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Emergenza lavoro

“Aprire un ristorante a Napoli sfida difficile, ma realizzeremo una Academy per formare il personale”

Fanpage.it ha intervistato Roberto Zeccolini, patron di Mama Eat, catena di ristoranti presente con diversi punti vendita in tutta Italia.
Intervista a Roberto Zeccolini
Titolare della catena di ristoranti Mama Eat
A cura di Valerio Papadia
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Il ristorante Mama Eat a Napoli
Il ristorante Mama Eat a Napoli
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Nonostante il brand sia nato a Napoli (nel 2006, ndr) e qui ci sia la sede principale, Mama Eat, catena di ristoranti presenti a Milano e Roma, ha soltanto un punto vendita in città, ovvero quello che sorge in via Manzoni, nel cuore del quartiere collinare di Posillipo. Una proposta gastronomica, quella di Mama Eat, che rispecchia la tradizione – napoletana e italiana, dai primi piatti come genovese, pasta e patate o carbonara, alla pizza – con un occhio di riguardo agli alimenti senza glutine, che si inserisce in una città come Napoli in cui l'offerta è variegata e il mercato molto concorrenziale. Proprio di questo Fanpage.it ha parlato con Roberto Zeccolini, patron della catena di ristoranti che conta tre punti vendita a Roma, uno a Milano e uno in apertura a Firenze.

Roberto, cosa significa aprire un ristorante a Napoli?

Emozionante, sicuramente, visto che è la nostra città, ma anche abbastanza difficile: infatti, credo sarà il nostro primo e ultimo punto vendita in città. Napoli, a differenza di Milano oppure Roma, non offre molti luoghi in cui aprire un ristorante: la maggior parte dei locali sono al centro storico o al Vomero, dove ci sono più turisti. Il mercato a Napoli è saturo e noi abbiamo aperto in un quartiere più residenziale. E poi, ci sono state anche difficoltà a reperire personale.

A questo proposito, parliamo di una questione sollevata da molti imprenditori, soprattutto nella ristorazione. Secondo te, perché tutte queste difficoltà a trovare lavoratori?

I fattori sono molteplici. A Roma, ad esempio, cerchiamo da mesi due dipendenti, anche senza esperienza: offriamo 1.300 euro al mese, ma non riusciamo a trovarli. A Napoli è uguale, e in più si aggiunge anche un fattore socio-culturale: andrebbe eliminato il lavoro nero, ad esempio. Anche la questione dei sussidi, come il Reddito di cittadinanza, influisce: credo che sia gestita male a monte, cioè lo Stato non incentiva né il dipendente a lavorare né l'imprenditore ad assumere. Sulla questione, però, noi siamo intenzionati a formare il nostro personale: alcuni direttori dei nostri ristoranti sono partiti dal basso e hanno fatto carriera. Per questo abbiamo intenzione di aprire una academy interna a Napoli nei prossimi mesi, anche per una questione di centralità del prodotto.

Visto che nel vostro menù proponete anche la pizza, te lo devo chiedere: cosa ne pensi delle parole di Flavio Briatore e della risposta dei pizzaioli napoletani?

Io non sono né dalla parte di Flavio Briatore né quella di Gino Sorbillo: sono nel mezzo. O meglio, tendenzialmente sono d'accordo con il pizzaiolo napoletano: la pizza è un piatto popolare e farla pagare 15 euro è inconcepibile. Ma dipende tanto dalle materie prime e dal contesto: da Mama Eat una margherita costa 7-8 euro, la metà di quella di Briatore, ma nemmeno i 5-6 euro a cui si trova nelle pizzerie del centro storico di Napoli. Bisogna considerare che noi usiamo farine particolari e che siamo in un quartiere residenziale come Posillipo, per cui non ci possiamo permettere di offrire gli stessi prezzi del centro, in cui le pizzerie abbondano e c'è più concorrenza.

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