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La maschera licenziata per aver gridato “Palestina Libera”: “Sarò risarcita dalla Scala. È una vittoria politica”

Una maschera della Scala è stata licenziata dopo aver gridato “Palestina libera”. Dopo aver vinto la battaglia legale contro il Teatro, accusato di “licenziamento illegittimo”, la ragazza ha raccontato la sua storia a Fanpage.it.
A cura di Giulia Ghirardi
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Teatro alla Scala di Milano – Foto da LaPresse
Teatro alla Scala di Milano – Foto da LaPresse

"Ho deciso di intraprendere la battaglia legale contro il Teatro alla Scala perché è una battaglia politica. La sentenza mi fa sentire bene. Ora aspetto le motivazioni". A parlare a Fanpage.it è la maschera che lo scorso 4 maggio è stata licenziata per aver gridato "Palestina Libera" in occasione del concerto inaugurale della 58esima assemblea dell’Asian Development Bank organizzato dal MEF (Ministero dell'economia e delle finanze) a cui ha partecipato Giorgia Meloni. A circa 6 mesi di distanza, la Scala è stata condannata dal Tribunale del Lavoro per "licenziamento illegittimo" e ora dovrà risarcire la maschera di tutte le mensilità che intercorrono dal licenziamento alla scadenza naturale del contratto, oltre che delle spese legali.

Dal licenziamento alla vittoria legale: il racconto della maschera

Lo scorso 4 maggio al Teatro alla Scala di Milano si è tenuto il concerto inaugurale della 58esima assemblea dell’Asian Development Bank, un evento non aperto al pubblico. Tra i presenti anche Israele, che è il 69esimo membro con il ministro Bezalel Smotrich.

Poco prima dell'inizio della serata, la maschera ha gridato "Palestina libera". "Un'azione per esprimere un messaggio politico perché la Scala si è mostrata indifferente e quindi complice davanti al genocidio palestinese", ha spiegato la maschera a Fanpage.it. "Non è un caso visto che la Scala è un teatro elitario ed è sostenuto da sponsor come Intesa Sanpaolo, Allianz, Crédit Agricole e istituti finanziari con investimenti nell'industria bellica".

Azione che, però, le è valso il licenziamento. "Tra le diverse conseguenze nelle quali sarei potuta incorrere, non mi aspettavo il licenziamento", ha continuato la maschera. "Così facendo la Scala ha peggiorato la situazione perché la mediatizzazione della mia storia l'ha creata la stessa direzione del Teatro licenziandomi, non il piccolo gesto che ho compiuto in una sala blindata".

In seguito, lo scorso 6 giugno, in occasione della prima del Siegfried di Richard Wagner, il Teatro alla Scala ha poi proiettato alcuni messaggi di pace sul palcoscenico, voluti dai lavoratori scaligeri: "Cessate il fuoco!", "Stop the war!". "Un'azione per salvarsi la faccia dopo quanto accaduto", ha commentato a riguardo la maschera. "Rimane il fatto che, a parte questo, la Scala non ha mai preso una posizione politica forte sulla questione palestinese".

Proprio per questo, per mandare un messaggio politico, dopo il licenziamento la maschera ha deciso di intraprendere una battaglia legale contro il Teatro alla Scala affiancata dal sindacato Cub e dall'avvocato Villari. Battaglia che ieri, giovedì 27 novembre, si è conclusa con la vittoria della ragazza. "Ottenerla è stato importante perché dimostra che anche noi lavoratori abbiamo potere e dobbiamo lottare tutte e tutti insieme contro questa repressione", ha rincarato la maschera.

"Penso che il mio caso abbia aperto un dibattito più ampio sulla libertà d'espressione", ha concluso la ragazza a Fanpage.it riflettendo su un punto chiave della vicenda: "La vera cultura è apertura politica anche quando è scomoda, non solo quando conviene. Non può essere scavalcata dalla cieca obbedienza". Questo perché "non siamo automi, ma persone con una coscienza e una dignità che devono essere libere di prendere una posizione, soprattutto davanti a un genocidio".

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