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Caso Ziliani, il generale Garofano: “Le confessioni del trio potrebbero essere dovute ai sensi di colpa”

“Non credo sia stata una scelta difensiva” considerato che “non avranno uno sconto della pena”: a dirlo a Fanpage.it è il Generale di Brigata in congedo dei Carabinieri e per anni a capo dei Ris di Parma, Luciano Garofano.
A cura di Ilaria Quattrone
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È orma certo che l’omicidio di Laura Ziliani abbia travolto la comunità di Temù. Il piccolo paesino del Bresciano – che conta appena mille abitanti – ha dovuto fare i conti con il clamore mediatico che un caso come questo comporta: una madre vittima di un piano che – stando alle indagini e alle confessioni – sarebbe stato studiato nei dettagli da due delle tre figlie e dal fidanzato della maggiore. Alla luce degli interrogatori del trio, resta ancora da capire cosa possa averli spinti a commettere un crimine tanto efferato: per l’accusa, il movente sarebbe riconducibile a questioni economiche e alla loro volontà di volersi appropriare interamente del patrimonio dell’ex vigilessa.

Durante l’interrogatorio Silvia Zani invece avrebbe parlato di un continuo senso di frustrazione causato da un rapporto ormai logoro da tempo. Adesso sarà il Tribunale a stabilire quale sia la versione più vicina alla verità. Certo è che la scelta dei tre di voler confessare l’omicidio alcuni giorni dopo la chiusura delle indagini, ha lasciato perplessi: “Potrebbe essere stata una decisione frutto di un pentimento e, per certi versi, di dignità”, spiega a fanpage.it, il Generale di Brigata dei Carabinieri in congedo e per anni comandante dei Ris di Parma, Luciano Garofano.

Dopo mesi di silenzio e alla chiusura delle indagini, il trio ha scelto di farsi interrogare: come va interpretata questa decisione? Potrebbe essere un tentativo di sperare di avere una riduzione della pena? 

Non credo: non avranno mai una riduzione della pena. Per avere un’attenuante è infatti necessario rendere tempestivamente una confessione. Questa, invece, è arrivata a conclusione delle indagini preliminari dove tutto il quadro probatorio dimostrava la loro presumibile – anche se ormai possiamo dire certa – responsabilità. Potrebbero essere due le motivazioni che li hanno portati verso questa decisione: i sensi di colpa o la preoccupazione che possono provare l’uno verso l’altra.

Va considerato che il primo a parlare è stato Mirto e forse proprio per il primo aspetto: era veramente controproducente continuare a dire bugie. Anche quasi offensivo nei confronti della vittima. 

Non credo quindi che sia stata una scelta difensiva: i difensori sanno bene che una confessione tardiva non porta ad alcun beneficio. Probabilmente sarà stata una decisione autonoma frutto di un pentimento e anche un po’ di dignità.

Ecco, in base a quello che è trapelato, sono emersi due aspetti: nell’ordinanza di custodia cautelare, il giudice per le indagini preliminari e l’accusa, affermano che Mirto possa aver avuto un ruolo di regista. Dagli interrogatori sembrerebbe invece che lo abbia avuto la sorella maggiore. Si è fatto un’idea su queste due personalità? 

Questo aspetto può venire fuori solo durante il processo e quando saranno messe a confronto tutte le posizioni: credo indubbiamente che sia avvenuto tutto in concorso. L’idea potrebbe essere nata all’interno della famiglia e quindi da una delle due sorelle.

Suona un po’ come una forzatura che un fidanzato, membro esterno alla famiglia, progetti una situazione simile. Ovviamente tutto può succedere: Mirto potrebbe essere stato l’elemento predominante tanto da riuscire a convincere le due ragazze di poter appropriarsi di tutti gli averi. Questo tipo di dinamiche però nascono all’interno del nucleo famigliare e possono essere frutto di diverse motivazioni come per esempio la paura che quel patrimonio potesse non essere equamente suddiviso.

Credo anche io che il tutto possa essere partito da una delle due figlie e che poi Mirto possa aver garantito la regia di questo enorme e terribile omicidio.

Durante l’interrogatorio avrebbero detto di averle messo un sacchetto e poi di averla strangolata a mani nude: il medico legale, nella sua relazione, aveva detto che era stata soffocata con un cuscino. E possibile che a causa dello stato avanzato di decomposizione, i segni di uno strangolamento con le mani non si notino? 

Assolutamente sì. Soprattutto se un corpo è stato immerso nell’acqua. Per esempio, nel caso di Sarah Scazzi – nonostante le dichiarazioni di Michele Misseri – non si è mai capito effettivamente se sia stata utilizzata una corda o una cinta: io ho visto le foto dell’autopsia e il collo di Sarah non permetteva di dire proprio nulla.

Il medico legale che ha effettuato l’autopsia su Laura Ziliani, il professor Andrea Verzeletti, è una persona che stimo molto: se non ha visto dei segni è proprio perché i fenomeni trasformativi non lo hanno permesso.

Alla luce delle confessioni, possiamo dire che quanto ricostruito dai carabinieri di Breno e dalla Procura sembrerebbe essere poi quanto sia realmente avvenuto.

Assolutamente sì: complimenti sinceri e pieni ai carabinieri. In questo caso hanno dimostrato quanto sia importante la tempestività nell’acquisizione di tutti gli elementi che una scena del crimine e l’ambiente ti mostrano. Hanno dato una particolare attenzione agli aspetti tecnici come per esempio l’orologio di Laura Ziliani.

Talvolta la minore tempestività, la disattenzione e la disorganizzazione non consentono di capire cosa sia realmente accaduto e, di conseguenza, di individuare le responsabilità. Hanno dimostrato un’ottima conoscenza e acume investigativo.

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