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👋🏼 Ciao, questa è la speciale Evening Review, pensata per te che hai scelto di sostenerci. Io però, non sono Adriano Biondi, il condirettore di Fanpage.it: sono Annalisa Girardi e oggi lo sostituisco per la rassegna stampa serale.
I Paesi della Nato aumenteranno le loro spese militari. Alla fine gli europei hanno ceduto alle pressioni di Donald Trump e hanno messo la firma sulla cifra per cui spingeva il presidente statunitense: il 5% del proprio Pil in spese per la Difesa. Da giorni l'attenzione mediatica è su questo numero. E su tutto quello che ci sta attorno. Perché oltre al fatto in sé, non sono mancate le critiche per l'atteggiamento dei leader europei, considerato troppo subalterno a Washington. E chi ha provato a opporsi, come il premier spagnolo Pedro Sanchez, si è beccato le ritorsioni di Trump, che ha annunciato doppi dazi per Madrid.

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Al di là di Sanchez e di qualche altra flebile voce, però, non è che ci siano stati dei veri e propri distinguo. Giorgia Meloni chiaramente non ha fatto eccezione, ma c'era da aspettarselo. La presidente del Consiglio anche prima di partire per l'Aja aveva detto che fosse necessario, di questi tempi, impegnarsi di più sul fronte delle spese militari. "Si vis pace, para bellum", aveva detto citando Giulio Cesare. E all'indomani del vertice dell'Alleanza Atlantica lo ha ribadito.

🪖 A riportare le parole di Meloni oggi è il Corriere della Sera. "Gli impegni sanciti nella dichiarazione finale del vertice Nato dell'Aja, a portare la spesa per la difesa al 5% del Pil in dieci anni, sono «necessari» e «sostenibili». Sono «impegni significativi e sostenibili per l'Italia, spese necessarie per rafforzare la nostra difesa e la nostra sicurezza, in un contesto che lo necessita, ma in una dimensione che ci consente di assumere gli impegni sapendo che non distoglieremo neanche un euro dalle altre priorità a difesa e tutela degli italiani». Anzi, a giudizio di Meloni questa nuova quota di spesa pubblica, che sarà crescente in modo graduale per dieci anni, avrà l'effetto di un circuito virtuoso: «Una parte importante di queste risorse, se siamo bravi, vengono usate per rafforzare le imprese italiane, e questo crea una politica economica espansiva che crea risorse», ha aggiunto la premier davanti ai giornalisti. «Il grande tema da affrontare ora è la capacità delle nostre aziende di rispondere a un impegno importante»". 

Non solo, insomma, per Meloni queste spese sono sostenibili, ma sarebbero anche una vera e propria opportunità per le nostre aziende. Quest'ultima parte, ha fatto notare qualcuno, sembra anche un tentativo di tenere buona la Lega, che non vede troppo di buon occhio l'aumento delle spese militari.

💰 Su Domani Giulia Merlo scrive: "Proprio questa sembra essere l'unica concessione alla Lega, che ha espresso anche in Parlamento il suo scetticismo sull'aumento della spesa e ha sempre sottolineato che gli investimenti in armamenti porterebbero benefici soprattutto agli Stati Uniti e alla Francia. A ripeterlo è stato Alberto Bagnai su La7: l'aumento al 5% è «irraggiungibile e insostenibile socialmente»". Ma chiaramente, come racconta sempre Merlo, dei dubbi non sono arrivati solo dalla stessa compagine di governo: è l'opposizione che ha colto la palla al balzo per attaccare Meloni. "A trarre le conclusioni è stata la segretaria del Pd, Elly Schlein. «Meloni non è in grado di dire no a Trump», è stato il suo commento, e ha ricordato che la Spagna guidata dal socialista Pedro Sanchez «rimane nell'Alleanza atlantica pur senza raggiungere il 5% del Pil». Poi ha criticato il no di Meloni a un esercito europeo. Su una linea simile anche il leader Cinque Stelle, Giuseppe Conte, che ha parlato di «disastro sociale» sottoscritto da Meloni «nel segno della vigliaccheria» e «dove prende i soldi non ce lo dice»".

