I gemelli cestisti Franco e Dino Boselli: “Nel basket di oggi manca l’anima. Noi? Uniti come allora”

Classe 1958 e nati entrambi il 10 febbraio. Sono i gemelli Franco e Dino Boselli, ex cestisti, il primo legato alla Pallacanestro Olimpia Milano, in cui ha militato per tanti anni (per intenderci ha giocato con compagni del calibro di Meneghin, Mc Adoo, Mike D’Antoni…), il secondo a cui, oltre agli anni milanesi con il gemello Franco, vanno accostati anni con la Pallacanestro Varese. Ora cosa fanno? Pensionati sereni, guardano la vita dall'alto dei loro anni di saggezza. Fanpage.it li ha incontrati.
Come è cambiato il basket rispetto ai vostri tempi?
Franco: La differenza non è tanto tecnica quanto nel gioco. Non ci sono, diciamo, ruoli prestabiliti. È più veloce, più fisico, con difese più aggressive.
Dino: È cambiato molto, sotto tanti punti di vista. Come dice Franco, nel basket moderno, non ha senso parlare di ruoli. I giocatori sono più alti, più grossi, più veloci. Tecnicamente, rispetto ai miei tempi, mi sembra più povero. Se uno guarda una partita, giocano un po' tutti alla stessa maniera: penetrazione o scarico e tiro da tre punti. Ne guadagnano la fisicità e l’aggressività.
Sempre in tema di cambiamenti, come è cambiata Milano in tutti questi anni?
Franco: È cambiata non poco. Adesso si sta riqualificando dal punto di vista estetico-urbanistico. Prima c'era più socializzazione, pur essendo una città ‘di corsa' e con ritmi frenetici. Ora ci si è distaccati troppo dai rapporti umani. C’è troppa lontananza tra le persone. È un po' il segno dei tempi.
Dino: Milano è diventata una vera città europea rispetto a quando io ero ragazzo. Alcune scelte sono condivisibili, altre meno. È una città che ha dei mezzi pubblici di buona efficienza, ma ancora lontana dai livelli di Londra e Parigi. Sulla viabilità, sono d'accordo per quanto riguarda la sostenibilità che è da condividere e favorire, però occorre vedere come si può coniugare con il traffico di Milano.
Da questo punto di vista, sono un po' perplesso. Milano è comunque migliorata: sono state ripristinate aree dismesse dimenticate per anni. Occorre evitare, però che certe zone vadano in mano a gang che spadroneggiano e delinquono.
Il vostro rapporto, prima nella stessa squadra a Milano e poi in due compagini diverse, ha mai avuto crisi profonde o si è rafforzato?
Franco: Quando giocavamo contro c'era competizione. Il rapporto umano non è mai stato in discussione indipendentemente dalla squadra in cui giocavamo. Direi addirittura, appunto, che si è quasi rafforzato. La solidarietà era davvero forte.
Dino: Abbiamo sempre avuto una comunione di idee e un rapporto bellissimo, che continua tuttora. Non ci sono mai stati traumi o invidie. Inoltre, la nostra professione si è dipanata più o meno agli stessi livelli. Certo, lui a Milano, negli anni d’oro, ha conseguito diversi trofei e titoli che io non ho ottenuto, ma le nostre presenze in nazionale, per esempio, si equivalgono. Un forte rapporto quindi merito dei nostri genitori che ci hanno dato una grande educazione. Siamo sempre stati vicini, ci aiutiamo l’un con l’altro, in ogni lato della nostra vita. Franco, è il mio primo punto di riferimento.
Giocare al fianco di grandi campioni, così come avete fatto voi, è stato un grande vantaggio?
Franco: Sicuramente. Magari a fianco di chi gioca nel tuo ruolo, prendi da lui qualcosa. Poi, ciascuno ha il suo talento. La cosa è un po' bifronte: da un lato è un vantaggio, dall’altro, se il campione gioca nel tuo ruolo, tu sei più chiuso: impari, ma giochi meno.
Se vuoi mettere in pratica quello che hai imparato ma la situazione è un po' chiusa, allora conviene andare da un'altra parte. D’altro canto, se giochi poco con tanti campioni, vuol dire che giochi in una squadra forte, per cui hai soddisfazioni da un punto di vista dei risultati. L’importante è sentirsi comunque un giocatore, indipendentemente dal ruolo svolto e da quanti minuti giochi.
Dino: Certamente, perché questo ti migliora. Ti costringe ad allenarti forte, magari più degli altri. Ti aiuta a crearti una mentalità. Confrontarti con uno come D’Antoni, fisicamente e tecnicamente, ogni giorno sul campo, ti migliora. Gli errori che prima commettevi, poi non li facevi più. Prestavi più attenzione.
A vostro avviso, un giovane, nello sport in generale, deve ispirarsi ai grandi campioni con l’obiettivo di superarli o deve arrivare in punta di piedi e considerarsi soddisfatto per poter giocare al loro fianco?
Franco: Deve essere sicuramente uno stimolo e un incentivo. Ogni giocatore che approccia qualsiasi sport ad alto livello può ottenere il massimo. Senza dover star male al pensiero di eguagliare o superare il grande campione. Deve essere realista e sapere quali sono i propri limiti. Nello stesso tempo, deve cercare di superarli, perché tutti tendono al massimo risultato.
