Instagram continua a oscurare le storie su Gaza, anche se non sono contenuti sensibili

Carico una storia su Gaza. Cinque visualizzazioni, poi scompare. Riprovo, schermo nero, nessuna storia caricata. Tento un'ultima volta, la foto rimane, ma quando a fine giornata controllo noto che le visualizzazioni sono meno della metà rispetto al solito. Non è la prima volta. Da ottobre 2023 parlare della Palestina sui social è un problema. Profili oscurati, contenuti meno visibili, post rimossi.
Spesso questi problemi sono legati a delle falle nei sistemi di moderazione dei social. Come ha spiegato a Fanpage.it la wistleblower di Facebook, Fances Haugen, all'interno dei team c'è una forte componente anglofona, manca personale in grado di leggere e scrivere per esempio nei dialetti arabi, e quindi di moderare i contenuti scritti in queste lingue.
Consideriamo l'ipotesi che i social, a inizio guerra, non fossero pronti a gestire i contenuti su Gaza e che quindi abbiamo preferito bloccare e oscurare le storie. Ma allora, mi chiedo, come è possibile che a distanza di due anni continuino gli shadowban? E soprattutto, come è possibile che mentre le storie e i post su Gaza racimolano una manciata di visualizzazioni, sempre sugli stessi social compaiano a intermittenza pubblicità sponsorizzate da campagne milionarie di Israele?
Shadowban o bug? Le accuse di censura su Gaza
Premessa necessaria: dimostrare uno shadowban non è semplice. Meta ha spiegato che le storie oscurate o i post rimossi erano stati semplici bug. Quindi problemi tecnici. La moderazione dei contenuti d'altronde spesso è automatizzata, gestita da algoritmi e intelligenza artificiale. Questi sistemi possono anche, inavvertitamente, individuare contenuti "al limite" quando moderano su larga scala.
Eppure le storie che ho provato a caricare non avevano nessun contenuti espliciti o immagini di guerra. Ovviamente non solo io, migliaia di persone hanno denunciato sui social lo stesso problema, confermate da analisi sui dati.
Per esempio, un'indagine condotta da The Markup nel 2024 ha scoperto che "Instagram ha fortemente declassato le immagini non grafiche di guerra, ha eliminato didascalie e nascosto commenti senza notifica, ha soppresso hashtag e ha limitato la possibilità degli utenti di presentare ricorso contro le decisioni di moderazione."
Un rapporto di Human Rights Watch, pubblicato nel dicembre 2023, ha documentato oltre 1.000 “rimozioni” di contenuti dalle piattaforme Instagram e Facebook in oltre 60 paesi tra ottobre e novembre 2023. Il rapporto aggiunge: “Le politiche e le pratiche di Meta hanno messo a tacere le voci a sostegno della Palestina e dei diritti umani palestinesi su Instagram e Facebook, in un’ondata di crescente censura dei social media”.
E ancora. Nel 2024 la BBC ha visionato documenti trapelati che dimostrano come Instagram abbia aumentato la moderazione dei commenti degli utenti palestinesi dopo ottobre 2023. "Nel giro di una settimana dall'attacco di Hamas, il codice è stato modificato, rendendolo sostanzialmente più aggressivo nei confronti del popolo palestinese", ha raccontato un ex dipendente Meta – rimasto anonimo – alla Bbc.
Meta ha confermato la decisione, spiegando che è stata necessaria per fronteggiare quello che l’azienda ha descritto come un “aumento anomalo di contenuti d’odio” provenienti dai territori palestinesi.
Meta e Palestina: accuse di censura documentate da anni
Secondo Human Rights Watch, Meta ha una storia ben documentata di repressioni eccessive sui contenuti relativi alla Palestina In un rapporto sui diritti umani in collaborazione con la Business for Social Responsibility (BSR) pubblicato nel settembre 2022, quindi prima del 7 ottobre, si legge: "Le azioni di Meta sembrano aver avuto un impatto negativo sui diritti umani e sui diritti degli utenti palestinesi, tra questi la libertà di espressione, libertà di riunione, partecipazione politica e non discriminazione, e quindi sulla capacità dei palestinesi di condividere informazioni e approfondimenti sulle loro esperienze così come si sono verificate".
Nel 2022 la top model Bella Hadid, di origini palestinesi, ha raccontato che Instagram le ha "impedito di pubblicare contenuti sulla Palestina, sono stata shadowbannata, quando ho condiviso le storie le visualizzazioni sono diminuite di quasi 1 milione".
La macchina pubblicitaria di Israele sui social
Mentre gli utenti denunciano le storie e i post su Gaza oscurati, sui social appaiono le campagne pubblicitarie promosse da Israele. Su Fanpage.it da mesi seguiamo il fenomeno, la nostra analisi dei dati su Google Ads ha rivelato una promozione pubblicitaria su larga scala. Israele sta sponsorizzando decine di annunci che hanno raggiunto migliaia di visualizzazioni. Ha promosso fake news sugli aiuti umanitari, arruolato influencer per negare il blocco di aiuti al confine e manipolato i risultati di ricerca su Google per screditare l'UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che fornisce assistenza ai rifugiati palestinesi, e Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.
Non solo. Secondo un report pubblicato da Drop Site News, a fine giugno il governo di Netanyahu ha firmato un accordo da 45 milioni di dollari della durata di sei mesi per promuovere annunci mirati su Google.
Tra bug e politica: la lotta per far emergere le voci palestinesi
C'è chi prova ad aggirare i ban. Molti account suggeriscono di inserire nei contenuti pro-Palestina hashtag o emoticon a favore di Israele per ingannare l'algoritmo. Altri di utilizzare l'algospeak, quindi sostituire lettere con numeri e simboli, per esempio scrivere G4z4 al posto di Gaza.
Nol Collective, un collettivo palestinese che lavora nel mondo della moda, a inizio conflitto ha invitato i follower a fare gli screenshot dei post sulla Palestina invece di condividerli direttamente sulle storie. C'è anche chi sceglie altri social per diffondere post sulla Palestina. Per esempio LinkedIn, già a ottobre 2023, è stato invaso da post, commenti, e articoli che denunciano la censura di Meta. Al di là degli stratagemmi resta difficile capire dove finisca l’errore e dove inizi la scelta politica. Di certo le voci palestinesi sui social faticano a emergere.