;Resize,width=638;)
Frisk, il cane con cui condivido la vita da nove anni, mi prova a dire in ogni momento cosa pensa di me e sono certa che abbia le idee molto chiare su chi sono. I nostri cani ci conoscono profondamente, più di quanto noi stessi conosciamo davvero la nostra anima. E quanto scritto non è il frutto di una ‘sensazione' ma ciò che anche la scienza ha avvalorato, andando a studiare le capacità cognitive e comunicative dei cani e la loro predisposizione anche a leggere le nostre intenzioni, tanto da addirittura arrivare a prevederle.
Sì: Fido presta particolare attenzione al suo umano di riferimento che rappresenta, nel cane domestico che vive nelle nostre case il mondo intorno a cui gravita tanto quanto, del resto, per i cani liberi quella umana rimane la nicchia ecologica nella quale la specie si è evoluta.
La relazione tra uomo e cane affonda le sue radici in un passato antichissimo, risalente a circa 30/40mila anni fa. Come ha spiegato a Kodami Paola Valsecchi, professoressa associata di Etologia Applicata all’Università di Parma, "il successo della relazione fra noi e loro viene da lontano e si basa su una grande capacità comunicativa ed è indubbio che è il cane ad essersi molto sintonizzato sull'essere umano".
Si tratta di quella che viene definita "co evoluzione" e che ha portato i cani a sviluppare una straordinaria capacità di comprendere gli esseri umani, più di quanto abbiamo imparato noi a ‘leggere' loro ma comunque in una relazione che si basa su un vero e proprio "contagio emotivo". La professoressa Valsecchi ha infatti sottolineato anche che "il cane è molto sintonizzato sull'essere umano e ne comprende i gesti. È in grado anche di entrare in una sintonia emotiva, quella che chiamiamo empatia".
Comprendere questa lunga storia condivisa e le dinamiche che ne derivano ci consente di provare a dare una risposta rispetto alla domanda su cosa i cani pensino di noi, ma non possiamo dimenticarci che qualsiasi opinione in merito è del tutto antropocentrica: non sapremo mai realmente cosa Fido pensa semplicemente perché si tratta di un'altra specie che ha una visione della vita, giocoforza, differente dalla nostra. E' anche vero però che non c'è altro animale al mondo (primati a parte) che ci assomiglia così tanto, proprio per la prossimità continua e costante, camminando insieme da tempo nel mondo a sei zampe. Per questo molti studi scientifici sulla psicologia umana, principalmente sviluppati per comprendere i bambini, sono stati usati anche per entrare "nella mente del cane".
Quando ci chiediamo cosa pensano i cani di noi, però, è fondamentale farsi altre domande in realtà per arrivare a dare una risposta che, comunque, cambierà di cane in cane e di relazione in relazione perché il punto è proprio questo: che tipo di legame ci unisce, realmente, a loro? E che ruolo ricopriamo nel loro mondo?
I cani ci vedono come genitori?
La relazione profonda che ci unisce ai cani è spesso descritta con parole che appartengono culturalmente al nostro modo di vedere le cose, ovvero dicendo ad esempio che il nostro cane è come “un figlio”. Ma in ambito etologico, è più corretto parlare di “compagni di vita interspecifici”, dove l’elemento affettivo è sicuramente reale, ma non deve generare l'umanizzazione di un individuo di un'altra specie. Il termine “genitore” dunque può andare benissimo e anche quello di "figlio" rivolto al proprio amico a quattro zampe ma come riconoscimento di ruoli e il nostro deve essere quello di un punto di riferimento stabile, capace di offrire sicurezza, guida e protezione, proprio come fa la madre nei primi mesi di vita del cucciolo.
Durante la seconda fase dello sviluppo evolutivo del cane, quando cioè il cucciolo inizia a esplorare l’ambiente esterno e a distaccarsi dalla famiglia naturale, la persona che lo ha adottato deve diventare il nuovo riferimento emozionale e relazionale. Questa trasposizione è stata documentata anche in diversi studi scientifici, come quello pubblicato da Topál et al. addirittura nel 2005, in cui i cani testati mostravano comportamenti di attaccamento simili a quelli dei bambini nei confronti dei genitori.
