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Insulti a Liliana Segre, 8 hater vanno a processo a Milano: “Un attacco inaccettabile alla memoria”

Otto “hater” che sui social hanno insultato Liliana Segre, senatrice a vita sopravvissuta alla Shoah, sono stati mandati a processo per diffamazione aggravata dall’odio raziale. La prima udienza è stata fissata il prossimo 19 febbraio.
A cura di Giulia Ghirardi
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Liliana Segre (foto da LaPresse)
Liliana Segre (foto da LaPresse)

Sono stati mandati a processo, con citazione diretta a giudizio da parte della Procura di Milano, otto "hater" che sui social hanno insultato Liliana Segre, senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah. La prima udienza è stata fissata il prossimo 19 febbraio davanti al Tribunale milanese.

Secondo quanto trapelato sino a questo momento, si tratterebbe di uno dei filoni della maxi inchiesta coordinata dal pm Nicola Rossato che, lo scorso aprile, era passata anche per la decisione del gip Alberto Carboni dopo le istanze di opposizione alle archiviazioni dell'avvocato di Segre, Vincenzo Saponara. Il giudice, infatti, aveva ordinato alla Procura di identificare, con nuovi accertamenti, le persone che si nascondevano dietro a 86 account, di iscriverne 9 che erano state individuate ma non indagate, tra cui anche Nicola Barreca, che all'epoca era segretario cittadino della Lega a Reggio Calabria. In più, aveva stabilito che il pm doveva formulare l'imputazione coatta, ossia il decreto di citazione diretta a giudizio mandando a processo altri sette indagati. Lo stesso pm, qualche mese prima, aveva chiuso le indagini per la citazione a giudizio, ma solo nei confronti di dodici persone, tra cui No vax e Pro Pal.

Ora, nell'ambito di questa maxi indagine, è stato mandato a giudizio il primo filone che riguarda 8 imputati. Nel suo provvedimento, tra le altre cose, il gip aveva fatto presente che accusare "di nazismo", come emerso da molti messaggi sul web, "una reduce dai campi di sterminio" è diffamazione aggravata dalla finalità discriminatoria, ossia dall'odio razziale, perché è "uno sfregio alla verità oggettiva" e "la più infamante delle offese per la reputazione di chi ha speso la propria vita per testimoniare gli orrori del regime e per coltivare la memoria dell'Olocausto".

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