Ora Google dovrà condividere i dati di interazione degli utenti: cosa cambia con la sentenza

Cambiano le regole per Google. Il giudice Amit P. Mehta del tribunale distrettuale di Washington ha stabilito che l’azienda di Mountain View è tenuta a condividere l’indice di ricerca e i dati di interazione degli utenti con rivali qualificati, ponendo fine a una stagione di contratti esclusivi che avevano contribuito a consolidarne il monopolio. La sentenza fissa paletti importanti ma non arriva a toccare gli asset più preziosi dell’azienda. Chrome e Android, cuore dell’ecosistema Google, non saranno ceduti: secondo il giudice una dismissione forzata sarebbe stata eccessiva rispetto alle violazioni riscontrate.
"Google non sarà obbligata a cedere Chrome; né il tribunale includerà una cessione condizionale del sistema operativo Android nella sentenza definitiva", si legge nella sentenza. "I ricorrenti hanno esagerato nel chiedere la cessione forzata di questi asset chiave, che Google non ha utilizzato per attuare alcuna restrizione illecita". È quanto stabilito dal giudice Mehta, lo stesso che nell’agosto 2024 aveva dichiarato illegale il monopolio dell’azienda sul mercato dei motori di ricerca.
Cosa cambia per Google con la nuova sentenza
La decisione del tribunale chiarisce che Google sarà obbligata a mettere a disposizione dei concorrenti qualificati l’indice delle ricerche e i dati sulle interazioni degli utenti, ma non le informazioni relative alla pubblicità. La stessa sentenza vieta inoltre all’azienda di stipulare o mantenere contratti di esclusiva per la distribuzione di Google Search, Chrome, Google Assistant e dell’app Gemini, pur lasciando margini di manovra in casi specifici.
Il giudice ha però respinto altre richieste avanzate dal governo americano: niente obbligo di introdurre schermate di scelta nei prodotti Google, né di incoraggiare i partner Android a farlo, e nessun impegno a finanziare campagne di sensibilizzazione nazionale. Alcune di queste condizioni, secondo il tribunale, andavano oltre l’ambito del procedimento e sono state considerate eccessive.
La reazione di Google
Mountain View ha accolto con sollievo la decisione della Corte sulla cessione di Chrome o Android, ma ha espresso preoccupazioni per l’impatto delle nuove regole sulla privacy degli utenti. "Il tribunale ha riconosciuto come l’avvento dell’intelligenza artificiale abbia cambiato radicalmente l’industria, offrendo alle persone molte più possibilità di scelta", si legge in una nota ufficiale. "Continuiamo a credere che la concorrenza sia intensa, e riteniamo eccessiva la decisione dello scorso agosto che ci ha definiti un monopolio".
Non solo l'azienda in un mail inviata a Gizmodo ha aggiunto: "La Corte ha imposto limiti alle modalità di distribuzione dei servizi Google e ci obbligherà a condividere i dati di Ricerca con i concorrenti. Siamo preoccupati per l'impatto che questi requisiti avranno sui nostri utenti e sulla loro privacy e stiamo esaminando attentamente la decisione."
La partita potrebbe spostarsi sul terreno politico
La battaglia legale potrebbe ora intrecciarsi con la politica. É molto probabile che Google si attivi sul fronte del lobbying mentre la causa prosegue in appello. Non solo, il presidente Donald Trump, già protagonista di interventi diretti in grandi aziende come Intel, potrebbe prendere parte al caso Google. D'altronde i rapporti pregressi non mancano. L’azienda californiana aveva contribuito con un milione di dollari al fondo per l’inaugurazione presidenziale, e il CEO Sundar Pichai è stato più volte visto al fianco del presidente. Al di là delle supposizioni, al momento, non ci resta che aspettare la prossima mossa di Google.