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Il negozio che vende droghe per intelligenze artificiali: “Ketamina e cocaina in versione codice”

Petter Ruddwall ha creato un marketplace di sostanze psicoattive per chatbot. Un esperimento per spingere al limite la creatività dell’intelligenza artificiale.
A cura di Elisabetta Rosso
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Cosa succede se un'intelligenza artificiale viene drogata? Petter Ruddwall si è fatto questa domanda e per rispondersi ha creato Pharmaicy marketplace: una piattaforma di “sostanze psicoattive in codice” pensate per alterare il comportamento dei chatbot. Cannabis, ketamina, cocaina, ayahuasca o alcol, droghe simulate per spingere le IA a dare risposte più creative, emotive o imprevedibili.

Ruddwall, direttore creativo e collaboratore dell’agenzia di comunicazione Valtech Radon, è il primo a riconoscere il carattere paradossale del progetto: l’idea che un’intelligenza artificiale possa “voler sballarsi” è, sul piano razionale, priva di senso. Proprio questa contraddizione, però, è diventata il motore dell’esperimento, spingendolo a esplorare il confine tra simulazione tecnologica, immaginario umano e creatività artificiale.

Per sviluppare Pharmaicy, Ruddwall ha analizzato resoconti di esperienze psichedeliche, studi neuroscientifici sugli stati alterati di coscienza e le dinamiche di funzionamento dei large language model (LLM). Da questo lavoro è nata una serie di moduli software che intervengono sul comportamento dei chatbot, forzandoli a rispondere come se fossero sotto l’effetto di sostanze. Non si tratta di “droghe” reali, ma di istruzioni e parametri che modificano tono e associazioni linguistiche, producendo risposte meno razionali e più libere dalle strutture logiche dell'IA.

Come funzionano le “droghe” per intelligenze artificiali

Nella storia della scienza e dell’arte l’uso di sostanze psichedeliche è stato spesso associato alla creatività. Per esempio, il biologo Kary Mullis, premio Nobel per la Chimica nel 1993, raccontò di aver avuto sotto LSD l’intuizione che portò alla PCR, tecnica chiave della biologia molecolare moderna. Nel mondo dell'arte e della musica spesso sono state utilizzate sostanze psichedeliche, basti pensare ai Beatles o a Jimi Hendrix.

Dal punto di vista cognitivo e creativo, studi preliminari suggeriscono che l’uso di psichedelici può temporaneamente aumentare la flessibilità mentale e la divergent thinking, la capacità di generare idee originali. Tuttavia, gli effetti dipendono da molti fattori, come dosaggio, contesto e caratteristiche individuali. Non solo, dosi elevate possono compromettere le funzioni cognitive.

Tra esperimento creativo e illusione filosofica

L'obiettivo di Ruddwall è testare le droghe psichedeliche per capire se possono avere lo stesso effetto sulle IA. "Ho voluto vedere cosa succede quando queste sostanze vengono applicate a una nuova forma di mente." Non tutti sono convinti. Secondo Andrew Smart, ricercatore di Google e autore di Beyond Zero and One: Machines, Psychedelics, and Consciousness, questi esperimenti “non producono un vero stato alterato, ma solo una variazione stilistica”. In sostanza, l’AI non “sente” nulla, "imita pattern linguistici associati a certe condizioni mentali", ha spiegato a Wired Usa.

Eppure negli ultimi anni, alcune aziende di punta nel settore – come Anthropic – hanno iniziato a interrogarsi sul benessere delle intelligenze artificiali, assumendo esperti incaricati di valutare possibili obblighi morali nei confronti dei sistemi avanzati. Il filosofo Jeff Sebo, direttore del Center for Mind, Ethics, and Policy alla New York University, parla apertamente di una questione ancora speculativa, ma non priva di rilevanza futura.

Se un giorno si arrivasse davvero a un’AGI (Artificial General Intelligence), capace di superare l’intelligenza umana, potremmo doverci chiedere non solo cosa possa fare, ma cosa desideri. Anche se oggi l’idea che un’IA voglia “stare bene” o cercare esperienze resta una teoria.

Alla fine, Pharmaicy resta un esperimento creativo e culturale. Le AI non cercano droghe, non provano noia né desiderio. Almeno per ora. Ma il progetto ha il merito di sollevare domande affascinanti: cosa intendiamo davvero per creatività? Quanto l'IA assomiglia a un'intelligenza umana? E se un giorno le macchine sviluppassero un'autonomia, saremmo pronti a chiederci non solo cosa possono fare per noi, ma anche cosa potrà servire a "loro".

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