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L’Unione europea apre un caso contro Google: “Trattamento non equo per gli editori”

La Commissione sospetta un declassamento sistematico delle pagine nate da partnership con tra editori e sponsor. Ora vuole verificare se Google abbia violato gli obblighi imposti dal Digital Markets Act.
A cura di Elisabetta Rosso
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La Commissione europea ha avviato un'indagine formale su Google, sospettato di aver relegato ai margini – se non completamente nascosto – nei risultati di ricerca alcuni contenuti commerciali pubblicati da testate giornalistiche europee.

Secondo i tecnici di Bruxelles, le segnalazioni raccolte negli ultimi mesi mostrano che intere sezioni dei siti editoriali dedicate a partnership con sponsor o inserzionisti sarebbero diventate difficilmente rintracciabili dagli utenti. Una diminuzione di visibilità che, per gli editori, si tradurrebbe in un mancato afflusso di traffico e quindi di ricavi pubblicitari.

"Siamo preoccupati che le politiche di Google non consentano agli editori di essere trattati in modo equo, ragionevole e non discriminatorio nei risultati di ricerca", ha spiegato Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva della Commissione europea per una transizione pulita, giusta e competitiva. "Faremo delle indagini per garantire che gli editori non perdano entrate importanti in un momento difficile per il settore e per garantire che Google rispetti il ​​Digital Markets Act".

Il quadro normativo: cosa prevede il Digital Markets Act

Il Digital Markets Act (DMA) – il regolamento europeo pensato per contenere il potere delle grandi piattaforme online e garantire una concorrenza trasparente – impone ai cosiddetti gatekeeper condizioni di accesso e trattamento “eque, ragionevoli e non discriminatorie” nei confronti dei soggetti che dipendono dai loro servizi.

Google, come uno dei principali gatekeeper designati, è tenuto quindi a garantire che gli editori non vengano penalizzati nell’indicizzazione, a maggior ragione quando si tratta di contenuti legittimi e conformi alle regole pubblicitarie del settore. La Commissione sottolinea che l’indagine non riguarda la copertura giornalistica o l’indicizzazione di articoli di cronaca, ma solo i contenuti commerciali prodotti in collaborazione con sponsor, pratica ormai consolidata nel mondo dell’editoria digitale.

Perché l’indagine riguarda proprio le partnership commerciali

Negli ultimi anni molti quotidiani europei hanno sviluppato sezioni dedicate a offerte, recensioni o guide agli acquisti in collaborazione con aziende terze – un modello che replica le tradizionali partnership editoriali presenti da decenni sulla carta stampata.

Secondo Bruxelles, però, tali contenuti sarebbero stati “declassati” da Google a causa di una rigorosa politica anti-spam.  L’UE chiederà dunque agli editori europei di inviare dati e prove su eventuali cali di traffico o ricavi.

La risposta di Google: “Accusa infondata, così si danneggiano gli utenti”

Google ha respinto le contestazioni. In un comunicato pubblicato sul suo blog ufficiale, ha definito l’iniziativa europea “fuorviante” e “priva di fondamento”, ricordando che un tribunale tedesco ha già giudicato legittime le sue politiche anti-spam. Per Google, tali misure servono a difendere l’affidabilità dei risultati e a contrastare pratiche di “pay-for-play”, ovvero contenuti creati esclusivamente per manipolare il posizionamento nelle ricerche.

Difendere la sostenibilità dei media: la prospettiva europea

L’intervento della Commissione arriva in un momento delicatissimo per l’ecosistema dell’informazione. Le redazioni europee affrontano da anni un calo delle entrate tradizionali, mentre l’arrivo dell’intelligenza artificiale generativa– come ricordato dalla presidente Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2025 – minaccia di erodere ulteriormente pubblico e finanziamenti.

In questo contesto, Bruxelles considera essenziale garantire che i colossi tecnologici non impongano condizioni sfavorevoli a chi produce contenuti, specie quando tali contenuti rappresentano uno dei pochi canali rimasti per sostenere economicamente l’editoria.

L’indagine rientra nella procedura di “verifica di non conformità” prevista dal DMA. In caso di violazioni sistematiche, il regolamento prevede sanzioni fino al 20% del fatturato mondiale dell’azienda coinvolta.

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