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Un’ex detenuta torna a vivere con la sua bimba: “Mi ha detto che bello sentirsi figlia e ho ricominciato a vivere”

Sara, un’ex madre detenuta che oggi sta scontando la fine della sua pena presso la Casa Famiglia Protetta dell’Associazione CIAO di Milano, ha raccontato la sua storia a Fanpage.it, dalle difficoltà vissute nel carcere ordinario fino alla “rinascita” che ha vissuto quando ha potuto riabbracciare sua figlia.
A cura di Giulia Ghirardi
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"Ho iniziato a scontare la pena in un carcere tradizionale. Quando mia figlia che era piccolissima è venuta a trovarmi, ha chiamato mamma qualunque donna incontrasse. Da quel momento in me è scaturito un dolore tale che ho smesso di mangiare". A parlare è Sara (nome di fantasia), ex detenuta che ha raccontato la sua storia a Fanpage.it, dalle difficoltà vissute nel carcere ordinario fino alla "rinascita" con il suo trasferimento in Icam (Istituto a Custodia Attenuata per Detenute Madri) dove ha riabbracciato sua figlia e soprattutto alla Casa Famiglia Protetta dell’Associazione CIAO di Milano dove oggi sta finendo di scontare la sua pena.

La storia di Sara: "Senza figli si vive una doppia carcerazione"

Inizialmente Sara sconta la sua pena in un carcere tradizionale dove, per le madri detenute, non c'è la possibilità di poter stare con i propri figli. "I primi sei mesi sono stata completamente sola, l'unica cosa che avevo erano le foto dei miei figli vicino al letto", ha esordito Sara a Fanpage.it. "Una mamma alla quale viene tolto il figlio pensa di non essere una buona madre, pensa al male che ha causato e non riesce a pensare ad altro. È una doppia carcerazione ed è difficile da superare, si diventa egoisti nel vivere il proprio dolore perché ci si sente private di quello che è vita, l'essere genitore".

"Quando mia figlia che era piccolissima mi è venuta a trovare nell'ora di colloquio chiamava mamma qualunque donna incontrasse. Da quel momento in me è scaturito un dolore tale che ho smesso di mangiare, ho perso 25 kg, sono arrivata a pesare 44 kg, perché mi sentivo una persona inutile", ha continuato a raccontare Sara a Fanpage.it. "Questo finché un giorno un assistente mi ha chiesto: ‘Ma perché sei qui? Tu che hai una bimba piccola' e mi ha spiegato che almeno potevo chiedere di andare in un Icam", ovvero una tipologia di istituto penitenziario dove a oggi alle madri detenute è consentito scontare la propria pena tenendo con sé i propri figli.

"In una settimana sono stata trasferita. Ricordo ancora la prima notte che ho dormito con mia figlia. Si è addormentata abbracciata a me, si svegliava e diceva ‘mamma', mi guardava e poi si riaddormentava. Quella mancanza anche mia figlia l'aveva vissuta", ha riferito ancora Sara. Poi il trasferimento in una casa protetta. "Da lì sono tornata a vivere, mia figlia mi ha dato la forza per farlo, mi ha permesso di combattere, di capire quale fosse stato il mio errore e accettare la pena, quello che stava accadendo e che sarebbe avvenuto ancora. Da lì sono poi arrivata alla Casa Famiglia Protetta dell’Associazione CIAO dove ho trovato casa. Qui mia figlia un giorno si è seduta accanto a me, mi ha guardato e mi ha detto: Che bello sentirsi figlia".

Decreto Sicurezza, cosa cambia per le madri detenute

La storia di Sara mostra l'importanza di un percorso rieducativo per le detenute e, insieme, delinea alcune delle problematicità sottese al Decreto Sicurezza (approvato oggi alla Camera) che all'Art. 15 prevede alcune modifiche alla disciplina del carcere e, in particolare, limiterebbe le misure alternative istituzionalizzando la sottrazione del figlio alla madre detenuta. Questo porta con sé una serie di problematicità, soprattutto dal punto di vista della rieducazione per le detenute, perché con l'inasprimento delle norme si delinea il rischio che la recidiva aumenti, anziché favorire il cambiamento e il reinserimento sociale.

"Se non avessi avuto la possibilità di scontare la pena con mia figlia probabilmente l'esito della mia storia sarebbe molto diverso", ha spiegato Sara a Fanpage.it. "In carcere ti lasciano lì: fai il tuo percorso, hai un'ora d'aria, un'ora di colloquio una volta a settimana, ma finisce lì. Il rischio è che, se non sei seguito, la criminalità continui".

A questo si aggiunge un tema importante che trova ampio spazio all'interno del nuovo Decreto Legge n. 48/2025: il rapporto tra pena e genitorialità. "C'è un tema culturale, una specifica scuola di pensiero che sottende questo Decreto, ovvero l'idea per cui una donna che sia autrice di un reato non possa essere, per forza di cose, una buona madre", ha spiegato Andrea Tollis, direttore dell'Associazione CIAO. "Il nostro progetto consiste nel dare la possibilità alla madre di stare con la figlia anche in esecuzione di pena. Dopo 15 anni di esperienza, possiamo testimoniare che questa presunta relazione tra l'aver commesso un reato e il non poter essere una buona madre non ha alcun fondamento di verità. Anzi. La presenza del figlio è una forte leva, una risorsa a resistere, a mettere in atto quella famosa resilienza che permette a queste donne di farcela e allo stesso tempo permette ai piccoli di poter essere figli. È una sinergia positiva, sia per la madre che per il bambino".

Alla voce di Tollis torna a fare da eco anche quella di Sara che ha rincarato il punto: "Siamo esseri umani, si può sbagliare. Il fatto di aver commesso un errore non vuol dire non poter essere anche una buona madre. Perché esistono tante circostanze, ci sono donne che sbagliano per fame, donne che lo fanno per necessità, donne alle quali è stato insegnato soltanto un determinato stile di vita e hanno imparato soltanto quello nella loro vita. Non si può giudicare una persona in base a un reato e pensare che un Decreto possa limitare la genitorialità di una madre è terribile".

In conclusione, c'è, dunque, una relazione tra la capacità genitoriale e la commissione della pena? Per Tollis "assolutamente no". "La competenza può dipendere da tante cose, ma non dalla violazione della legge. Se qualcuno pensa il contrario è frutto di immaginazione, di fantasia, di una fiaba collettiva di paura che una certa parte della politica cerca di mettere in campo, ma non è così", ha concluso il direttore dell'Associazione CIAO a Fanpage.it. "La pena dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato, dovrebbe mettere al centro il concetto di persona e non di detenuto. Il Decreto non lo fa e questo lo rende arretrato e, fondamentalmente, sbagliato".

"Se potessi rivolgermi direttamente a chi scrive le leggi, direi loro di mettere alla prova una madre", ha concluso anche Sara. "Perché si può sbagliare nella vita, ma non si smette mai di essere madri. Questo non andrebbe dimenticato".

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