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News sulla strage di Samarate

Strage di Samarate, le motivazioni della sentenza: “Maja voleva uccidere, ossessioni e rancore verso la moglie”

Una personalità narcisistica, problemi economici e lavorativi ingigantiti e rancore verso la moglie. Cosa c’è nelle motivazioni che spiegano perché Alessandro Maja è stato condannato all’ergastolo per aver massacrato la sua famiglia nella notte tra il 3 e il 4 maggio 2022.
A cura di Sara Tirrito
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Alessandro Maja (57 anni)
Alessandro Maja (57 anni)
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Narcisismo, problemi di lavoro e finanziari inesistenti o ingigantiti. Alessandro Maja avrebbe ucciso quasi tutta la sua famiglia a Samarate mentre era capace d'intendere e di volere, e tormentato da questi pensieri. Sono state depositate le 32 pagine di motivazioni che spiegano la condanna all'ergastolo decisa lo scorso luglio, che prevede per lui l'ergastolo e l'isolamento diurno per 18 mesi.

I giudici non hanno riconosciuto l'infermità mentale chiesta dalla difesa né l'aggravante della crudeltà chiesta dall'accusa, ma hanno certificato l'amore di Maja per se stesso e l'ossessione per problemi di lavoro o economici che forse erano "ingigantiti".

Lo sterminio della famiglia Maja

Era la notte fra il 3 e il 4 maggio 2022. Mentre i figli e la moglie dormivano, Alessandro Maja era salito furiosamente nelle loro camere e li aveva colpiti con un martello. Con il cranio fracassato, la moglie, Stefania Pivetta, di 56 anni, fu accoltellata alla gola. Non ci fu niente da fare per lei né per la figlia Giulia, di sedici anni, raggiunta subito dopo la madre. A salvarsi fu soltanto il figlio più grande, Nicolò, 23 anni all'epoca dei fatti, che aveva riportato lesioni gravissime al cranio ma era riuscito a sopravvivere.

Dopo avere ammazzato quasi interamente la sua famiglia, Maja era uscito fuori di casa con il corpo cosparso di sangue e aveva urlato: "Li ho uccisi tutti". Il 23 luglio scorso in primo grado di giudizio l'uomo è stato condannato all'ergastolo, che sta scontando nel carcere di Monza.

A sopravvivere alla strage di Samarate era stato soltanto Nicolò Maja. Il giovane aveva riportato ferite gravissime, aveva passato diverso tempo in coma indotto e solo mesi dopo il massacro si era risvegliato. Nicolò non ricordava nulla di quella notte ed era tornato gradualmente a muoversi e a parlare. Affrontato un lento percorso di riabilitazione e seguito dai nonni in ogni fase, oggi sta cercando di ricominciare da zero. Sognava di tornare a volare e ha già esaudito per la prima volta questo sogno.

La capacità di intendere e di volere di Alessandro Maja

Maja non ha mai spiegato il perché del massacro, ed è stato giudicato capace di intendere e di volere al momento dei fatti. La premessa dei giudici nelle motivazioni della sentenza è che non sussiste ragionevole dubbio sul fatto che abbia commesso gli omicidi di cui è accusato. "È stato trovato di primo mattino coperto di sangue, con i segni di un cruento tentativo di suicidio, con accanto la mazzetta e due coltelli insanguinati, chiuso nella sua abitazione, i cui accessi non sono risultati in alcun modo forzati (…) L'imputato – scrivono i giudici – ha in più occasioni ammesso le proprie responsabilità" anche davanti a magistrati e investigatori.

A essere in esame è stata innanzitutto la capacità di intendere e di volere di Alessandro Maja. La valutazione si è basata sulle perizie dello psichiatra forense, sulla consultazione di documentazione sanitaria e atti di indagine nonché su due colloqui clinici con Maja al carcere di Monza.

Settimane dopo l'omicidio, a fine maggio 2022, Maja era stato ricoverato per una decina di giorni in ospedale. Dalla sentenza è emerso che in passato "era stato curato per sintomatologia depressiva" ma che "durante quella degenza il suo pensiero era apparso privo di contenuti deliranti e non erano state segnalate dispercezioni". Nelle successive relazioni del perito, lo psichiatra ha più volte sottolineato che Maja è sempre stato "lucido, vigile, orientato". Nei test psicologici svolti in un secondo momento, la dottoressa chiamata dalla Corte ha descritto Maja come una persona "con caratteristiche riconducibili al cluster B dei disturbi di personalità", che si contraddistinguono per comportamenti eccentrici o drammatici.

Per gli psichiatri però Maja non ha "una condizione psicopatologica di carattere strutturale". I medici hanno escluso "elementi indicativi di un disturbo di personalità". Quello che emerge è un profilo che nelle carte è definito con caratteristiche "egosintoniche", una personalità che "sembra mostrare unicamente marcati tratti personologici di carattere narcisistico".

