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La Spagna in piazza contro i tagli: aumenta l’IVA, niente tredicesime, via i sussidi

Novanta città spagnole si mobilitano contro la ricetta della Troika applicata con grande diligenza dal governo spagnolo. Rajoy salva tutti i privilegi, si abbatte su IVA, tredicesime, sussidi di disoccupazione: il quadro politico e l’opinione economica.
A cura di Anna Coluccino
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manifestazione spagna luglio 2012

Ancora manifestazioni, ancora proteste  in Spagna dove – in queste ore – migliaia di persone hanno sfilato o si preparano a sfilare contro la politica dei tagli che, nelle ultime settimane, si è abbattuta con enorme violenza sul settore pubblico, sui dipendenti pubblici, sui servizi dello stato. Aumento dell’IVA, abolizione della tredicesima,  soppressione del contributo di disoccupazione di lungo periodo e  riduzione di quello di medio e breve periodo: queste le misure più dure. Si colpiscono – ancora una volta – il ceto medio e gli strati meno abbienti della popolazione, gli unici a pagare il prezzo di una crisi frutto di miopi speculazioni finanziarie. Ben novanta città – oggi – si mobiliteranno allo scopo di opporre resistenza, sono previste massicci cortei un po’ ovunque, il che prefigura scenari ad alto rischio per quanto riguarda gli scontri.

Il malcontento nei confronti dell’operato dei politici spagnoli è alle stelle, e le recenti uscite di alcuni esponenti istituzionali non aiutano certo il clima: da un lato c’è stato il ministro della pubblica amministrazione che, pochi giorni fa, ha dichiarato che lo stato aveva “finito i soldi” e che sarebbe stato impossibile pagare gli stipendi (notizia che ha fatto schizzare lo spread a 580 punti): dall’altro c’è stata una deputata del partito popolare che – nel votare il provvedimento che limitava l’accesso al sussidio di disoccupazione – se n’è uscita con un sonoro “che si fottano”. In buona sostanza, l'atmosfera è molto più che tesa e ogni confronto di piazza ha un potenziale esplosivo consistente.

Intanto, il Palazzo del Congresso a Madrid è completamente circondato, reso di fatto irraggiungibile da un cordone di sicurezza. Segno evidente che il potere istituzionale comincia a comprendere di aver perso qualsiasi credibilità politica e, così come in Grecia, è probabile che si avvarrà dell’appoggio europeo anche per gestire “la sicurezza interna”. Già in queste ore è stato varato un provvedimento contestatissimo di pesante violazione del diritto al dissenso, all'organizzazione della protesta. La mozione votata oggi modifica il Codice Penale introduce il reato di "violenza urbana, derivata da riunioni o manifestazioni" in conseguenza del quale sarà possibile imporre una pena che potrà arrivare alla "carcerazione preventiva per gli autori di atti di particolare violenza nel corso delle manifestazioni". Ma non è tutto, la modifica del Codice Penale agisce anche con l'obiettivo di colpire la rete Internet affermando che "le informazioni volte a promuovere od organizzare la partecipazione ad azioni di alterazione dell'ordine pubblico, verranno punite con pene alternative alla detenzione, come i lavori socialmente utili". Dulcis in fundo: l'istituzione del registro dei "recidivi" in cui schedare i rei; dove per rei si intendono anche colori che praticano resistenza passiva e  disobbedienza alle autorità. Il potere, insomma, consapevole dell'assoluta mancanza di consenso e apprezzamento, tenta di salvare se stesso trincerandosi. Volendo guardare il quadro nel suo complesso, appare evidente come le misure imposte dalla Troika riscontrino ovunque resistenze crescenti, e se il metodo per gestire il palese malcontento passa per l’utilizzo della forza, cos’è rimane di quella che chiamiamo democrazia?

