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Italia: crescita o recessione? La ricetta del Credit Suisse

Sarà crescita o recessione per l’Europa e l’Italia? Carmignac Gestion sembra sperare nella prima ma temere la seconda, più ottimista il Credit Suisse che però avverte: l’Italia deve riformare giustizia e pubblica amministrazione e liberalizzare i mercati.
A cura di Luca Spoldi
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Sarà crescita o recessione? La domanda si aggira da qualche tempo nelle sale operative e negli uffici studi delle maggiori banche d’affari e società di gestione senza raccogliere un’unanimità di consensi, in particolare per quanto riguarda l’Europa e l’Italia. Ha iniziato a discuterne apertamente ieri Didier Saint-Georges, membro dell’Investment Commitee della società francese Carmignac Gestion, secondo cui dopo il successo (140 eurodeputati eletti) del fronte “euroscettico” la classe politica del vecchio continente non può non prendere atto che l’opinione pubblica ha ormai raggiunto un livello di insoddisfazione “mai raggiunto in precedenza, durante i 22 anni di vita dell’Unione”, complice il fatto che “dopo cinque anni di crisi, la performance dell’economia reale si presenta in effetti disastrosa a livello globale: una crescita media inferiore all’1% e un tasso di disoccupazione prossimo al 12%, vale a dire 26 milioni di persone” senza lavoro.

Se è chiaro che negli Stati Uniti “la gestione della crisi è stata molto più rapida che in Europa”, grazie alla lezione tratta dalle crisi svedesi e giapponesi degli anni Novanta che hanno portato la classe dirigente  americana a “ristrutturare rapidamente il sistema bancario per agevolare l’implementazione di una politica monetaria estremamente accomodante” (cosa che in Europa non si è fatto), in un prossimo futuro “questo ritardo dovrebbe essere finalmente recuperato anche in Europa”, grazie da un lato al completamento del programma di ricapitalizzazione delle banche (a seguito della Asset Quality Review della Bce tuttora in corso), dall’altro “all’attuazione di una politica monetaria radicalmente non convenzionale da parte della Bce” stessa.

Tuttavia, secondo l’esperto francese, “per assicurare il rilancio della crescita dell’economia reale sarà necessario fare molto di più”. Una semplice osservazione riassume il ritardo accumulato dall’economia europea: “nel 2013, i risultati delle aziende europee erano pari solo al 55% dei livelli toccati nel 2007” mentre “nello stesso anno, i risultati delle aziende statunitensi superavano già del 30% i livelli pre-crisi”. Come fare per far ripartire la crescita? “Una riduzione degli oneri a carico delle imprese è indispensabile e dovrà essere finanziata dai tagli alla spesa pubblica, per sostenere l’aumento dei margini netti (ai minimi dal 2002, mentre negli Stati Uniti sono ai massimi storici)”.

Lo stesso Didier Saint-Georges tuttavia ammette: anche paesiormai virtuosi” come Spagna e Portogallo, ritenuti tali dall’esperto per aver recuperato competitività tramite quelle “svalutazione interna” fatta a colpi di tagli agli stipendi e ai posti di lavoro (che si vorrebbe, par di capire, vedere attuata anche in Italia), “sono in grado di offrire solo un percorso di ripresa molto lenta nella crescita delle rispettive economie. Tanto più che, contemporaneamente, l’economia globale non dà segni di accelerazione”. Insomma, molte lacrime e sangue e poi si vedrà, forse, una qualche ripresa e per quanto Carmignac Gestion si dichiari  ottimista “come dimostrano le nostre posizioni nel debito sovrano italiano, spagnolo e portoghese”, in Europa (e in Italia) le prospettive di crescita “qui sono molto più deboli che altrove”.

Chi invece continua a sperare nel meglio sono gli analisti del Credit Suisse, che oggi hanno ribadito: “continuiamo a sostenere la nostra stima sopra il consensus per una crescita del 2,2% del Pil Ue nel 2015”, aggiungendo che il recente calo di indicatori come quello delle intenzioni dei direttori acquisti (Pmi) sembrino essere più che altro il contraccolpo tardivo di qualche passaggio a vuoto della crescita mondiale nei mesi scorsi che non il segnale di uno stallo accusato da una ripresa europea che, anzi, dovrebbe farsi via via più consistente. L’accelerazione dovrebbe vedersi già nei prossimi mesi. In effetti, spiegano gli analisti, in estate l’inflazione si manterrà “bassa ma stabilmente attorno allo 0,7%-1%”, ma un rialzo dei prezzi degli alimentari e dell’energia in autunno potrebbe fare da traino a una crescita nominale che non sia meramente statistica.

In realtà questo scenario sembra indicare che le misure varate a giugno dalla Bce (e che Draghi dovrebbe ora dettagliare ulteriormente al termine della riunione del Board della Bce di inizio luglio) potranno essere l’ultima serie di stimoli per questo ciclo economico, ma poiché l’Europa resta “in una posizione molto diversa” da altre aree economiche, avendo abbondanza di capacità inutilizzata, come conferma l’alta disoccupazione, Draghi non dovrebbe avere problemi a posporre l’avvio di un’azione di riduzione degli stimoli “ben oltre l’orizzonte previsivo attuale”. Per quanto riguarda l’Italia, concludono gli esperti svizzeri, “nonostante il Pil sia tornato a calare (-0,1%) nel primo trimestre dell’anno, si sono chiari segnali che la fragile ripresa stia tenendo” e dunque non si dovrebbe avere un secondo trimestre negativo che ci farebbe ricadere “tecnicamente” in recessione.

Le imprese tricolori stanno infatti sia pure con grande prudenza tornando a rinnovare i macchinari, le esportazioni stanno gradualmente crescendo e persino i consumi privati sembrano aver smesso di calare ed essere sul punto di rimbalzare. Ciò detto per gli esperti il Pil italiano chiuderà il 2014 in crescita di un modesto +0,3%, ben distante dal +0,8% di cui parla il governo (col rischio che l’impatto negativo sui conti pubblici dovuto al mezzo punto di minor crescita possa essere recuperato con l’ennesima manovra “correttiva” d’autunno, che secondo alcuni potrebbe anche vedere una nuova “patrimonialina”, questa volta con esenzioni davvero minime). In compenso la crescita del prossimo anno dovrebbe essere pari a un più confortante +1,7%, peraltro “rimanendo sotto la media europea in entrambi gli anni”.

Se lo scenario politico appare in via di stabilizzazione dopo l’insediamento di Matteo Renzi a Palazzo Chigi e se la dinamica del debito appare sotto controllo, “la crescita resta la chiave per la sostenibilità a lungo termine del debito” pubblico italiano. Per tornare ad avere crescita anche in Italia sarà necessario, secondo gli analisti, non tanto ottenere una “competitività sui prezzi” e forse nemmeno migliori condizioni di accesso al credito che per quanto ancora “strette” potrebbero finalmente migliorare anche grazie ai provvedimenti della Bce. “La riforma del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione, come pure la liberalizzazione dei mercati, sono secondo noi i maggiori ostacoli ad una riaccelerazione della crescita” nel “bel paese”. Saprà Renzi sfruttare il patrimonio di consensi e varare riforme efficaci ed efficienti, senza perder tempo in “giochi di corte” sul sistema elettorale o altre amenità di contorno? Speriamo di sì, visto che ne va del nostro futuro.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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