Ma attenzione: non si tratta di quel concetto di dominanza mutuato dall'etologia nel linguaggio comune per descrivere un rapporto di forza tra umano e cane dove il primo è il "capobranco". La relazione tra cane e persona di riferimento non è guidata da una banale idea di superiorità gerarchica ma da un complesso rapporto che si crea su due capisaldi che il cane deve percepire: fiducia e autorevolezza. Essere un punto di riferimento significa costruire un legame dove la coerenza sostituisce il controllo e la comunicazione chiara non ha nulla a che fare con i "comandi" e men che meno con la coercitizione. È in questo spazio relazionale che il cane ci vede, ci osserva e ci riconosce. Non come "padroni", ma come partner con cui condividere la vita.
Spesso tendiamo dunque a chiamarli "figli" e gli esperti hanno confermato che i cani hanno comportamenti di attaccamento molto simili a quelli di un bambino verso il genitore ma è fondamentale chiarire che si tratta da parte di Fido di una "trasposizione dell'attaccamento" che è stata osservata in vari studi etologici.
In questo contesto, dunque, il termine "genitore" non deve essere inteso in senso antropocentrico, ma come indicativo di un ruolo di riferimento e guida all'interno di una relazione interspecifica basata su una comunicazione che da parte nostra, del resto come il cane fa nei nostri confronti, deve essere chiara e empatica. L'autorevolezza, intesa come capacità di essere un punto di riferimento stabile e coerente, è fondamentale in questo rapporto, a differenza dell'autorità basata sulla "sottomissione".
Perché il cane si affeziona all'uomo?
Ciò che il cane prova nei nostri confronti è il risultato di una lunghissima relazione in cui entrambe le specie si sono evolute, come accennavamo all'inizio di questo articolo. Durante questi millenni di prossimità la scelta è stata reciproca e non dobbiamo pensare solo in termini di corresponsione di affetto ma a questione di opportunità e scelte adattative da parte degli antenati di Fido. Le ipotesi sull’origine del legame tra uomo e cane sono state diverse nel corso degli anni e tra le più accreditate c'è quella del commensalismo, approfondita dai coniugi Raymond e Lorna Coppinger ("Dogs"), secondo cui i primi lupi ancestrali che si sono avvicinati agli insediamenti umani lo hanno fatto per convenienza: cercavano cibo tra i rifiuti e, in cambio, offrivano una forma di protezione.
La relazione si è trasformata poi in mutualismo: entrambe le specie hanno tratto beneficio dalla collaborazione reciproca. Gli esseri umani hanno trovato nei "primi cani" degli animali sempre più predisposti a lavorare insieme (si pensi alla caccia e alla vigilanza dei villaggi) e gli animali hanno preso ciò che volevano dai contesti umani che erano fonte di risorse preziose come cibo residuo e acqua. Secondo uno dei più gandi studiosi dell'etologia canina, il professore Ádám Miklósi, i cani hanno sviluppato ed evoluto sempre di più una predisposizione unica al mondo rispetto ad altre specie volta principalmente alla cooperazione con l’uomo. Uno studio ha ad esempio dimostrato la capacità di Fido di essere l'unica specie il cui sguardo è sintonizzato sui segnali comunicativi umani.
Se è dunque stato in qualche modo accertato che la base di questo rapporto millenario è iniziato per una reciproca convenienza, oggi le cose sono cambiate ed è l’aspetto emotivo a dominare questa relazione, soprattutto da parte umana sebbene i nostri comportamenti – come abbiamo già capito – hanno influenzato e continuano a influenzare anche l'evoluzione dell'altra specie.
Come ha scritto l'istruttore cinofilo Luca Spennacchio su Kodami: "La fiducia che i cani ci attribuiscono è leggendaria. In moltissimi casi anche in modo irragionevole, visto come la società tende a comportarsi nei loro confronti in molti frangenti. Ma qui entra in campo la loro “resilienza”, spesso disumana. Questa caratteristica non è solo il risultato della domesticazione ma anche di un’innata predisposizione dei cani a formare forti legami sociali. Questo senso di appartenenza, o affiliazione, ad un gruppo sociale non solo fa sentire il cane parte di una famiglia ma lo spinge anche a ad assumere comportamenti di protezione e cura verso i gli umani, e gli altri animali, che ne fanno parte. Questa pulsione potrebbe essere dunque tradotta nel desiderio di far star bene l’altro, cosa che, in poche parole, descrive uno dei cardini dell’affetto o amore tra individui".