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Opinioni

Le vergognose parole di Rocco Siffredi sul gruppo “Mia moglie” spiegano perché le donne non denunciano le molestie

Il porno-attore ha parlato di “goliardata”, sminuendo così la gravità del fenomeno della diffusione di materiale non consensuale. Con le sue parole Siffredi rischia di contribuire allo stigma che spinge molte donne a non denunciare.
A cura di Maria Cafagna
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Non si ferma il dibattito sul gruppo Facebook "Mia moglie", dove venivano diffuse immagini rubate di migliaia di donne senza il loro consenso. A parlare questa volta è Rocco Siffredi. Il porno-attore, accusato da diverse donne di molestie e violenza sessuale, ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera in occasione del Bergamo Sex, manifestazione dedicata all’intrattenimento per adulti. Nel suo colloquio con la giornalista Rosanna Scardi, Siffredi ha toccato diversi argomenti, dalla piattaforma Onlyfans ("Qui le donne vendono il proprio corpo o si prostituiscono se arrivano all’incontro fisico con il cliente. Si definiscono content creator, ma i contenuti sono tutti di natura sessuale") al caso che ha coinvolto Elena Maraga, la maestra licenziata per aver un account su quella piattaforma. "Sarò bigotto – ha detto Siffredi sulla vicenda – ma nella vita devi scegliere che strada intraprendere. Se il lavoro ha un codice, va rispettato".

Interpellato dalla giornalista sul gruppo "Mia moglie", l’ex concorrente dell'Isola dei Famosi ha dichiarato: "Una volta la mentalità era che le mogli erano da tenere solo per noi, adesso vengono spiattellate. Segno questo che i rapporti sono cambiati".  E in merito alla diffusione di materiale intimo sul gruppo: "Lo considero un gioco sopra le righe, ma pur sempre un gioco virtuale. Una goliardata maschilista. Non ci vedo nessuna cattiveria terrificante. E poi non credo che tutte le donne non lo sapessero. Il mondo è pieno di scambisti". Siffredi si unisce al coro di chi ha messo in dubbio la portata di quanto accaduto. In questi giorni  infatti diverse persone si sono chieste pubblicamente se tra quelle foto non ci fossero anche donne consenzienti.

Come ha raccontato la scrittrice Carolina Capria, che per prima ha denunciato sui social il gruppo, bastava guardare il materiale che veniva postato per accorgersi che la maggior parte di quelle foto erano state scattate di nascosto, come del resto sosteneva chi le aveva postate. Come se non bastasse, alcune donne si sono riconosciute in quegli scatti e in questi giorni hanno parlato con la stampa per raccontare che le immagini che le ritraggono sono state scattate di nascosto e senza il loro consenso. Dunque, anche se ci fosse una parte di donne consenzienti, la maggior parte di loro non lo era.

Come ha spiegato a Fanpage Guido Scorza, chi pubblica fotografie senza il consenso della persona ritratta "viola la privacy e la protezione del dato personale" ed è quindi perseguibile per legge. Grazie alla denuncia di Capria e all'attenzione mediatica che si è scatenata dopo l'ondata di indignazione che è montata sui social, si è accesa l'attenzione sul fenomeno dei gruppi e delle chat in cui vengono diffuse immagini di donne senza il loro consenso. Il fenomeno è molto esteso e, secondo le stime, conta circa 17milioni di utenti in tutto il mondo solo su Telegram. Difficile però dare una cifra esatta perché le rilevazioni non possono tenere conto delle chat Whatsapp in cui circola questo genere di materiale.

Anche volendo credere che una parte di queste donne abbia scelto di sua spontanea volontà di condividere le proprie foto in queste chat, è impossibile negare che la maggior parte di loro non ha dato il proprio consenso. Si tratta di migliaia di donne – forse centinaia di migliaia a livello globale – che ogni giorno vengono oggettificate e umiliate da perfetti sconosciuti subendo quella che è violenza a tutti gli effetti.

Eppure è ancora difficile far passare il concetto che la violenza sessuale possa esprimersi anche in forme diverse dallo stupro o dal femminicidio. Tra le varie manifestazioni della violenza ci sono quella economica, quella psicologica, la violenza ostetrica e, appunto, la diffusione non consensuale di materiale intimo. Finora si è parlato di questo fenomeno solo in relazione al revenge porn, ovvero la pratica di condividere foto della propria partner o di una ex partner per "vendicarsi" di un presunto torto subito. Ma, come dimostra il caso di "Mia moglie", il fenomeno è molto più esteso e riguarda anche mariti, fidanzati e compagni. Del resto tutte le rilevazioni dimostrano che la maggior parte delle violenze avviene in contesti familiari e domestici e che vengono perpetrate da partner o da ex partner, come dimostra la triste conta dei femminicidi.

Con le sue dichiarazioni, Rocco Siffredi contribuisce allo stigma che spinge molte vittime a non denunciare. La riduzione del fenomeno a "gioco" o "goliardata" spesso inibisce le donne stesse che sottovalutano la portata della violenza che hanno subito. Ma le idee come quelle di Siffredi possono anche accrescere il senso di impunità negli uomini, che si sentono legittimati a qualunque azione, dalle battute a sfondo sessuale fuori contesto, come dimostra il caso della giovane molestata al Policlino di Roma, alla violenza vergale, passando per i ricatti e le minacce, forti dell’idea che finché non si arriva ad alzare le mani su una donna allora è tutto lecito. E se anche si arriva alla violenza fisica, magari è lei quella che ha provocato, magari perché era provocante o poco vestita. Chiameremo “gioco” o goliardata una frode, un furto, un omicidio? Chiaramente no, eppure la nostra società continua a tollerare e sminuire comportamenti violenti e predatori da parte dei maschi.

Le uscite di Rocco Siffredi sono l'ennesima dimostrazione che viviamo ancora in un sistema che protegge gli uomini violenti e che giustifica il loro comportamento in nome di una presunta propensione naturale a offendere. Negli Stati Uniti si usa l’espressione "Boys Will be boys" ovvero "so' ragazzi". Ed è in nome di questa convinzione generale che non si potrebbe in teoria fare nulla per correggere i maschi. In Italia poi, è ancora difficile parlare di consenso e di educazione all’affettività anche in ambito politico e legislativo.

Tutto questo deve cambiare per costruire una società più giusta in cui chi è vittima di violenza abbia gli strumenti per riconoscersi come tale, denunciare e ottenere giustizia. Magari una società in cui le dichiarazioni di Siffredi vengano stigmatizzate e condannate da tutta l'opinione pubblica, anziché dedicargli spazio e serie tv.

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Maria Cafagna è nata in Argentina ed è cresciuta in Puglia. È stata redattrice per il Grande Fratello, FuoriRoma di Concita De Gregorio, Che ci faccio qui di Domenico Iannacone ed è stata analista di TvTalk su Rai Tre. Collabora con diverse testate, ha una newsletter in cui si occupa di tematiche di genere, lavora come consulente politica e autrice televisiva. -- Maria Cafagna   Skype maria_cafagna
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