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Arresti tra ultras di Milan e Inter

La confessione del capo ultrà interista Marco Ferdico: “Ecco come abbiamo ucciso Vittorio Boiocchi”

La confessione di Marco Ferdico, numero due della Curva Nord interista già condannato a 8 anni nell’ambito dell’inchiesta ultrà sul tifo organizzato di San Siro. “La pistola è in un laghetto. Mio padre diceva di non fare questo omicidio, l’avrei pagata”
A cura di Francesca Del Boca
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È inizio luglio del 2022, a Milano. "Andrea Beretta mi dice che vuole uccidere Boiocchi". Così inizia la confessione di Marco Ferdico, capo ultrà interista già condannato a 8 anni nel maxi blitz dell’inchiesta Doppia Curva e ora accusato dell'omicidio dell'ex numero uno della Curva Nord Vittorio Boiocchi, avvenuto il 29 ottobre 2022 e finora rimasto irrisolto. Un delitto a cui avrebbero partecipato Andrea Beretta, numero due poi salito al vertice della Curva, in qualità di mandante; il padre di Ferdico Gianfranco; il suocero Pietro Andrea Simoncini alla guida dello scooter e il tifoso Daniel "Bellebuono" D'Alessandro come mano armata che ha puntato contro "lo Zio" Boiocchi, freddandolo a colpi di pistola sotto la sua abitazione al Figino. 

"Mio padre mi diceva che non dovevo fare questo omicidio perché l’avrei pagata", racconta anni dopo Ferdico, 39 anni, portavoce della Curva Nord interista vicino ad Antonio Bellocco. Una versione che combacia con quella di Beretta, primo del gruppo a rendere la sua confessione. "Andrea Beretta mi dice che vuole uccidere Boiocchi, avevano litigato ed era spaventato", si legge nei verbali di pochi mesi fa. I due si incontrano la sera prima della commemorazione dell'ultrà laziale Fabrizio "Diabolik" Piscitelli. Lì inizia tutto. "Accetto di partecipare all’omicidio ma di non volerlo eseguire. Ero comunque affascinato dalla possibilità di prendere il comando della Curva”. 

È Beretta, stando a quanto sostiene Ferdico, a procurare la moto e la pistola per l'agguato in via Fratelli Zanzottera. "L'abbiamo provata sparando vicino al Carrefour. All'inizio non sapevo ancora chi poteva eseguire l’omicidio. Beretta mi dice che paga 50mila euro", consegnati nelle mani di Ferdico direttamente dallo storico corista Mauro Nepi, "dicendo anche che aveva due persone dell’Est". Ma Ferdico pensa al suocero, Pietro Andrea Simoncini, cui prestavo sempre dei soldi”, e a D’Alessandro, “che mi doveva sempre dei soldi”: “Entrambi accettano dietro il compenso di 25mila euro a testa”

Poi dà indicazioni sul percorso (rigorosamente lontano dalle telecamere) e sulle modalità per aggredire "lo Zio", da decenni potentissimo capo della Curva Nord e degli affari ad essa legati. Sarebbero stati Marco Ferdico e il padre a fare sopralluoghi, a fornire ai killer "le basi logistiche, i mezzi di trasporto", tra cui un furgone per caricare lo scooter (intestato a Cristian Ferrario, dipendente del negozio di merchandising di Andrea Beretta "We Are Milano", e poi riverniciato) fino al luogo del delitto, i cellulari criptat" olandesi per le comunicazioni. I due si sono occupati anche di "buttare i vestiti" e i telefoni utilizzati "nei tombini in zona via Padova", mentre la pistola viene "lanciata in un laghetto artificiale a Trezzano sul Naviglio, nei pressi di cascina Gaggia".

Un delitto quasi perfetto, rimasto irrisolto per tre anni. Fino all'omicidio di Antonio Bellocco e all'inchiesta della Dda di Milano, che ha scoperchiato le "modalità mafiose" dei rapporti che regolavano la Curva nerazzurra di San Siro.

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