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Pagare una donna per non abortire non è un “inno alla vita” ma una minaccia alla nostra libertà

Sta facendo discutere in questi giorni la mozione approvata dal comune di Iseo, nel Bresciano, che ha deciso di stanziare un fondo attraverso associazioni pro vita da destinare alle donne che decidono di non abortire. Una scelta solo apparentemente apolitica che sembra ledere ancora una volta in maniera pericolosa la legge 194 che regola l’interruzione volontaria della gravidanza in Italia strizzando l’occhio alle associazioni pro vita e mettendo da parte la libertà di scelta della donna sancita dal diritto.
A cura di Chiara Ammendola
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Le donne che scelgono di abortire lo fanno per i motivi più disparati che quasi sempre hanno poco a che vedere con una mera questione economica. Eppure dopo più di 40 anni la legge 194, quella che regola l'interruzione volontaria di gravidanza in Italia, continua a essere costantemente sotto minaccia, dalle associazioni pro vita, da una cultura che si affanna a cercare nella religione la giustificazione del suo esistere e soprattutto dalla fetta di politica più pericolosa, quella che guarda oltreoceano e che vede nella famiglia, nella più tradizionale delle sue accezioni, la realizzazione dei suoi esponenti.

Così si mina la libertà non solo individuale ma collettiva della figura femminile

E così accade che il comune di Iseo, in provincia di Brescia, decida di approvare una mozione grazie alla quale si potrà erogare un sussidio alla maternità alle donne intenzionate ad abortire. Il denaro che in questo caso sminuisce in maniera violenta la scelta della singola donna diventa un passaporto per la vita. Ed è proprio così che la consigliera del comune bresciano di centrodestra Giovanna Prati ha definito la mozione da lei proposta e poi approvata in consiglio lo scorso 30 settembre: un "inno alla vita". La stessa vita che le numerose associazioni da tempo difendono, con progetti e programmi ai quali possono aderire a quanto pare non solo privati ma anche comuni, come sta accadendo per quello di Iseo, e diversi altri del Bresciano, che sfrutterebbe il canale delle associazioni. Una mossa azzardata e assolutamente politica che mina la libertà non solo individuale ma collettiva della figura femminile e di una scelta del tutto personale.

Non è che le donne decidono di abortire perché vogliono andare dal parrucchiere

Lo sa bene anche la dottoressa Alessandra Kustermann, che fa la ginecologa da 40 anni, e grazie al lavoro svolto presso la clinica Mangiagalli di Milano, ha fatto della difesa dei diritti delle donne in tema di maternità un suo baluardo. E dell'interruzione volontaria di gravidanza ne ha parlato sempre sottolineando il dolore, sovente celato e non manifesto, che si nasconde dietro queste scelte che spesso non sono volontarie ma subite, come accade negli aborti che lei stessa ha affrontato attraverso le sue pazienti: "Quello che la gente che non ha subito un lutto di questo genere non capisce è che la donna si sente colpevole sia se il feto muore in utero spontaneamente, sia se nasce con una malformazione. Non è che le donne decidono di abortire perché vogliono andare dal parrucchiere".

Il principio alla base della legge non può essere messo in discussione

In un momento in cui il tema dell'aborto ritorna prepotentemente a essere oggetto di discussione, bisogna quindi sempre ricordare che c'è una legge in Italia che dal 1978 gli dà forma e costruzione. Ciò che si può ridiscutere, come sovente viene fatto, sono al massimo aspetti medici inerenti alle modalità con cui viene praticato. Mentre dovrebbe essere ben chiaro che non va ridiscusso il principio alla base della legge, che tutela un diritto umano e delle donne.

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