📈 Forse, sostiene qualcuno, Meloni (così come altri leader europei) sperano di poter contare su quella buona dose di flessibilità che alla fine si è riusciti a mettere dentro le conclusioni del vertice. Anche perché, sostiene Alessandro Barbera su La Stampa, se ne parlerebbe comunque dal 2027. "L'Italia è sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo, dalla quale conta di uscire nei primi mesi dell'anno prossimo. In base alle regole europee previste dal nuovo Patto di Stabilità, finché non torna sotto al fatidico 3% nel rapporto tra deficit e ricchezza prodotta, non può escludere dal disavanzo pubblico alcuna spesa aggiuntiva. Lo scorso 6 marzo il Consiglio europeo ha introdotto la possibilità di chiedere «una clausola di salvaguardia» per escludere dal computo la nuova spesa militare, ma quella clausola non è d'aiuto ai Paesi sotto procedura. È per questa ragione che ieri, durante la conferenza stampa che ha chiuso il vertice Nato, Giorgia Meloni ha confermato la linea tenuta fin qui da Giorgetti: «Nel 2026 non chiederemo l'attivazione della clausola». Il riferimento temporale al 2026 conferma l'intenzione di farlo, ma solo dopo. L'Italia prima riporterà il deficit sotto controllo e poi, a partire dal 2027, pianificherà l'aumento progressivo della spesa imposto dall'accordo firmato all'Aja".

Insomma, al di là delle dichiarazioni e delle prese di posizione, nemmeno il governo italiano avrebbe tutta questa fretta di aumentare le spese militari. Anche perché non parliamo di qualche milione qua e là. Parliamo di un impegno finanziario oneroso, anche se nessuno sembra essere troppo certo di che cifre si stia effettivamente parlando.

💸 Il Post a tal proposito scrive: "Durante il dibattito nell’aula della Camera di lunedì, Elly Schlein ha accusato Meloni di mentire, «perché portare al 5 per cento la spesa militare da noi vorrebbe dire 87 miliardi in più all’anno e 445 miliardi in più in dieci anni». Sono cifre sballate. A quanto pare Schlein ha tratto i numeri da questo sito, facendone un uso discutibile. Peraltro, intervenendo poco prima di lei, il responsabile Esteri del partito Peppe Provenzano aveva parlato un po’ più realisticamente di «60 miliardi in più». Ma anche Meloni ha mistificato un po’ le cose: ha detto che quello che l’Italia dovrà sostenere nei prossimi 10 anni «è un impegno non distante da quello che, nel 2014, il governo di allora prese». Anche questo è un calcolo inesatto, perché stando ai dati disponibili e per quel che è possibile prevedere adesso, l’Italia dovrà verosimilmente spendere tra i 3 e i 3,5 miliardi di euro in più all’anno".

Il sito in questione è quello dell'Osservatorio Milex, che si occupa proprio di monitorare le spese militari. I calcoli, appunto, sono un po' diversi. Ecco cosa scrive l'Osservatorio:

Al netto di questo, risulta evidente che l’obiettivo dell’1,5% in sicurezza sarà agevolmente conseguibile solo conteggiando sotto questa voce una vasta gamma di spese già sostenute o già programmate, per di più con la possibilità di attingere ai fondi europei del Pnrr che già prevede capitoli di spesa in alcuni di questi settori: dalla cybersicurezza alle telecomunicazioni, dalle reti energetiche alle infrastrutture strategiche e di mobilità militare.

