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Francesco Pio Maimone ucciso a Napoli, ultime news

Checco Maimone, ammazzato con un proiettile in petto, parla il fratello: “Non cerco vendetta, nulla lo riporterà qui”

Il fratello di Francesco Pio Maimone, il ragazzo ucciso con un colpo di pistola in petto, affida a Fanpage.it poche parole, per ricordare il giovane. E chiede giustizia, anche se niente lo riporterà indietro.
A cura di Gaia Martignetti
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"Quanto poco valore ha la vita di un essere umano se possiamo morire così?". Emanuele Maimone ha un cappellino e lo sguardo basso mentre ripercorre gli ultimi momenti con suo fratello Francesco Pio, ammazzato con un colpo di pistola in petto a 19 anni. Accanto a lui ha la fidanzata. Fuma una sigaretta nello spiazzo di uno dei bar più noti di Pianura, periferia di Napoli. Tanto sembra essere bastato, il luogo dove abitava, per accostare il nome del fratello a scenari a cui, ripete con forza, non apparteneva. "Voleva aprire una pizzeria con nostra sorella e il cognato, lavorava fino alle due di notte, faceva le consegne".

Il racconto di Emanuele è quasi un flusso di coscienza di chi ancora non riesce a realizzare che Pio, come più volte lo chiama, non c'è più. Chiede giustizia, ma è consapevole che neanche quella servirà a riportare indietro suo fratello. Emanuele, che di anni ne ha 24 e fa il salumiere, quando parla del lavoro di Pio, sembra più lucido per alcuni momenti. "Aveva preso da poco la patente, fino a poco tempo fa si prendeva i miei vestiti, da quando ha iniziato a guadagnare qualcosa se li è comprati da solo".

Racconta di non averlo visto dalla notte prima della sua morte quando, secondo le prime ricostruzioni, un pestone su un piede avrebbe scatenato la sparatoria che ha portato alla morte di Pio, nella zona di Mergellina. Gli investigatori sono sulle tracce di chi impugnava la pistola da cui è partito il colpo che ha stroncato la vita del giovane, che non era coinvolto nella lite che è al centro delle indagini.

Francesco Pio, continua il fratello, era sceso insieme al suo miglior amico Carlo quella sera, dopo l'ennesima nottata di lavoro. Lavorava nella pizzeria del cognato, al Vomero. A volte però faceva anche il rider, consegnando panini. Emanuele si chiede continuamente come sia possibile morire in questo modo. Si sente in colpa quasi, perché l'ultima volta che l'ha visto l'ha sgridato, come compito di fratello maggiore impone. Non cerca vendetta, "niente e nessuno me lo porterà indietro", ma giustizia sì. La cosa però che lo perseguita più di tutte è l'aver letto quelle che chiama false ricostruzioni sul fratello, gli attimi successivi alla sua morte. Come se nascere in periferia, spiega, fosse una colpa. Emanuele ripete con forza "Pio era incensurato, perché ci dobbiamo giustificare?"

Mentre va via, esprime un desiderio: "Vorrei andare in un posto in cui sto da solo, lontano da tutti per non sentire niente. Davanti a un maxischermo per rivivere i momenti più belli con Pio". I momenti precedenti alla morte di un ragazzo di 19 anni, la cui unica colpa, racconta Emanuele con gli occhi lucidi mentre si avvicina all'auto, è quella forse di essere nato in periferia. Dove si può morire per niente. Dove sempre più spesso i ragazzi non riescono a diventare uomini.

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