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Mantova, traffico illegale di rifiuti: sequestrati 6 milioni di euro a due imprenditori

Due imprenditori di una ditta di smaltimento e recupero rifiuti nel Mantovano sono stati destinatari di un’ordinanza di misura cautelare con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. L’operazione dei carabinieri forestali di Brescia ha portato anche al sequestro di beni e società dal valore di 6 milioni di euro riconducibili ai due imprenditori.
A cura di Giorgia Venturini
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Foto di repertorio
Foto di repertorio

Ammonterebbe a 6 milioni di euro il valore complessivo dei beni sequestrati questa mattina a due imprenditori coinvolti negli affari legati allo smaltimento illegale di rifiuti. Protagonisti in negativo dell'ordinanza eseguita questa mattina dalla Dia (Direzione investigativa antimafia), dal gruppo carabinieri forestale e dalla polizia giudiziaria della Procura di Brescia, sono un 58enne residente a Erbusco, in provincia di Brescia, e un 49enne di Revere, in provincia di Mantova. Entrambi sono ora sottoposti all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, mentre i loro beni, tra immobili, comprendi aziendali e quote di varie società, con sedi legali nelle province di Brescia, Mantova e Cremona, sono stati tutti sequestrati.

Gli imprenditori già indagati nel 2016 per traffico illegale di smaltimento rifiuti

Dalle indagini, successive a una prima operazione denominata "Similargilla" del 2016, è emerso come i due imprenditori riuscivano a fare affari illegalmente nel settore dei rifiuti: secondo quanto affermato dai carabinieri forestali di Brescia a Fanpage.it, il 58enne e il 49enne erano a capo di una ditta di Mantova impegnata nell'attività di recupero dei rifiuti che avrebbero dovuto reimmettere sul mercato come un materiale simile all'argilla. Peccato che il processo di trasformazione non avveniva e il finto rifiuto recuperato veniva venduto ad acquirenti scelti proprio dalla stessa azienda. Ciò permetteva ai due imprenditori di risparmiare importanti somme di denaro godendo di un ingiusto risparmio di costi a scapito dei principi di tutela e salvaguardia dell'ambiente. I rifiuti rivenduti non soddisfacevano, infatti, i requisiti del Testo unico sull'ambiente. L'azienda, dal momento che non completava i lavori di recupero, riusciva ad avere prezzi competitivi sul mercato e, dunque, a guadagnare. Non solo, parte dei rifiuti venivano illecitamente smaltiti in due siti nella provincia di Brescia, nonché in provincia di Verona e Cremona.

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