Dal sopralluogo a San Siro all’agguato: così è stato pianificato l’omicidio dell’ex capo ultrà Vittorio Boiocchi

Una vera e propria esecuzione, pianificata nei dettagli per settimane. È l'omicidio di Vittorio Boiocchi, ex capo ultrà interista ucciso sotto casa sua a Milano nell'ottobre del 2022 da killer mai identificati. Fino alle rivelazioni del mandante del delitto, il suo storico numero due Andrea Beretta. Che per sbarazzarsi dello "Zio" e della sua ormai ingombrante presenza negli affari della Curva Nord ingaggia il portavoce nerazzurro Marco Ferdico. "Abbiamo organizzato tutto noi", confessa Beretta, seguito da tutti gli altri partecipanti.
Il movente dell'omicidio di Vittorio Boiocchi
Per detronizzare Boiocchi, Beretta si affida infatti all'"ufficio stampa" della Curva Marco Ferdico, altrettanto desideroso di entrare nel business del merchandising e anche lui carico di rancori contro il vecchio leader interista, che aveva preso le redini della Nord nel 2017 dopo la morte di Daniele "Dede" Belardinelli negli scontri con i tifosi napoletani. Un altro colpo di Stato interno, portato a termine da Boiocchi proprio con il supporto di Beretta, che di fatto ha aperto la strada alla trasformazione del tifo organizzato in sistema criminale. Ma il sodalizio tra i due, a un certo punto, si incrina. "Avevo saputo che anche Marco aveva avuto uno screzio pesante con Vittorio", riferisce Beretta, "perché durante una partita in cui l'Inter aveva giocato male Marco aveva messo dei commenti negativi sui social, sulla squadra e sull'allenatore, ed era stato ripreso fortemente da Vittorio che gli aveva intimato di non scrivere più nulla sui social, altrimenti non veniva più allo stadio".
È Ferdico, con il padre Gianfranco, a organizzare la logistica dell'agguato contro Boiocchi, procurandosi il mezzo di trasporto (il furgone Fiat Ducato su cui viene caricata la moto Gilera, verniciata di nero per l'occasione), i cellulari olandesi criptati per le comunicazioni e la pistola Beretta calibro 9 utilizzata per il delitto, È lui a ingaggiare i due sicari (il suocero Pietro Andrea Simoncini, vicino alle cosche calabresi della faida delle Preserre Vibonesi, e l'amico Daniel "Bellebuono" D'Alessandro) e a consegnare poi loro 15mila euro ciascuno, ricevuti dalle mani del corista dell'Inter Maurizio Nepi come promesso dal mandante Beretta.
Il sopralluogo dei sicari allo stadio Meazza
Il progetto prende forma già nell'estate nel 2022 quando il suocero di Ferdico Simoncini, uno dei due sicari, si sposta dalla Calabria a Milano. L'idea è quella di effettuare i primi sopralluoghi in città e al quartiere Figino, dove abita Boiocchi: il 42enne, per portare a termine il suo "compito", ha bisogno di ambientarsi, conoscere bene il territorio. Il suo cellulare, in estate, aggancia infatti le celle telefoniche della zona e dello stadio Meazza, così come accadrà anche nei giorni precedenti al 29 ottobre: ancora più significativa, secondo gli inquirenti, sarà la localizzazione di Simoncini a San Siro giovedì 27 ottobre, quando i membri della Curva Nord si riuniscono al Baretto. Alle 19.30 di quella sera, insomma, sia Simoncini che Boiocchi erano verosimilmente nella stessa area: per chi indaga, è verosimile che Simoncini, come riferito dal collaboratore di giustizia Beretta, si sia "recato al Baretto per vedere di persona Boiocchi", e quindi individuare con precisione il bersaglio da colpire.
L'agguato sotto casa di Vittorio Boiocchi
Il "progetto", quindi, è pronto per metà ottobre del 2022. Tutto slitta, però, a causa di una perquisizione avvenuta proprio il 14 ottobre a casa di Ferdico, ora in carcere a seguito della maxi inchiesta Doppia Curva, nell'ambito di un'indagine su una rapina. Il 29 del mese va così in scena il programma. Vittorio Boiocchi, a poche ore dal match Inter-Sampdoria, si trova sotto casa in via Fratelli Zanzottera al Figino, estrema periferia Ovest di Milano. La moto Gilera che lo segue è guidata da Pietro Andrea Simoncini, mentre dietro siede armato di pistola Daniel "Bellebuono" D'Alessandro, che fredda il vecchio capo ultrà con cinque colpi. I killer, dopo l'esecuzione, fuggono tra le campagne del Milanese, caricando poi la moto (intestata all'ultrà Cristian Ferrario, factotum di Beretta nonché presunto custode delle armi della Nord) su un furgone bianco e facendo perdere le loro tracce.
La fuga in Calabria e a pregare Padre Pio
Anche i responsabili dell'omicidio dello "Zio", che nei giorni successivi alla sua morte viene omaggiato con tanto di striscioni e coreografie proprio dal direttivo che l'ha fatto fuori, cercano di fuggire da Milano. Simoncini e Ferdico prendono un aereo da Linate verso la Calabria, dove il suocero del portavoce interista ha stretto legami con le cosche locali. Beretta, invece, il giorno stesso parte con la moglie per Pietrelcina, in Campania, con l'intento di lavarsi la coscienza e chiedere perdono a Padre Pio, di cui è devotissimo. Il piano, in fondo, va a buon fine: per tre anni il caso di Vittorio Boiocchi resterà di fatto senza soluzione. Fino alla confessione del pentito Beretta, che dopo Boiocchi ucciderà nel 2024 anche Antonio Bellocco, rampollo di ‘ndrangheta infiltrato nella Curva, e deciderà quindi di collaborare con la giustizia per paura di ritorsioni da parte della famiglia.
La "guerra di potere"
Non solo più semplici tifosi uniti dalla passione per una squadra, insomma, ma membri di "un'associazione a delinquere" che con "modalità mafiose" porta avanti una vera e propria "guerra di potere". I vertici della Curva Nord, per i magistrati della Dda di Milano, porterebbero infatti ormai da tempo avanti un business, una macchina da soldi che si regge su estorsioni, aggressioni, spaccio, affari illegali di ogni genere. L'esecuzione di Boiocchi, in questo contesto, diventa secondo l'accusa l'apice, un'azione "violenta, professionalmente organizzata e premeditata" non nei confronti di un boss, ma di un capo ultrà ucciso dagli amici con cui condivide la fede calcistica.