Il caso della chat Fascistella e la “guerra” tra Lucarelli e alcune attiviste femministe, raccontati dall’inizio

Il 31 ottobre il Fatto Quotidiano ha pubblicato “Le sorelle di chat: gli insulti-influencer a Murgia, Sala & Co.” L’articolo, firmato da Selvaggia Lucarelli, racconta e riporta le conversazioni scambiate all’interno di una chat WhatsApp chiamata “Fascistella”. Nel gruppo scrivevano alcune attiviste di rilievo, tra queste, Carlotta Vagnoli e Valeria Fonte, coinvolte in un’indagine per stalking e diffamazione a seguito di due denunce. Tutto è partito da lì, gli stralci dei messaggi pubblicati arrivano infatti dal fascicolo depositato agli atti a chiusura delle indagini accessibile alle parti.
L'articolo ricostruisce mesi di conversazioni – da marzo 2024 a gennaio 2025 – commenti, insulti e anche call out contro giornalisti, attivisti e personaggi pubblici, che, secondo gli inquirenti, fanno parte di "una più ampia campagna denigratoria”. Il caso “Fascistella” solleva interrogativi più ampi sul confine tra attivismo online e linciaggio mediatico, sull’uso dei social come tribunale parallelo e sul rapporto tra diritto di critica e diffamazione. “Le sorelle di chat” si sviluppa quindi su più piani: quello giudiziario, quello mediatico e quello etico. Ma, per capire meglio, partiamo dall'inizio.
Le origini del caso e le denunce contro Fonte, Vagnoli e Sabene
Tutto inizia molto prima, il 15 marzo 2024, quando A.S., giornalista che ha scelto di rimanere anonimo, denuncia Valeria Fonte, attivista e scrittrice femminista, Benedetta Sabene, scrittrice che si occupa di geopolitica e Carlotta Vagnoli, attivista impegnata sui temi di genere. La vicenda nasce da un intreccio sentimentale. A.S., infatti, è legato a una donna, “Federica” (nome di fantasia), ma intrattiene una breve relazione con Sabene. Quando Federica scopre il tradimento, l’uomo decide di interrompere la relazione parallela per tornare con lei. Le due donne, tuttavia, sono amiche, e Federica inizia a raccontare episodi di presunte minacce e atteggiamenti aggressivi da parte del compagno.
Sabene sostiene di essersi preoccupata per la sua incolumità, e da quel momento A.S. viene etichettato come “abuser”, un uomo pericoloso. Secondo l’accusa, le tre attiviste avrebbero orchestrato una campagna denigratoria nei confronti di A.S., alimentando “un contesto relazionale ostile e potenzialmente lesivo”, che avrebbe spinto l’uomo a tentare più volte il suicidio.
La Procura ha recentemente concluso le indagini preliminari sul caso A.S.: spetta ora al giudice valutare se disporre il rinvio a giudizio o archiviare il caso. Al momento, quindi, non si è ancora aperto alcun processo.
Vagnoli e Fonte sono indagate, sempre per stalking, anche per il call out contro Serena Mazzini – social media strategist che da anni collabora con Lucarelli, insieme hanno realizzato il podcast Il Sottosopra – accusata di gestire un gruppo Telegram “violento, omofobo, misogino, dedito al dossieraggio e alla condivisione di materiale intimo”. Il 3 settembre le accuse contro Serena Mazzini sono state archiviate, ritenute infondate dalla magistratura.
Le due vicende potrebbero essere collegate. Serena Mazzini, infatti, aveva sostenuto la versione dei fatti fornita dal primo querelante, A.S. Questa presa di posizione, secondo la social media strategist, avrebbe spinto le attiviste a iniziare una seconda campagna diffamatoria nei suoi confronti.
Cosa è stato trovato all'interno della chat "Fascistella"
I due casi sono fondamentali per ricostruire "sorelle di chat". Gli stralci dei messaggi pubblicati arrivano infatti dal fascicolo depositato agli atti a chiusura delle indagini accessibile alle parti. Sono riportati però anche commenti di persone terze, che scrivevano nel gruppo ma che non risultano tra gli indagati. Tra questi, Karem Rohana, attivista palestinese, Giuseppe Flavio Pagano, fotografo e social media strategist, e Flavia Carlini, divulgatrice e attivista politica.
