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Lele Mora ricorre in appello: “Ad Arcore squallore, ma nessun reato”

Gli avvocati dell’ex agente dei vip, condannato a sette anni: non vi sarebbero stati episodi di prostituzione ma solo “di conoscenza e di simpatia”
A cura di B. C.
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Le serate ad Arcore potevano "presentare numerosi aspetti di immoralità e squallore" ma erano solo "la base e l'occasione di tutta una fase di conoscenza reciproca e di creazione di vincoli di simpatia o empatia fra le parti in gioco". Per cui non ci sarebbe nessun reato in quanto avveniva durante i festini organizzati dall'ex premier Silvio Berlusconi. Questo in sintesi è la difesa con cui Lele Mora prova a chiedere ai giudici d'appello di assolverlo dai reati di induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile per il caso Ruby, per cui è stato condannato a 7 anni.

"Ciò che all’evidenza si proponeva Mora era quello di  promuovere i suoi artisti, non certo quello di indurne o favorirne la   prostituzione", scrivono gli avvocati che chiedono "preliminarmente di  annullare la sentenza e le ordinanze impugnate, dichiarare la propria  incompetenza ed ordinare la trasmissione degli atti al giudice di  primo grado competente, individuato nel Tribunale di Monza" e nel  merito di "assolvere Dario Mora dai reati a lui ascritti perchè il  fatto non sussiste o non costituisce reato". L’attività di talent scout di Mora, continua la difesa, riguardava certamente anche "l’occasione utile per le ambizioni, coltivate dalle sue clienti nel mondo dello spettacolo e della televisione, e fra queste, forse la più grande, è certamente quella di conoscere Silvio Berlusconi, di essere invitati ad una delle sue cene, di entrare in quel giro di favoriti".

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