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Omicidio Gianluca Cimminiello, la Cassazione conferma l’ergastolo per mandante e organizzatore

La Corte Suprema di Cassazione ha confermato l’ergastolo per Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, rispettivamente mandante ed organizzatore dell’omicidio di Gianluca Cimminiello, 32 anni. Per la sua morte era stato condannato in terzo grado anche Vincenzo Russo, l’esecutore materiale dell’omicidio.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Gianluca Cimminiello
Gianluca Cimminiello

La Corte Suprema di Cassazione ha confermato l'ergastolo per Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, rispettivamente mandante ed organizzatore dell’omicidio di Gianluca Cimminiello, 32 anni, il tatuatore ucciso dalla camorra il 2 febbraio del 2010. Ergastolo che diventa così definitivo per i due uomini e che segue quello di Vincenzo Russo, l'esecutore materiale dell'omicidio, a sua volta condannato in via definitiva al carcere a vita. Aprea e Abete erano già state condannati all'ergastolo sia il 29 giugno 2018 in primo grado e sia il 25 giugno 2020 in secondo grado.

La foto di Cimminiello con Lavezzi

L'omicidio di Gianluca Cimminiello avvenne il 2 febbraio del 2010, e fu deciso dal clan Amato-Pagano che voleva fargli pagare quello che considerava uno sgarro. Poco tempo prima, infatti, Cimminiello aveva pubblicato sui social una foto che lo ritraeva insieme ad Ezequiel Lavezzi, all'epoca calciatore del Napoli. Cimminiello, conosciuto come Zendark, lavorava come tatuatore e in molti pensarono che in quella foto Lavezzi fosse andato a tatuarsi da lui, mentre invece era un semplice fotomontaggio.

Il pestaggio finito male e la vendetta

Qualcuno però se la prese a male per quella foto, e dopo alcuni giorni emissari del clan Amato-Pagano si presenteranno nella sua bottega di tatuaggi: dovevano dargli "una lezione". Ma Gianluca, grande e grosso, era anche un allenato kickboxer, che reagì all'aggressione mettendo in fuga quegli uomini e firmando, senza saperlo, la sua condanna a morte. L'umiliazione per il clan, appartenente all'ala degli Scissionisti, fu lavata col sangue: pochi giorno dopo si presentò nella bottega di tatuaggi di Cimminiello Vincenzo Russo, che con una scusa lo attirò fuori e gli sparò. Gianluca, colpito, tentò di rifugiarsi all'interno della propria bottega di tatuaggi, ma venne finito con altri due colpi di pistola. Testimonianza fondamentale nel processo fu quella di Anna, la fidanzata di Gianluca, presente durante i fatti.

Il ricordo della sorella Susy

Le due sorelle di Gianluca, Susy e Palma, sono state fin da subito in prima linea nel processo prima all'esecutore materiale del delitto e poi contro organizzatore e mandante. Susy, in particolare, ricorda così quella dolorosa giornata del 10 febbraio, quando il fratello venne ucciso.

Quel giorno ero a casa che facevo gli ultimi preparativi del mio matrimonio previsto per il 13 febbraio. Avevo un dolore alla spalla insopportabile così chiamai mia madre per un aiuto. Lei era vaga e agitata e, quando le chiesi cosa avesse, mi disse di far andare mio marito dai carabinieri perché la fidanzata di Gianluca era in caserma. Poco dopo ricevetti anche la telefonata di mia sorella perché mio nipote aveva letto la notizia di un morto fuori al centro di tatuaggi. Presa dal panico, decisi di andare fuori all'attività di Gianluca. Il primo pensiero fu per il litigio di qualche giorno prima. Nella folla non capivo nulla! In mezzo al casino incontrai gli amici di mio fratello a cui chiedevo dove fosse Gianluca. Niente, nessuno mi rispondeva, poi vedendoli piangere capii. "Ma è Gianluca l'uomo a terra?". Uno di loro scoppiò in lacrime confermando il mio timore. Per me fu il gelo. Fin dal primo momento raccontammo tutto. Avevamo paura è vero, ma per amore ho imparato a gestire la paura. Mio fratello era un bravo ragazzo ucciso dalla camorra e io ero disposta a morire per lui affinché ottenesse giustizia".

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