Nell’articolo Lucarelli racconta di aver visionato la trascrizione di oltre duemila pagine di chat scambiati nel periodo che va da marzo 2024 a gennaio 2025. Negli stralci riportati compaiono anche giudizi e commenti poco lusinghieri su figure non coinvolte nell'inchiesta, come il presidente della Repubblica, la giornalista Cecilia Sala e la scrittrice Michela Murgia.
L’articolo denuncia anche campagne di call out contro giornalisti, attivisti e personaggi pubblici. Sono campagne per denunciare pubblicamente, spesso sui social network, comportamenti ritenuti offensivi, violenti o discriminatori da parte di singoli individui o organizzazioni. L’obiettivo dichiarato è quello di “chiamare fuori” chi avrebbe commesso un torto, portandolo all’attenzione dell’opinione pubblica. Quando però queste denunce si basano su elementi non verificati o assumono toni diffamatori, il call out può trasformarsi in un linciaggio mediatico, per screditare e isolare i bersagli.
Negli atti dell’inchiesta comparirebbe anche un file intitolato “La lista nera”, contenente quattordici nomi — tra figure note e non — suddivisi per città e accompagnati da etichette come “molestatori”, “manipolatori” e “ricattatori”.
La reazione delle attiviste sui social: “Messaggi estrapolati e fuori contesto”
Le attiviste hanno contestato sui social l’articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano. Sostengono che le chat non fossero pertinenti all’inchiesta e che fossero state archiviate come irrilevanti ai fini penali. Accusano anche Lucarelli di aver violato la privacy e di aver trasformato in scandalo mediatico quelle che definiscono “chiacchiere private”.
Carlotta Vagnoli in una storia ha scritto: “Piuttosto sconcertata dall'inutilità di quel pezzo sul Fatto: tutte le persone che mi stanno sulle balle lo sanno molto bene. Wow che gossip. Bizzarro invece, come una persona estranea al processo abbia avuto accesso a materiali secretati fino a decisione del Gip, abbia estrapolato addirittura materiali non inseriti negli atti utili alle indagini perché ritenuti ininfluenti, calpestato il diritto delle persone in indagine e messo a rischio l'incolumità delle indagate”.
Vagnoli ha anche ribadito che “il reato di antipatia non esiste”, accusando Lucarelli di aver iniziato una campagna diffamatoria e utilizzare “metodi fascisti per punire i nemici”.
Valeria Fonte ha invece pubblicato sul suo profilo Instagram un video: “Rivendico ciò che ho detto sui sionisti, sui giornalisti italiani, sulle persone transfobiche e omofobiche, sugli uomini, sui politici”.
Anche Sabene sui social ha commentato l'articolo di Lucarelli: "Io non ho chat di gruppo con nessuno. E dopo mesi di analisi sul mio dispositivo non risultano agli atti mie condotte persecutorie". Nelle storie ha poi aggiunto: “Tutto questo è falso e a breve risponderanno tutti nelle sedi opportune!”. Le attiviste ora stanno valutando azioni legali contro Lucarelli.
La risposta di Selvaggia Lucarelli
Lucarelli ha risposto alle repliche. In un’intervista al Corriere della Sera ha spiegato che il materiale proviene da atti ufficiali depositati presso la Procura di Monza, dunque accessibili e che il caso è di pubblico interesse. “L’interesse”, spiega, “sta nel denunciare la totale incoerenza fra l’immagine pubblica che queste persone hanno costruito di loro stesse, e la negazione di quell’immagine appena si chiude il sipario pubblico. Quando c’è da confrontarsi con un pensiero critico la loro risposta è la macchina del fango”. Lucarelli sottolinea che le conversazioni non sono state “rubate”, bensì inserite nel fascicolo delle indagini.
Il caso, che intreccia dinamiche giudiziarie, private e mediatiche, resta dunque aperto. Sui social i fronti sono già schierati, mentre sul piano giudiziario si attende la decisione del giudice per le indagini preliminari, che stabilirà se disporre o meno il rinvio a giudizio.