La vera sfida, dal punto di vista finanziario, riguarda dunque il raggiungimento dell’obiettivo del 3,5% in spese militari “pure” per le quali andranno reperite risorse nuove nel bilancio dello Stato. Per fare chiarezza sull’entità dello sforzo finanziario richiesto all’Italia, va sgomberato il campo da equivoci più o meno voluti sul punto di partenza attuale. Il 2% del Pil recentemente annunciato dal governo come obiettivo già conseguito considerando anche spese correnti in sicurezza è la base di partenza “olistica” da cui partire per raggiungere l’analogo obiettivo del 5%. Per le spese militari tradizionali invece il punto di partenza è l’1,57% del Pil. Ciò significa che ci vorranno quasi due punti di Pil aggiuntivi per arrivare al target del 3,5%.

In valore assoluto significa che l’Italia, per portare in dieci anni la spesa militare annua dagli attuali 35 miliardi agli oltre 100 miliardi, cioè per triplicarla, dovrà reperire ogni anno in manovra nuove risorse finanziarie nell’ordine dei 6-7 miliardi, ogni anno per dieci anni. Questo si traduce in un impegno cumulativo decennale di spesa di quasi 700 miliardi di euro, circa 220 miliardi in più rispetto a quello che si spenderebbe in dieci anni se invece del 3,5% si puntasse a raggiungere il 2% in spese militari ‘core’, con aumenti di spesa annuali medi nell’ordine dei 2 miliardi.

🇺🇸 Al di là dei calcoli specifici, in ogni caso si tratta di un impegno finanziario non di poco conto. Per l'Italia così come per l'intera Alleanza. La Repubblica oggi scrive: "Oltre trecento miliardi di dollari in più entro il 2035. E da quel momento in maniera stabile. L'accordo siglato ieri a L'Aia per aumentare le spese militari dei Paesi membri della Nato comporta un esborso maggiorato di questo importo. Almeno le stime che sono state fatte in previsione dell'intesa fanno riferimento a queste cifre. E riguardano i costi in più dei Paesi che non spendono già il 3,5% del Pil. Per intenderci: gli USA sono esclusi da questo conteggio. Al momento infatti i 32 partner dell'Organizzazione Atlantica complessivamente impegnano ogni anno nel settore militare oltre 1.434 miliardi di dollari, questo è l'ultimo dato disponibile, quello del 2024. E ovviamente gli States rappresentano il "big spender": 968 miliardi di dollari, due terzi del totale. A seguire c'è la Germania, con 86 miliardi, la Gran Bretagna con 81, la Francia con 64 e l'Italia con 35″.

Queste sono le cifre. E, come abbiamo visto, sono oggetto di discussione. Quello che appare abbastanza condiviso, invece è il dato politico. Cioè che l'Europa si sia arresa alla linea a stelle e strisce, dicendo di sì all'aumento della spesa militare e al modellare il proprio budget sulla Difesa.

🗣️ Oggi, su Avvenire, Marco Iasevoli scrive: "L'Europa ne esce oggettivamente con le ossa rotte. Per almeno tre motivi. Primo, ha dovuto assumere l'impegno sostanzialmente ‘sotto minaccia', perché quando Trump, ancora sull'Air Force One, metteva in dubbio l'articolo % del Trattato Nato, stava tornando a declamare la teoria del disimpegno americano. Lo assume, secondo motivo della ‘sconfitta' europea, consapevole dell'inevitabile impatto sul welfare. In questi giorni la bandiera della ‘battaglia sociale' è stata lasciata in mano al socialista spagnolo Sanchez, ma dietro le sue argomentazioni si celavano le paure e la consapevolezza di altri leader europei, Meloni compresa. (…) Terzo motivo di delusione e riflessione per la debole Europa, l'inchino a Trump sul 5% non è valsa le attese rassicurazioni americane sull'Ucraina".

Per oggi è tutto: se vuoi segnalarci qualcosa o farci sapere cosa ne pensi di questa rassegna scrivici a eveningreview@fanpage.it

Buona serata,
Annalisa

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