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Muore Claudio Abbado. Non muoia l’eredità del più grande direttore d’Italia

È di stamattina la notizia della scomparsa del più grande direttore d’orchestra italiano. Ecco perché la sua esperienza musicale, politica e umana, dev’essere il modello del fare cultura in Italia e nel mondo.
A cura di Luca Iavarone
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La vita e la carriera di Claudio Abbado sono state strepitose, folgoranti. La sua capacità d'impegno, di dedizione alla scoperta di repertori poco frequentati, il contributo notevole dato alle più grandi orchestre del mondo (tutte quante "cresciute" con la sua direzione), e poi l'attenzione per il sociale, per i metodi d'insegnamento, le battaglie per la cultura, sono tutte caratteristiche che fanno di lui, senz'altro, il più grande direttore d'orchestra che l'Italia abbia mai avuto.

Un direttore, in orchestra, ha per l'appunto una visione d'insieme, per statuto: conosce a memoria le parti di ogni strumentista, sa già dove dovranno approdare le frasi e i periodi musicali, ha il controllo complessivo della dinamica e della tensione. Il direttore è un superuomo, necessariamente dotato di piglio, di carattere, di nerbo, ma anche pieno di comprensione, quasi uno psicologo per gli orchestrali (e così amava farsi ricordare proprio lui, dopo l'esperienza con i Berliner). Il direttore deve sapere tutto, e aver tutto chiaro già da prima che la prima nota venga suonata. Sono sue le scelte interpretative, è su di lui che regge il peso dell'esecuzione. È lui che il pubblico applaudirà e a lui l'orchestra sceglierà se riaccordare la fiducia per un nuovo concerto. E sì, perché per fare il direttore bisogna essere credibili, e in orchestra la fiducia ce la si deve conquistare. Al cospetto di 100 e più professori, ognuno con un'idea personale sull'esecuzione del brano, o si è talmente bravi e convincenti da imporre la propria visione della partitura, o si verrà sopraffatti.

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Ma è proprio in questa visione d'inisieme, che coniuga la fermezza con la dolcezza, l'intransigenza con l'apertura, la sterminata cultura con l'incoscienza e il brivido dell'esecuzione, che si vede il grande direttore, quello memorabile. Solo un uomo che sappia dare non solo al pubblico grandi emozioni con la musica, ma che sia stato in grado di prendersi cura dei luoghi in cui è chiamato a dirigere, dai teatri alle città intere, promuovendo progetti culturali e di riqualificazione del territorio, sostenendo sempre, strenuamente, che è con la cultura più di ogni altra cosa che si cresce, come cittadini, come individui e come comunità, è un grande direttore.

E così come da direttore sapeva guardare a 360 gradi alla partitura, come uomo di cultura Claudio Abbado sentiva il peso e la necessità di guardare con la stessa attenzione e dedizione anche alla società. Una figura di uomo impegnato, intellettualmente e politicamente, che si scagliava contro i tagli alla cultura e che rivendicava il ruolo centrale dell'istruzione capillare, difendendo e aiutando i ceti più bassi. Claudio Abbado promosse, nei suoi quasi quindici anni alla Scala (prima come Direttore Musicale, poi Direttore Artistico e fondatore della Filarmonica), i "Concerti per studenti e lavoratori", al fine di avvicinare le categorie sociali più disagiate alla musica e alla bellezza. La sua non era un'idea elitaria del sapere. Anzi condivideva con il pianista Maurizio Pollini e il compositore Luigi Nono una visione dell'arte come di un mezzo per coltivare ed emancipare le coscienze.