Dino: Innanzitutto è una motivazione per spingerti ad arrivare in alto. Purtroppo, è sempre più difficile. Io ho pensato a divertirmi e non a diventare un professionista. Poi è capitato. Sono stato fortunato ed è stato anche merito mio, delle mie capacità e del mio impegno.
Adesso a 13-14-15 anni, ti si avvicina il procuratore e ti fa intravvedere facili traguardi. Quindi è sempre più difficile andare avanti con il divertimento. Finché si può, però bisogna farlo e continuare a ispirarsi ai campioni. Ma non per diventare ricchi come loro, bensì perché sono un esempio di continuità, sacrificio e impegno. Quindi l'obiettivo diventa di raggiungerli se non superarli
Ritorniamo a Milano. Franco (Dino) Boselli è il sindaco di questa città. Quali sono i primi tre provvedimenti che prenderesti?
Franco: Darei subito le dimissioni perché è veramente troppo difficile…(ride). In primis, affronterei la questione sicurezza. Cercando di combattere quelli che sono definiti "piccoli reati", ma che in realtà non lo sono. Per dare la sensazione ai cittadini che sei tutelato e che non devi avere paura.
In secondo luogo, studierei qualcosa per migliorare la viabilità. La città diventa sostenibile in determinate situazioni. Capisco il "green", ma certe circostanze non fanno bene al commercio. Un esempio su tutti: in corso Buenos Aires c’è una pista ciclabile, più grande della corsia dove vanno le auto. Occorre ragionevolezza e buon senso. O ancora la questione parcheggi: l’altro giorno, sono andato in piazza Cavour e ho parcheggiato l'auto nelle strisce blu. Ho pagato, ma non potevo stare più di due ore.
In questo modo, non ho più voglia di entrare in città in auto. Capisco che gli amministratori cittadini ci dicono "girate con i mezzi pubblici", ma è una libertà che mi tolgono. Se voglio parcheggiare per otto ore, non posso farlo. Il terzo provvedimento riguarderebbe gli spazi di riqualificazione in cui si possono costruire abitazioni e promuovere il verde. Il problema è il costo degli alloggi. Alcuni non possono venire a Milano perché, pur avendo vinto magari dei concorsi, per trovare un alloggio in affitto devono svenarsi. Non è giusto, è inconcepibile.
Dino: Anch'io, al primo posto, metterei la questione sicurezza integrata, so che è difficile, a un sistema di accoglienza che possa migliorare. Le persone che fuggono dai loro Paesi e vengono qui, hanno diritto a un'accoglienza umana. Quindi prenderei decisioni politiche, in questo senso, molto più veloci.
Il secondo riguarda il recupero di certe aree, soprattutto le periferie. Il che è collegato alla questione sicurezza. Occorrono periferie attrezzate, servizi adeguati. Altrimenti il rischio di pericolose derive è enorme. Il terzo provvedimento prende di mira la burocrazia, che opprime il cittadino. Sarebbe necessario liberarlo da questa macchina incombente e opprimente.
Un gruppo, una squadra di amici veri, ha un’arma vincente in più?
Franco: Secondo me, sì. Se vai d’accordo, se remi nella stessa direzione, se conosci bene compagni e allenatore, non hai quegli attriti che potresti avere quando i tuoi interessi personali, come giocatore, possono sopravanzare quelli della squadra. Capisci e comprendi meglio gli errori che ognuno fa. Se invece non vai d’accordo, tendi sempre a scaricare su altri le colpe.
Dino: Sì, perché in un gruppo di amici si riconoscono i limiti del compagno, ma anche i propri e cerchi di migliorare te stesso e i tuoi compagni. Se hanno difficoltà, tecniche o psicologiche, gliele riconosci e cerchi di migliorarli. Ognuno deve essere a disposizione degli altri.
Da atleta, che cosa non sopportavi assolutamente in un avversario?
Franco: A me personalmente non è mai capitato, ma non sopportavo che ad altri capitassero situazioni di non rispetto, che venissero presi in giro o in generale l'atteggiamento strafottente o a parole quando perdevi. Questo non mi andava giù. Ma, come dicevo, non mi è mai capitato.
Dino: Il fare i furbi in campo. Tenerti per la maglia, simulare scorrettezze inesistenti o lamentare gravi colpi quando, in realtà, erano davvero lievi. In buona sostanza, le furberie.
Un’ultima domanda: Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Franco: Dal punto di vista sportivo, ho raggiunto quello che un giocatore si augura di raggiungere. Ho vinto il titolo italiano, la Coppa dei Campioni. Mi sarebbe piaciuto, forse, stare di più in nazionale. Ma non è un vero rimpianto. Mi sarebbe piaciuto andare con gli azzurri alle Olimpiadi.
Dal punto di vista sportivo gradirei che il Milan tornasse quello di Sacchi. Ma perché sono milanista, non per altro. Dal punto di vista umano, tutto sommato, la mia vita è andata bene. Più soddisfazioni che non delusioni. Considerata l’età, il mio sogno nel cassetto è quello di poter vivere gli anni che mi rimangono in maniera serena. Non chiedo altro.
Dino: Dal punto di vista umano, visto che non ho più 20 anni, augurare a mio figlio di raggiungere le migliori soddisfazioni, rispettando la gente ed essendo sempre una persona educata. Gli arroganti non mi sono stati mai simpatici, anche se in questi tempi moderni, essere umili non sembra essere una grande virtù. Sono andato in pensione da poco. Per quanto mi riguarda, spero in una vita ancora serena. Obiettivi professionali, non ne ho più.