La GenZ avrà un bel problema con i posti di lavoro: cosa dicono i dati sulla jobless growth

Di profezie su mercato del lavoro e intelligenza artificiale ne abbiamo sentite tante. L'ultima arriva dagli economisti di Goldman Sachs. Secondo la banca d'affari la nuova normalità del mercato del lavoro americano sarà la cosiddetta “jobless growth”. Tradotto: l’economia cresce, ma i posti di lavoro no. Nel loro ultimo rapporto, gli analisti David Mericle e Pierfrancesco Mei spiegano che il PIL continua a salire grazie ai guadagni legati all’intelligenza artificiale, ma la domanda di lavoratori rimane bloccata. “E questa sarà probabilmente la norma negli anni a venire”, scrivono. Quindi l’IA sta spingendo la produttività, ma non l’occupazione.
Il quadro tracciato da Goldman Sachs non è isolato. Anche il presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha recentemente parlato di un mercato “low-hire, low-fire”: poche assunzioni, pochi licenziamenti, e una mobilità praticamente ferma. A pagare il prezzo più alto, ha detto, sono i neolaureati, i giovani e le minoranze, che faticano sempre più a entrare nel mondo del lavoro.
La produttività cresce, l’occupazione no: il rapporto di Goldman Sachs
I dati raccolti da Goldman Sachs mostrano che, negli ultimi mesi, la crescita dell’occupazione è diminuita in quasi tutti i settori, l’unica eccezione è la sanità. Pur in presenza di indicatori macroeconomici solidi, molte aziende stanno frenando le assunzioni e puntando sull’automazione per ridurre i costi e migliorare la produttività.
Era già successo, basti pensare alla “ripresa senza lavoro” del 2001, seguita allo scoppio della bolla delle dotcom: il PIL tornò a crescere in fretta, ma l’occupazione rimase ferma per anni. Oggi, avvertono gli economisti di Goldman Sachs, il copione rischia di ripetersi. L’aumento della produttività spinto dall’intelligenza artificiale potrebbe rendere molte mansioni ridondanti, lasciando i lavoratori con prospettive di carriera limitate. Gli effetti di questa trasformazione si vedranno però solo alla prossima recessione, spiega il rapporto, quando le imprese avranno un pretesto per tagliare il personale.
Mericle e Mei sono “scettici rispetto alle previsioni più catastrofiche” secondo cui l’intelligenza artificiale provocherà la disoccupazione di massa. Citano, anzi, studi che mostrano come l’innovazione, nel lungo periodo, potrebbe creare nuove opportunità e nuovi tipi di lavoro. Servono però misure che tutelino i lavoratori e incentivino l'occupazione. In questo scenario, le banche centrali e i governi si troveranno davanti a scelte complesse: abbassare i tassi d’interesse per stimolare l’occupazione? Investire nella formazione e nella riqualificazione professionale? Oppure sostenere i nuovi settori emergenti capaci di creare posti di lavoro nel lungo periodo?
“Low-hire, low-fire”: quando l’IA non crea occupazione
Il rallentamento delle assunzioni è reale — oggi è al livello più basso dal 2009, in piena crisi finanziaria — ma non tutti concordano sul fatto che sia colpa dell’IA. Molti economisti ritengono che l’intelligenza artificiale sia ancora un fenomeno marginale per l’economia, più una promessa che una minaccia. Anche Goldman Sachs ammette che l’impatto dell’IA sull’economia è ancora limitato.
Non solo, sembra anche che al momento l'intelligenza artificiale non abbia avuto un impatto determinante. Anzi. Secondo un rapporto del MIT intitolato The GenAI Divide: State of AI in Business 2025″, il 95% delle aziende che hanno introdotto l’IA, hanno ottenuto risultati deludenti. Molte hanno dovuto riassumere i dipendenti licenziati o abbandonare i progetti di automazione dopo problemi organizzativi e cali di produttività.
Per ora, il “low-hire, low-fire” descritto da Goldman Sachs non significa ondate di licenziamenti, ma un rallentamento silenzioso, che lascia sempre più persone ai margini.
Un mercato dove si assume poco, si licenzia poco, e si cresce molto — ma senza far crescere chi lavora.