L’attacco  è spregiudicato e del tutto incurante dei bisogni dei popoli. Nessun indietreggiamento di fronte alle eccellentissime opinioni di Premi Nobel per l’economia, nessun vacillamento di fronte alle grida di dolore o di protesta degli europei, nulla può mettere in discussione il progetto della Troika, mutuato dalla ricetta che il Fondo Monetario Internazionale ha già sperimentato per decenni in molti luoghi del mondo con risultati ben diversi dagli obiettivi proclamati. Per quanto si sottolinei l’evidente contraddizione che risiede nel tentare di salvare uno stato dal debito indebitandolo ancor di più e sottraendo linfa vitale (diritti) ai lavoratori, nulla sembra capace di impressionare i fedeli del neoliberismo. Perché – a questo punto – è di  fede che si tratta, il ragionamento e la logica non c’entrano più nulla.

Cosa prevedono i tagli messi in atto dal governo Rajoy? Servono? – Un’opinione economica

di Giuseppe Quaresima

La prima misura è l’Aumento delle aliquote IVA, sia quella intermedia che passa da un 8 ad un 10%, sia quella normale che passa da un 18 ad un 21%. Si potrebbe far notare che in altri paesi l'aliquota è più alta, ma va anche detto che l'aumento dell'IVA in Spagna  è stato di oltre il 25% in un anno. Questo colpisce soprattutto le categorie sociali con seri problemi di consumo e riduce enormemente il potere d'acquisto, aggravando quindi la crisi nel settore produttivo e nei servizi (già allo stremo). Ci sono paesi che hanno congelato tali aumenti – Francia e Olanda, ferme al 19% – perché se è vero chge l'aumento dell'IVA è la cosa più facile per far cassa, è anche vero che è la più ingiusta in un sistema tributario teoricamente equo e quindi progressivo. Tutto ciò avviene in un contesto dove le grandi rendite, come già detto, non sono tassate, e soprattutto è stata concessa un'amnistia fiscale per coloro che "emergono" dal nero, in pieno stile berlusconiano. È un messaggio micidiale, chi delinque ottiene di più rispetto a chi rispetta la legge.

La seconda misura è la sospensione delle tredicesime in tutto il settore pubblico. Non vale solo per i funzionari (includendo nella categoria professori, medici, infermieri, poliziotti…) ma con chiunque abbia un contratto con l'amministrazione pubblica.  Inutile sottolineare che questa sospensione si abbatterà principalmente sul settore commerciale, con un danno per i consumi in generale. Certe conquiste, ormai, vengono definite “benefit”, quando in realtà si tratta di diritti maturati attraverso anni di lotta, la cui sospensione – in aggiunta all’ aumento delle ore lavorative settimanali – rappresenta un arretramento di decenni per quanto concerne la condizione contrattuale di lavoro.

Ma almeno serve? Basterà? Porterà a qualcosa? La risposta è no. Non solo non serve a niente ma è anche dannoso. È come un cane che si morde la coda. Ci sono soluzioni alternative? Ce ne sono eccome. A partire dalla riduzione delle spese militari, la tassazione delle rendite più alte, la soppressione di privilegi istituzionali (come quelli riservati alla chiesa cattolica e monarchia, ad esempio). Questo solo in chiave di bilancio interno. La grande verità è che questi tagli servono a coprire danni fatti da dirigenze bancarie senza scrupoli con le quali la cittadinanza tutta poco ha a che vedere.  Ma questo è solo l’aspetto più vistoso della vicenda. A questo va aggiunto il peggioramento delle condizioni lavorative tutte, sia private che pubbliche, la devastazione dello Stato sociale, il rafforzamento delle condizione dei rapporti di forza tra classi a favore di quelle alte e altissime (non si spiegherebbe altrimenti l’amnistia fiscale) e per finire una massiccia divisione territoriale del lavoro in ambito europeo che vuole la trasformare la Spagna (e chiaramente anche Grecia e Portogallo) in territorio ad alta recettività turistica (magari i tedeschi vogliono sostituire le spiagge nordafricane ora troppo turbolente con quelle mediterranee-europee) e a basso costo lavorativo. Chiaro, le intelligenze predilette  – per sorte o per condizione – potranno sempre andare a fare ricerca in Germania.

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