Stefania Pivetta e Giulia Maja
Stefania Pivetta e Giulia Maja

Durante i colloqui, inoltre, Maja si era dimostrato "arrabbiato con la consorte, che almeno da una decina d'anni lo rifiutava dal punto di vista sessuale ed il cui tradimento con il macellaio egli non aveva dimenticato" e mostrava di provare "rancore" nei suoi confronti. Per lo psichiatra, nel rapporto di coppia tra Maja e Pivetti "di simbiotico c'era ben poco".

La diagnosi descrittiva che viene riportata nero su bianco, e sottolineata in grassetto nelle motivazioni della sentenza, è quella di un "Disturbo dell'adattamento reattivo a condizioni esistenziali con ansia", che si presentano in una persona con "aspetti narcisistici". In Alessandro Maja non ci sarebbe stato quindi nessun disturbo della personalità ma solo un disturbo dell'adattamento, nessuna malattia né infermità.

Diversa la posizione della difesa, per cui il disturbo narcisistico di personalità come anche la depressione di Maja, avevano rilevanza clinica e sarebbero peggiorate nel tempo, aggravando l'ideazione "delirante". Per i giudici, però, le ipotesi della difesa non hanno basi scientifiche e il narcisismo non fu "di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere".

Non ci fu crudeltà nella strage di Samarate

Il pubblico ministero aveva chiesto che nei confronti di Maja fossero riconosciute le aggravanti di sevizie o crudeltà, penalmente intese. A spingerlo a chiederle era stata principalmente la modalità con cui era stata uccisa Stefania Pivetta, colpita più volte alla testa per poi essere sgozzata con un coltello. Nel ricordare che la reiterazione dei colpi non è sufficiente a determinare un'aggravante, le carte spiegano cosa voglia dire "crudeltà" per la Corte di Cassazione.

Citando i giudici Supremi, la Corte d'Assise ha chiarito che la crudeltà si configura come aggravante quando si agisce con una "condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive e esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole". Questo tipo di crudeltà deve essere accertata nelle modalità stesse in cui viene commesso il dolo e nella condotta dell'imputato.

Per i giudici "è necessario che emerga l'aspetto morale della crudeltà (…) che ricorre quando si dimostri l'assenza completa di ogni sentimento di compassione e di pietà che sono propri dell'uomo civile". Il fatto di uccidere la moglie con due o tre colpi violenti di martello alla testa e una decisa coltellata non erano "volte a infliggere alla coniuge un male aggiuntivo" né dimostrano "l'assenza di compassione e di pietà propri dell'uomo civile".

Le motivazioni sottolineano inoltre che non è chiaro se i colpi di martello e la coltellata alla gola fossero stati inferti alla donna "in più fasi", non c'è prova che Pivetta si sia resa conto di cosa stesse accadendo né che abbia tentato di reagire. E non c'è prova che Maja abbia colpito la moglie alla gola in un secondo momento per causarle particolare sofferenza.

Nessun pentimento finora per Alessandro Maja

I giudici hanno negato a Maja le attenuanti generiche, perché non avrebbe mostrato particolare pentimento. Sebbene abbia confessato, lo ha fatto quando era evidente che fosse stato lui a massacrare i familiari. La difesa chiedeva fosse riconosciuto un corretto comportamento processuale per Maja, che avrebbe ammesso davanti a soccorritori e autorità giudiziarie le proprie responsabilità.

La Corte d'Assise ha più volte chiarito che l'imputato ha fatto risparmiare "energie dibattimentali", evitando esami incrociati e ascolto di testimonianze superflue e per questo ha riconosciuto le attenuanti generiche ad Alessandro Maja. Con la sua ammissione di responsabilità, ha "reso superflua la sottoposizione dei congiunti delle vittime e dello stupersite Nicolò all'esame incrociato delle parti" che lo avrebbe portato a "ripercorrere penosamente vicende familiari (..) tristi e dolorosi ricordi".

Nicolò Maja con i nonni
Nicolò Maja con i nonni

La Corte d'Assise però ha rimarcato che "da parte dell'imputato non sia avvenuta nella sostanza alcuna parola di pentimento, non sia stata manifestata alcuna resipiscenza per quanto fatto, specie in danno della moglie". Per quanto il contributo di Maja al processo sia stato riconosciuto dai giudici, le circostanze aggravanti sono risultate prevalenti rispetto alle attenuanti generiche. Per i giudici, i comportamenti di Maja "non possono non essere state consapevolmente volute e caratterizzate da dolo di rilevante intensità". A rafforzare questa convinzione sono le parole pronunciate da Maja subito dopo i massacro, quando alla vicina e ai soccorritori ha dichiarato "l'intenzione di eliminare tutti i membri della famiglia".

In definitiva, la notte fra il 3 e il 4 maggio, dopo essere rimasto sveglio "a rimuginare su problemi di inesistenti o da lui ingigantiti" si era convinto che soltanto "uccidendo moglie e figli" avrebbe risolto i suoi problemi.

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