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Ma non è tutto. Un grande artista è capace di scelte intelligenti e, se è necessario, radicali. Ed è così che Abbado lasciò Milano per andare poi a Vienna e infine a Berlino, a dirigere l'orchestra più prestigiosa del mondo. Una sfida quella di succedere al più grande direttore di tutti i tempi, Karajan, e di confrontarsi con il suo mito, Furtwangler. I Berliner Philarmoniker lo vollero alla loro testa per ben 12 anni e, come enorme riconoscimento personale, la vedova di Furtwangler gli scrisse in una lettera “…Come successore di mio marito, la invito ad abitare a casa mia”. C'è da dire, sempre a proposito di coscienza civile, che Abbado in tempi non sospetti mise un limite al suo onorario e a quello dei direttori ospiti a Berlino. Un gesto di enorme umiltà da parte dell'uomo con la bacchetta più desiderato e potenzialmente retribuito del mondo.

E continuando, al termine di queste esperienze mastodontiche, Abbado nel 2005 andò a Caracas e all'Avana, per far musica con l'Orquesta Simòn Bolìvar, quella nata con trent'anni di "metodo Abreu", grazie al quale 400.000 giovani musicisti, tolti alla strada, avevano la possibilità di avere degli strumenti e seguire un percorso musicale professionale. Tornò in Italia e dichiarò più di una volta di voler portare quel metodo in Italia. Perché era all'Italia che voleva dare un segno incisivo, una svolta culturale, che dovea passare sotto il segno di un cambiamento di rotta anche politico.

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Quando ci furono gli ultimi tagli alla cultura, Abbado, che era stato tanto criticato per aver lasciato Milano (della quale aveva detto che si spendeva più in autostrade che in cultura), tentò di barattare il suo storico ritorno alla Scala in cambio di un cachet "in natura": chiese che in cambio della sua direzione, anzicché dare a lui del denaro, venissero piantati a Milano 90.000 alberi. Inutile dire che il progetto, in un paese come questo, naufragò, mentre Abbado veniva riconosciuto e insignito delle più alte onoreficenze a Salisburgo, a Vienna, a Londra e a Chicago.

E ancora, grandissimo merito di Abbado è stata la fondazione di due grandi orchestre giovanili, la Gustav Mahler Jugendorchester e l'orchestra Mozart: orchestre formate soltanto da musicisti giovanissimi, provenienti da ogni paese del mondo. Per un musicista in carriera, talentuoso ma acerbo, essere diretto da Abbado dev'essere stata l'esperienza più formativa e determinante della sua vita.

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E siamo arrivati ai giorni nostri, quando il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo ha nominato Senatore a vita con questa motivazione: "Nato nel 1933, Claudio Abbado si è diplomato al Conservatorio di Milano. Ha acquisito meriti artistici nel campo musicale attraverso l'interpretazione della letteratura musicale sinfonica e operistica alla guida di tutte le più grandi orchestre del mondo. A tali meriti si è congiunto l'impegno per la divulgazione e la conoscenza della musica in special modo a favore delle categorie sociali tradizionalmente più emarginate. Ha avuto la responsabilità della direzione stabile e musicale delle più prestigiose Istituzioni musicali del mondo come il Teatro alla Scala e i Berliner Philharmoniker; ha ideato istituzioni per lo studio e la conoscenza della nuova musica. Si è in pari tempo caratterizzato per l'opera volta a valorizzare giovani talenti anche attraverso la creazione di nuove orchestre, come la European Union Youth Orchestra, la Chamber Orchestra of Europe, la Mahler Chamber Orchestra, la Orchestra Mozart".

Non siamo stati qui a enumerare i suoi enormi meriti artistici, dalle letture definitive di Mahler e Beethoven agli allestimenti memorabili di opere con cast stellari, dalla direzione artistica e musicale di festival e di interi programmi di capitali europee e internazionali al lavoro incessante e sotterraneo per la diffusione del repertorio contemporaneo. Per questo non basterebbe un cospicuo volume di approfondimento. Vogliamo qui solo concludere il discorso con una riflessione definitiva.

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Il più grande direttore d'orchestra d'Italia è stato un uomo di impareggiabile impegno, artistico e politico, un intellettuale attivo e appassionato nel suo proposito di fare della cultura il fulcro propulsivo del progresso, innanzitutto umano, dell'intera società. La sua lezione non dev'essere dimenticata. Questo è un dovere morale.

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