“Non ha impedito il caporalato tra i fornitori che sfruttano operai”: amministrazione giudiziaria per Loro Piana Spa

Il brand di lusso Loro Piana è stato posto in amministrazione giudiziaria da parte del tribunale di Milano. Dalle indagini condotte dal pm Paolo Storari è emerso che la società avrebbe affidato la produzione di capi di abbigliamento a laboratori cinesi in contesti lavorativi di “sfruttamento del lavoro” e “caporalato”. Capi realizzati per poche decine di euro sarebbero poi stati rivenduti negli “store” del brand a prezzi “tra i 1000 e i 3000 euro”.
A cura di Giulia Ghirardi
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Il mondo della moda torna al centro di una nuova inchiesta per caporalato. Questa volta a essere posta in amministrazione giudiziaria da parte del tribunale di Milano è la società Loro Piana, brand di lusso e controllata della multinazionale francese Lvmh. Il provvedimento dei giudici della sezione misure di prevenzione riguarda un'indagine del pm Paolo Storari che ha appurato come Loro Piana avrebbe affidato la produzione di capi di abbigliamento a laboratori cinesi in contesti lavorativi di grave "sfruttamento del lavoro".

Una storia che si ripete con un meccanismo sempre uguale: la casa di moda affida la realizzazione dei capi di abbigliamento a una società, senza alcuna capacità produttiva, la quale esternalizza il processo produttivo a un’altra azienda che, a sua volta, al fine di abbattere i costi, ne affida la produzione a opifici cinesi dove vige lo "sfruttamento di manodopera irregolare e clandestina". Una “prassi illecita così radicata e collaudata da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business”, scrive il pm. Stando infatti agli atti dell'inchiesta che Fanpage.it ha potuto visionare, le blasonate "giacche in cashmere" di Loro Piana sarebbero state realizzate in laboratori cinesi al "costo unitario" di circa un "centinaio di euro" per ciascun capo, poi rivenduti negli "store" del brand a prezzi "tra i 1000 e i 3000 euro".

È proprio uno di questi lavoratori sfruttati e invisibili che a maggio di quest'anno ha deciso di sporgere denuncia contro il titolare dell'opificio per lesioni e sfruttamento. “Imponeva lo svolgimento di 13 ore giornaliere, dalle 9 di mattina alle 10 di sera, solo mezz’ora di pausa per pranzo e mezz’ora per cena", ha riferito l'uomo agli inquirenti. "Nessun giorno di riposo è mai stato concesso. Lo stipendio era in contanti, a volte tramite bonifici da un’altra persona. Dal 2015 vivo in una sorta di dormitorio attiguo alla fabbrica”, in un contesto di violenza, soprusi e minacce.

Le indagini hanno quindi portato a identificare 21 lavoratori, di cui 10 occupati in “nero” tutti di origini cinesi (7 erano anche clandestini sul territorio nazionale) che lavoravano in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri ecc.), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione ecc.) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico.

Sono stati deferiti all’A.G. per caporalato e altro 2 titolari, di diritto o di fatto, di altrettante aziende, 7 lavoratori non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale e 2 titolari dell’azienda sub-affidataria (cittadini italiani) per violazioni della normativa sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. In più, sono state date ammende pari a 181 mila euro e sanzioni amministrative pari a 59 mila euro e per i 2 opifici cinesi è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro “nero”.

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