;Resize,width=638;)
Quando muore un animale, spesso tendiamo a sottovalutare tutto quel bagaglio di esperienze e conoscenze che si rischiano di perdere per sempre insieme a lui. E tutto questo è particolarmente vero soprattutto per le specie altamente sociali, come gli elefanti. Perché quando un elefante muore, spesso non è solo un individuo ad andarsene, ma un'intera biblioteca vivente di esperienze e conoscenze indispensabili per la sopravvivenza dell'intero gruppo.
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Philosophical Transactions of the Royal Society B, ci invita infatti a guardare oltre i numeri e le fredde statistiche, mettendo in luce quanto le società degli elefanti siano costruite soprattutto intorno al sapere degli individui più anziani – in particolare quello delle matriarche – e quanto la loro perdita rappresenti un vero e proprio terremoto culturale per l'intero gruppo familiare. Un aspetto ancora troppo sottovalutato anche quando si parla di conservazione.
Il sapere di una vita trasmesso culturalmente

Gli elefanti non apprendono tutto alla nascita. Come noi, imparano osservando, ascoltando, seguendo. Le matriarche – ruolo spesso ricoperto dalle femmine più anziane e sagge del branco – sono infatti figure centrali nella vita sociale del gruppo. Guidano gli spostamenti, riconoscono i pericoli, sanno dove trovare acqua nei periodi di siccità e come comportarsi di fronte a predatori e minacce. Quando una di loro muore improvvisamente – soprattutto se per cause legate alle attività umane – si crea un vuoto che nessun individuo più giovane può colmare.
E secondo i ricercatori autori di questa review, la perdita improvvisa degli individui più esperti, sia per bracconaggio che per traslocazione forzata di animali, indebolisce profondamente la coesione e la struttura sociale dei gruppi, interrompendo bruscamente la trasmissione culturale delle conoscenze verso i più giovani. E quando tutto questo accade, la sopravvivenza dei cuccioli si abbassa, le decisioni collettive diventano meno efficaci e la capacità del gruppo di reagire in modo adeguato ai pericoli e agli imprevisti si riduce drasticamente.
Un'elefante senza memoria non è un elefante

Il modo di dire secondo cui "gli elefanti non dimenticano mai" trova quindi un significato ancora più importante e profondo alla luce di questo studio. Perché la proverbiale memoria da elefante, per questi animali, non è solo individuale, ma collettiva e viene conservata, tramandata, condivisa. Quando perciò viene improvvisamente a mancare una leader anziana ed esperta, non viene perso solo un singolo animale, ma intere mappe mentali, strategie di sopravvivenza, segreti e comportamenti unici e indispensabili per l'intero gruppo familiare.
"È come se perdessimo una biblioteca", ha detto in comunicato Lucy Bates dell'Università di Portsmouth, autrice principale dello studio. "Conservare questi legami sociali è importante quanto proteggere gli habitat fisici". Gli autori, hanno analizzato in totale 95 studi scientifici che documentano gli effetti negativi della perdita sociale e culturale negli elefanti, sia per le due specie africane (l'elefante di savana e quello di foresta), che per gli elefanti asiatici. Il messaggio che emerge è chiaro: la conservazione non può più limitarsi a contare quanti elefanti ci sono.
Serve un cambio di paradigma per salvare gli elefanti

Per assicurare un futuro alle tre specie di elefanti rimaste sul nostro pianeta, è quindi necessario proteggere anche la struttura delle loro società, i legami, i rapporti intergenerazionali. Questo significa, per esempio, evitare di separare famiglie quando si catturano e si trasferiscono altrove gli animali, ma anche prestare maggiore attenzione alla protezione delle matriarche e dedicare maggiori risorse allo studio delle dinamiche sociali e culturali delle specie poco conosciute: gli elefanti asiatici e quelli di foresta, in Africa.
Ci piace pensare agli elefanti come animali imponenti, saggi e silenziosi, ma spesso dimentichiamo quanto ci assomiglino. Vivono in società incredibilmente complesse, imparano dagli anziani, creano legami unici e sperimentano il lutto per i familiari morti. Per questo, tutelare la loro cultura non è solo un dovere etico, ma è anche un modo per riconoscere e legittimare che l'intelligenza, le emozioni e la cultura non sono prerogative unicamente umane. Secoli di conoscenze, esperienze e storie tramandate che non possiamo permetterci di perdere.