Chiuse le indagini per Vagnoli, Fonte e Sabene, le tre attiviste accusate di stalking

La procura di Monza ha chiuso le indagini per stalking nei confronti delle due attiviste femministe Carlotta Vagnoli e Valeria Fonte, entrambe note sui social, oltre che nei confronti della scrittrice esperta di relazioni internazionali Benedetta Sabene. Per loro è avvenuta la notifica del 415 bis.
Le perquisizioni a casa di Vagnoli e Fonte
Partiamo dal principio. Lo scorso 28 gennaio, con diverse storie pubblicate su Instagram, Carlotta Vagnoli e Valeria Fonte, due attiviste note per l'impegno contro la violenza di genere, avevano riferito di aver subito una perquisizione e il sequestro di alcuni dispositivi elettronici, come cellulari o computer. "Ieri, nella mattinata del 28/01 alle ore 7.30 ho subito una perquisizione in casa mia da parte di sei poliziotti. Sia locale, ovvero degli ambienti, sia personale, ovvero di me medesima. – ha raccontato Fonte. – Mi è stato chiesto di spogliarmi, completamente, e di fare uno squat. Sono stata controllata anche fra i capelli e dietro le orecchie. Sono stati inoltre sequestrati tutti i miei dispositivi, di conseguenza sarà costretta a razionare il normale svolgimento della mia attività politica in attesa di ricevere indietro i miei device. Scrivo da un cellulare precario", aveva aggiunto l'attivista.
Le stesse cose erano capitate a Vagnoli: "Ieri mattina presto è avvenuta una perquisizione da parte della polizia municipale presso il mio domicilio che ha portato al sequestro dei miei device elettronici". Ma l'attivista si era anche detta: "Collaborativa e incredibilmente serena per più motivi".
"Le ragioni di tale accadimento non riguardano in alcun modo la mia attività in strada o i miei ultimi movimenti per scovare gli adescatori nelle ‘finte case' in affitto. Non posso specificare altro", aveva poi aggiunto in una storia Valeria Fonte.
Le motivazioni del sequestro e della confisca non erano state spiegate dalle due attiviste. A farlo, era stata Selvaggia Lucarelli in una delle sue newsletter: la giornalista aveva riferito che le due ragazze sarebbero state indagate per stalking e diffamazione aggravata.
Lucarelli aveva poi aggiunto che l'accusa sarebbe stata legata a una una storia di vessazioni nei confronti di un altro attivista accusato di essere un abuser, ovvero un molestatore. Vagnoli e Fonte avevano poi contestato le parole di Selvaggia Lucarelli. In una storia, Vagnoli aveva scritto: "In un paese in cui neanche le più palesi vittime di violenza e stalking riescono ad accedere al 612bis, ovvero l'articolo del codice penale che disciplina gli atti persecutori, trovo tristemente ironico che delle persone abusanti si appellino proprio a quella norma per punire chi difende gli interessi delle vittime di violenza".
Chi è l'uomo accusato di essere un abuser
La storia è iniziata nel dicembre 2023: secondo quanto ricostruito, l'uomo aveva iniziato una relazione con un'altra attivista femminista, frequentata dalle due indagate. La relazione tra i due sarebbe stata aperta, ma il ragazzo avrebbe nascosto di avere un flirt con un'altra donna dello stesso gruppo. Quando la ragazza l'ha scoperto, l'ha lasciato e ha dato il via a quella che gli inquirenti hanno definito una "gogna digitale". L'uomo infatti è stato accusato di essere un manipolatore, un abuser appunto, da far sparire dalla scena pubblica. Insieme alle due ragazze indagate, si è aggiunta anche Benedetta Sabene, anche lei nella cerchia delle attiviste e scrittrice esperta di relazioni internazionali.
Le ragazze avevano infatti scritto frasi come: "Gli facciamo fare la fine della mer*a che è", "Che si ammazzi con il coltello", "Ti giuro che avrà una morte sociale, politica che non immagini", "Lo mutiliamo questo cog**one, non ha il senso del pericolo". Quei messaggi sono stati ritenuti dagli inquirenti parte di una strategia di "vessazione pubblica", che sarebbe culminata in un forte stato d'ansia per il ragazzo, costretto a cambiare numerose abitudini di vita.
Inoltre, in quelle settimane l'uomo è stato escluso da eventi, ha ricevuto insulti, perso collaborazioni e molto altro. A metà febbraio, dopo che Valeria Fonte avrebbe pubblicato un post sui social interpretato come un'accusa di violenza nei confronti del ragazzo, lui avrebbe tentato un gesto estremo. Salvato dalle forze dell'ordine poi, ha sporto denuncia per stalking e diffamazione aggravata nei confronti delle ragazze.
È in questo momento che la storia delle due attiviste si intreccia con quella della social media strategist e critica Serena Mazzini, conosciuta online come Serena Doe, inizialmente ascoltata come testimone nella denuncia presentata dall'uomo. Dopo essere stata accusata dalle due attiviste di gestire un gruppo Telegram "omofobo e misogino", e aver ottenuto l'archiviazione per le accuse di diffamazione, Mazzini aveva presentato una denuncia per stalking nei confronti delle due, alla quale Vagnoli aveva replicato con alcune stories.
La conclusione delle indagini
Come anticipato, la procura di Monza ha chiuso le indagini per stalking nei confronti delle tre scrittrici e attiviste Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene. Stando a quanto ricostruito, il pubblico ministero Alessio Rinaldi contesta alle tre di aver "molestato due persone in modo da cagionare loro un grave stato d’ansia e costringendole ad alterare le proprie abitudini di vita, mettendo in atto una campagna denigratoria ed offensiva".
La prima denuncia, che le coinvolge tutte e tre, è stata presentata dall'uomo definito "abuser". La seconda invece, quella arrivata da Serena Mazzini. Il magistrato, come riporta il quotidiano Domani, ha qualificato anche quell'episodio come stalking. Le tre indagate hanno respinto ogni accusa e continuano a ribadire di aver agito "nella piena legalità e per la protezione delle vittime di violenza maschile”, come ha detto Carlotta Vagnoli.
Anche gli avvocati delle tre attiviste pensano di poter dimostrare che non sono colpevoli. Ora che le indagini sono finite e che è stato inviato l’avviso previsto dall’articolo 415 bis, le tre ragazze hanno la possibilità di chiedere di essere ascoltate dai magistrati o di presentare delle spiegazioni scritte per difendersi, prima che la procura decida se mandarle o no a processo.