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Elisa, detenuta trans a Como che non può lavorare: “La mia doppia prigionia, tra pena e identità negata”

Il carcere Bassone di Como è uno dei pochi in Italia ad avere una sezione dedicata alle persone che stanno affrontando un percorso di transizione di genere. Tra queste c’è anche Elisa, detenuta trans alla quale non è permesso lavorare all’esterno. Attraverso la sua storia Fanpage.it vuole evidenziare quanto, ancora oggi, il sistema penitenziario italiano sia arretrato e, di fatto, inadeguato nella tutela dei diritti delle persone trans.
A cura di Giulia Ghirardi
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Immagine di repertorio
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Nel carcere del Bassone, a Como, esiste una piccola sezione dedicata alle persone che stanno affrontando un percorso di transizione di genere. Lì è reclusa Elisa (nome di fantasia), una donna trans detenuta che, nonostante la buona condotta e la disponibilità al lavoro, si trova oggi intrappolata in una sorta di limbo giuridico e identitario. Il caso è stato segnalato a Fanpage.it che ha deciso di dare spazio alla sua storia per affrontare una situazione che esiste in molte carceri italiane che si dimostrano ancora impreparate e – di fatto – molto indietro sul tema della tutela dei diritti civili e delle persone che stanno affrontando un percorso di transizione di genere.

Ma facciamo un passo indietro. Secondo il il diciottesimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, presentato da Antigone nel 2022, sarebbero soltanto 12 su 189 (3,7 per cento) gli istituti penitenziari in grado di accogliere persone che affrontano un percorso di transizione di genere con una sezione loro dedicata. Un dato allarmante che dimostra quanto il sistema carcerario italiano sia ancora impreparato a tutelare adeguatamente le persone trans, esponendole a condizioni di isolamento, discriminazione e vulnerabilità.

Una rigidità normativa che ha ricadute dirette anche sul percorso di reinserimento sociale che, secondo le legge, dovrebbe essere garantito a ogni detenuta e detenuto. Nelle poche sezioni dedicate alle persone trans, infatti, le opportunità di accedere al lavoro, alla formazione e alle misure alternative – come la semi-libertà o l’affidamento in prova – risultano spesso limitate o del tutto assenti. E nonostante le raccomandazioni del Comitato Europeo, la regola vigente in Italia rimane rigida: chi non ha concluso la transizione resta confinato in queste sezioni dove il numero ridotto di detenuti e la marginalità della struttura rendono difficile attivare programmi individualizzati e – di fatto – finiscono per ghettizzare chiunque si trovi ad affrontare un percorso di transizione al suo interno.

Così, però, il risultato è una doppia discriminazione: da un lato l’impossibilità di accedere agli stessi diritti e percorsi offerti agli altri detenuti, dall’altro, il rallentamento – se non l’interruzione – di quel processo di reintegrazione sociale che è il fine al quale deve tendere la pena di ogni detenuta e detenuto. O, almeno dovrebbe, secondo la Costituzione.

La storia di Elisa, detenuta trans che vive una doppia prigionia

Il 27 giugno scorso, l'associazione Nessuno tocchi Caino, la Camera Penale di Como e Lecco e alcuni membri del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Como e di Lecco hanno organizzato una visita alla Casa Circondariale di Como. Da tale visita è nato un report che, partendo da un'analisi sul tasso di sovraffollamento all'interno dell'Istituto stimato intorno al 192 per cento, ha analizzato le condizioni generali che esistono all'interno del carcere.

Tra i diversi casi, che sono stati segnalati, c'è anche quello di Elisa, una detenuta trans reclusa nella III sezione a trattamento avanzato. Elisa ha già scontato due terzi della pena e sta seguendo il percorso previsto dalla Legge sull’ordinamento penitenziario per il graduale reinserimento nella società. Al momento, la detenuta si trova in regime di "articolo 20", quella condizione che – detto in altre parole – le permette di lavorare all'interno del carcere e, con il tempo, di accedere a forme di semi-libertà offerte dallo step successivo, il cosiddetto "articolo 21", che consente alle detenute di svolgere attività lavorativa anche all'esterno dell'Istituto.

"Il problema è che, nonostante il personale del carcere riconosca la buona condotta di Elisa, le viene negato proprio il passaggio all’articolo 21", ha spiegato a Fanpage.it l'Associazione Nessuno tocchi Caino. "Il motivo? Il suo documento anagrafico che riporta ancora il nome e il genere maschile della nascita e questo, stando alle regole vigenti in Italia, rimane un impedimento all'accesso a queste forme di semi-libertà che vengono garantite soltanto con l'arrivo dei nuovi documenti".

Un ostacolo burocratico, dunque, che si traduce in una forma di esclusione concreta perché Elisa non può essere trasferita nella sezione femminile e, al tempo stesso, non può godere delle opportunità che spetterebbero a chi dimostra di "meritare" un graduale reinserimento nella società. Eppure, le raccomandazioni del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura sono chiare: "Una persona trans deve poter essere collocata nella sezione del genere a cui sente di appartenere, anche se i documenti non sono ancora aggiornati", ha ribadito l'Associazione. Una possibilità che, però, in Italia resta inascoltata.

Perché, per farlo, servirebbe attivare un percorso speciale, ad hoc per ogni persona. "Attivare percorsi di questo tipo non è semplice. Al tempo del mio incarico, il carcere sosteneva di non poterle garantire un percorso individualizzato finché non avesse completato la transizione", ha raccontato a Fanpage.it Alessandra Gaetani, ex Garante dei detenuti di Como. "In realtà ci sarebbero stati spazi adattabili per attuare questo programma prima della fine della transizione di Elisa, ma, a causa della carenza di organico, mancava il personale che è necessario in questi casi”.

Infatti, come emerge dalla Relazione di fine mandato di Gaetani redatta a giugno 2025, la situazione fotografata al Bassone sarebbe quella di un carcere caratterizzato da sovraffollamento, scarsità di agenti e sezioni inadeguate. Il risultato è che Elisa, come molte altre persone trans detenute, si trova a vivere una doppia prigionia: quella della pena e quella dell’identità negata. E non è l'unica, perché in Italia le sezioni dedicate alle persone trans sono poche e spesso isolate, senza reali percorsi di reinserimento o di accesso al lavoro.

In più, secondo i dati raccolti dal tavolo nazionale dei garanti territoriali, e nonostante le raccomandazioni del Comitato Europeo, la regola vigente in Italia è ancora molto rigida: chi non ha concluso la transizione resta nella sezione trans o, in mancanza, in quella del genere di nascita. Solo il completamento legale e medico del percorso apre le porte al trasferimento. Si tratta quindi di una norma che, di fatto, esclude chi non ha ancora potuto aggiornare i propri documenti o terminare le procedure sanitarie, spesso per ostacoli economici o burocratici. “E in questa situazione il Garante può solo esercitare una moral suasion", ha ricordato Gaetani a Fanpage.it. "Ma non ha strumenti concreti per imporre il rispetto dei diritti in queste zone grigie”.

Intanto, in un quadro già allarmante, il posto del Garante dei detenuti a Como è vacante da giugno. Un vuoto che pesa, che rende il carcere un luogo ancora più invisibile: una vera e propria dimensione fantasma all’interno della città. Almeno, finché non emerge una storia come quella di Elisa, simbolo di un sistema più ampio che, ancora oggi, finisce inevitabilmente per condannare le persone trans a una doppia prigionia, senza riconoscimento né libertà.

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