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Elezioni amministrative Napoli 2021

Gaetano Manfredi, per Napoli una giunta di compromesso. E senza giovani

Ci sono alcune cose che non convincono, nella nuova giunta comunale di Napoli decisa dal sindaco Gaetano Manfredi. Non ci sono né ventenni né trentenni ed è un brutto segno. La delega alla Cultura resta nelle mani del primo cittadino: ma avrà tempo di occuparsene? Attendiamo di capire, prima di giudicare. Ma forse è meglio dire subito quali sono le note stonate.
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Meglio dirselo subito: la giunta comunale di Gaetano Manfredi non ha quell'alto profilo che ci si attendeva. Che cosa significhi «alto profilo» è presto spiegato: è quel quid che fa di una donna o di un uomo della società civile e della politica cittadina il meglio che la città possa offrire. Ammesso, ovviamente, che quel meglio esista e abbia voglia di mettersi in gioco.

Breve analisi della neonata giunta: alcune assessore e assessori nominati dal sindaco Manfredi hanno sicuramente qualità e competenze da offrire, altri sono noti al momento soltanto per la loro storia personale e non per le capacità amministrative, altri ancora sono volti e nomi notissimi della politica nostrana.

Però di giovani nemmeno l'ombra. L’età media della giunta Manfredi è di 58 anni e mezzo. Non ci sono i trentenni come a Bologna (Emily Marion Clancy, vicesindaca, 30 anni) e i ventenni come Gaia Romani (assessore a Milano, 25 anni). «Abbiamo preferito le esperienze» ha spiegato Manfredi, «puntato a persone di esperienza, che hanno già avuto responsabilità amministrative».

Sia chiaro: giovane non significa «di qualità». Basti pensare ad alcuni giovani e pessimi assessori dell'ultima giunta di Luigi De Magistris. Al tempo stesso da un professore universitario, già Rettore della prima Università del Mezzogiorno ci si attendeva una linea di fiducia maggiore nei confronti dei ragazzi che vivono, studiano, lavorano in questa complicata città (ammesso che si possa essere ancora etichettati come ‘giovani' a trent'anni).

Quel che emerge in queste prime scelte del prof. è un certo deluchismo, ovvero quella sfiducia complessiva verso tutto ciò che non è pianificazione politica, verso le aperture al mondo giovane, verso il mondo non controllabile da alchimie e giochi di potere.

Altra questione: Manfredi si tiene la delega alla Cultura perché se non avesse fatto il sindaco – lo ha detto lui stesso – gli sarebbe piaciuto fare l'assessore alla Cultura in città. Domanda: avrà il tempo per occuparsene?  O le scelte in merito alla politica culturale cittadina finiranno per diventare appannaggio della Regione Campania e delle sue aziende partecipate?

In questi casi si sente spesso dire «lasciatelo lavorare e poi giudicherete».  Ecco, ma noi napoletani per aver «lasciato lavorare» il predecessore di Gaetano Manfredi ora ci troviamo con una città sull'orlo di una crisi di nervi (e del dissesto finanziario).

Forse è meglio dirsele subito, le cose, senza pigliarsi collera. E forse è qualcun altro a Palazzo Santa Lucia (anzi, nel Palazzo del Genio Civile di Salerno) a dover lasciar lavorare serenamente il nuovo sindaco di Napoli.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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