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Francesco, medico di base a 27 anni: “Rifarei questa scelta, la mia passione sono le persone”

Francesco Avarello ha 27 anni e da due è medico di base a Pioltello. Lavora fino a 12 ore al giorno, ma la sua è una categoria ignorata e penalizzata.
A cura di Chiara Daffini
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Francesco Avarello, 27 anni, medico di base
Francesco Avarello, 27 anni, medico di base

Lo studio è su una strada vivace e multietnica di Pioltello, nel Milanese. Tra i mercati della frutta e la gente a passeggio sembra quasi di essere al mare, ma per Francesco Avarello, medico di medicina generale dal 2020, il clima è tutto fuor che di vacanza. “Ho 27 anni, mi sono laureato nell’autunno del 2019 e ho iniziato a lavorare in questo studio a maggio del 2020, in piena pandemia. L’Ats di Milano – spiega a Fanpage.it – aveva forte necessità e stava quindi reclutando nuovi medici di base”.

Addio a migliaia di medici di base

La Lombardia è una delle zone dove il carico di pazienti è più elevato, ma la crisi si avverte in tutta Italia, che, con oltre 1.400 abitanti per medico di medicina generale, soffre di una carenza di assistenza primaria rispetto alla maggior parte dei Paesi europei, in particolar modo quelli del Nord Europa. Ad aggravare la situazione è la prospettiva futura: i professionisti che andranno in pensione da qui al 2028 eccedono quelli in entrata: pur considerando ulteriori 900 borse annuali per la formazione di questa categoria (previste nel fondi Pnrr), dovremmo perdere tra i 9.200 e 12.400 medici di famiglia nei prossimi sei anni, circa tremila solo in Lombardia. Un dato che segue il trend della storia italiana recente: secondo le elaborazioni dell’Osservatorio conti pubblici (Ocp) su dati Istat, nel nostro Paese il numero di medici di base è passato da circa 45.500 nel 2012 a 42.420 nel 2019 e oggi 1,5 milioni di italiani sono senza il proprio medico di fiducia.

Medico di base? No, grazie

Nella sola Lombardia, su un totale di 5.852 medici generali, 2.270 hanno più di 60 anni, ma la professione non attrae nuove leve: “Siamo considerati medici di serie b – commenta Avarello a Fanpage.it -, ‘passa carte’ che si limitano a mandare dagli specialisti e a fare le ricette ordinate dagli specialisti. Un tempo non era così: solo gli studenti di medicina più bravi venivano indirizzati a questa professione, che richiede una conoscenza a 360 gradi e comporta forti responsabilità”. Cosa non attira è presto detto: “È un problema culturale – precisa il giovane medico a Fanpage.it -: i pazienti sono abituati a dare per scontato che la disponibilità del medico di famiglia, proprio perché ‘di famiglia’ e quindi generalmente con un rapporto di confidenza che dura da anni, siano disponibili a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno, alla fine non stacchiamo mai”.

“Non mi ricordo nemmeno più quali dovrebbero essere i miei orari”

“Gli orari dello studio – continua Avarello – sono ben diversi da quelli riportati sul cartello fuori dalla porta, non me li ricordo più i miei, perché tanto non valgono mai. Oggi, per esempio, dovevo fare dalle 15 alle 18, ma sono qui dalle 9.30 e sicuramente non me ne andrò fino alle 20. C’è anche tanta burocrazia, la parte più noiosa, ma il problema principale è la mancanza di colleghi. Ora Ats Milano ha chiesto a noi medici della zona di aumentare il carico di assistiti da 1.500 a duemila, il che significa il 30 per cento di lavoro in più rispetto a un carico già molto gravoso”.

L’angoscia per i pazienti persi durante il Covid

“Nel periodo del Covid ricevevo centinaia di chiamate ogni giorno e avevo appena iniziato – ricorda il medico a Fanpage.it  -, il momento peggiore è stato prima dei vaccini, quando oltre al lavoro massacrante c’era l’angoscia per i pazienti che sapevo non avrei rivisto. Ricordo in particolare uno di loro, ero andato a visitarlo a casa e subito avevo allertato il 112. Sono rimasto con lui finché non è arrivata l’ambulanza, ma poco dopo se n’è andato, non ce l’ha fatta”.

“Sono contento della mia scelta”

“Eppure rifarei questa scelta – dice convinto Francesco -. Quando dovevo decidere la specializzazione, a differenza di tanti miei compagni di corso, non trovavo una branca della medicina che mi appassionasse più di altre. Quello per cui mi sentivo motivato era ed è il rapporto con le persone, che tutt’oggi coltivo giorno dopo giorno. I pazienti danno molte soddisfazioni, si vede quando sono felici di essere stati ascoltati e per me è una gratificazione. Basta anche una brioche o un caffè, come una paziente proprio stamattina che me l’ha portato in studio e l’abbiamo bevuto insieme”.

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