sembra non abbiamo imparato niente: il mondo uscito dalla pandemia è una terra violenta, barbara, in cui è scomparsa ogni traccia di multilateralismo e si è tornati a uccidere e morire – come prima, più di prima – per dei pezzi di terra.
La realtà è che forse la pandemia c’entra poco, con tutto questo. Non voglio togliere lavoro agli storici, Francesca: ma mi sembra che tutte quel che sta succedendo nel mondo sia legato soprattutto a una rivoluzione tecnologica che sta avvenendo sotto ai nostri occhi, quella dell’intelligenza artificiale, e della corsa alle materie prime e alla fonti energetiche delle due grandi potenze economiche globali – Stati Uniti e Cina, ciascuna coi suoi alleati – che questa rivoluzione porta con sé. Ecco, questo sì: magari tutto quel che è successo tra il 2020 e il 2021 poteva forse aiutarci a immaginare un futuro diverso. Banalmente, non è successo.
Francesco Cancellato, direttore Fanpage.it
- Perché si parla tutti i giorni e si scrive molto sull'inchiesta di Milano urbanistica, ma pochissimo o nulla si scrive o si parla dell' inchiesta di Palermo dove Fratelli d'Italia ha convalidato un sistema di distribuzione di soldi pubblici sulla base della fedeltà e non del bisogno – Barbara
Ciao Barbara,
Sì, l'inchiesta sull’urbanistica a Milano ha occupato le prime pagine dei principali quotidiani nazionali per diversi giorni, mentre lo stesso non è accaduto con l’indagine sulla corruzione in Sicilia. Un po’ per l’oggettiva portata dello scandalo milanese, che ha causato il blocco di almeno 150 cantieri e messo a rischio migliaia di famiglie che attendono di poter entrare nelle case su cui magari hanno investito i loro risparmi. Un po’ per le pesanti ricadute che si stimano ci saranno sull’economia della città (si parla di 26 miliardi di euro), sull’occupazione e sui servizi. Mettici pure la rilevanza dei nomi coinvolti (l’archistar Stefano Boeri e il sindaco Sala per citarne due). Ma anche perché questa inchiesta colpisce la città simbolo del progresso in Italia, un’idea di sviluppo che fino a questo momento era stata assunta come modello di crescita da riproporre e replicare nel resto d’Italia. E perché manda in frantumi l’immagine della metropoli attrattiva, internazionale, inarrestabile che Milano ha costruito negli ultimi dieci anni e a cui molti hanno guardato con ammirazione e incanto. Ciò non toglie che anche quanto emerso finora in Sicilia abbia un peso enorme. L’inchiesta ha toccato esponenti di spicco del partito di Giorgia Meloni ma soprattutto, al di là delle valutazioni legali che preferiamo lasciare giustamente alla magistratura, ha mandato in tilt il Parlamento siciliano, i cui lavori sono fermi da più di un mese. Come ci ha spiegato bene il deputato dell'Ars Ismaele La Vardera, questo stallo su provvedimenti centrali che hanno a che fare con la sanità, i trasporti, la viabilità, ha degli effetti gravissimi sulla Regione e sui suoi cittadini, avviliti dall’ennesima vicenda che getta delle ombre sulla gestione delle risorse pubbliche.
Giulia Casula, area politica
- Come mai Israele possiede bombe atomiche, ma non vengono effettuati controlli da parte dell'ente internazionale preposto (AIEA)? Ivan
Ciao Ivan, partiamo da una premessa: è vero, Israele possiede armi nucleari segrete. Lo sappiamo soprattutto grazie alle rivelazioni di Mordecai Vanunu, un ex tecnico della centrale di Dimona che – dopo aver avuto accesso a informazioni altamente riservate per quasi un decennio – nel 1986 si recò a Londra e svelò al Sunday Times dettagli e foto dell’impianto nucleare in cui aveva lavorato. Secondo le sue testimonianze, Israele possedeva centinaia di testate nucleari, molto più di quanto si sospettasse. Mordecai pagò con la libertà le due rivelazioni: il 30 settembre 1986 venne infatti rapito a Roma da agenti del Mossad, drogato e riportato illegalmente in Israele. Processato in segreto, fu condannato a 18 anni di carcere, 11 dei quali passati in isolamento totale.
Quello israeliano è dunque un programma nucleare del tutto clandestino; lo stato ebraico non è soggetto alle ispezioni dell’AIEA perché non ha aderito al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), che vincola invece altri Paesi (Iran compreso) a trasparenza e controlli. Pur essendo considerato ormai da tutti gli analisti una potenza nucleare de facto, Israele mantiene una politica di "ambiguità strategica": tutt'oggi non conferma né smentisce il possesso di armi atomiche. Questo approccio gli consente di evitare impegni formali e controlli internazionali, con il beneplacito dei suoi alleati occidentali.
A questo proposito abbiamo interpellato Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana Pace Disarmo e autore di "Disarmo Nucleare" (ed. Altraeconomia), il quale ha confermato le ambiguità di Tel Aviv: "Secondo le regole del TNP, uno Stato può mantenere armi nucleari solo se le possedeva prima del 1967. Israele oggi non potrebbe quindi giustificare ufficialmente il proprio arsenale. In sostanza, come in molti altri ambiti, Israele si sottrae alle norme internazionali volte a prevenire la proliferazione nucleare, mantenendo così una posizione privilegiata".
Davide Falcioni, area cronaca
Direi che è tutto, anche per oggi. Grazie per averci accompagnato fino a qua.
Francesco Cancellato