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Cinque buoni propositi per non bruciarti il cervello nel 2026

Il 2026 si apre con uno scenario complesso tra IA iperrealistiche, chatbot compiacenti, scrolling marcio e rage bait: come costruire anticorpi mentali per l’anno che verrà.
A cura di Elisabetta Rosso
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Vacanze di Natale, sono al pub con gli amici storici, uno di questi, Michele, mi dice ridendo: "Non saprei fare più niente senza ChatGPT". Scherza, ma la vena di verità che si intravede sotto l'ironia mi inquieta. Michele ha centrato – consapevolmente o meno – un punto. Sono anni che stiliamo vademecum per orientarci nell'universo online: limita il tempo al telefono, crea zone no phone, imposta timer per i social eccetera eccetera. Tutte queste pratiche rimangono valide, eppure il 2026 ci mette di fronte a uno scenario più complesso.

Abbiamo intelligenze artificiali capaci di creare immagini false che sembrano vere, architetture rage bait che sostengono le piattaforme, Gesù con corpo di gambero che urla skibidiboppi e chatbot accondiscendenti con soluzioni preconfezionate. Lo scenario è tutt'altro che rassicurante, servono anticorpi e soprattutto buoni propositi per non bruciarsi il cervello in vista dell'anno che verrà. 

Non credere più ai tuoi occhi

Papa Francesco vestito con il cappotto di Balenciaga è stato l'inizio, anche se non lo sapevamo ancora. I modelli di intelligenza artificiale stanno diventando sempre più performanti tanto che è difficile in alcuni casi distinguere il vero dal falso. E se prima sputavano fuori mani con sette dita o scritte prive di senso ora i contenuti IA sono diventati estremamente realistici. Questo è un problema perché mette in discussione il primo senso che usiamo per distinguere il vero dal falso: la vista. Da un lato rischiamo di cadere nella trappola delle fake news, dall'altro i contenuti IA erodono la fiducia.

Secondo un report del MIT Technology Review, il rischio non è solo psicologico: può influenzare opinioni politiche, decisioni finanziarie e relazioni sociali. La soluzione sarebbe marchiare in modo indelebile i contenuti IA per renderli facilmente riconoscibili. Mentre aspettiamo che le Big tech facciano qualcosa il consiglio è di verificare sempre le fonti, cercare più conferme e non fidarsi esclusivamente della nostra vista. 

Emancipazione artificiale: come usare un chatbot

L’intelligenza artificiale può essere uno strumento straordinario: velocizza compiti, genera idee e filtra informazioni complesse. Nell'ultimo anno i chatbot sono diventati assistenti personali. Gli chiediamo di riassumere testi, scrivere mail di lavoro, farci la lista della spesa o organizzare una vacanza. E qui sta il problema. Affidarsi troppo all’IA può influire negativamente sulle nostre capacità cognitive, in particolare su autonomia, pensiero critico e capacità di risolvere problemi da soli.

Uno studio pubblicato su Societies ha evidenziato una correlazione significativa tra l’uso frequente di strumenti di IA e punteggi più bassi nei test di pensiero critico. Il “cognitive offloading” – delegare compiti mentali alla tecnologia – riduce le occasioni di esercitare attivamente le capacità di riflessione profonda, analisi e valutazione indipendente delle informazioni.

Un uso intensivo e passivo può erodere gradualmente le nostre facoltà mentali se non viene bilanciato. Per questo motivo è consigliato utilizzare l’IA come strumento di confronto o verifica e impostare sessioni di utilizzo guidato che stimolino domande, riflessioni e approfondimenti, evitando di affidarsi a soluzioni preconfezionate. Allo stesso tempo, alternare attività complesse offline permette di mantenere allenate le capacità cognitive.

Esci dalla spirale dello scrolling marcio

Lo scrolling infinito sui social, combinato all'ascesa degli AI slop – contenuti spazzatura generati dall'IA – può creare una spirale di distrazione e passività. Per esempio pensiamo alla grande famiglia dei Brain rot. L’aumento di questi video demenziali segna l’inizio di una nuova fase di degrado dei contenuti online.

Gli AI Slop sono infatti progettati per attivare continuamente il circuito del piacere nel cervello, e spingerci a scorrere ancora, e ancora, e ancora. L’esposizione continua a video rapidi e ripetitivi sta rieducando il nostro cervello a funzionare su automatismi dopaminici. Ci abituiamo a reagire in modo immediato e superficiale agli stimoli, sacrificando l’attenzione prolungata e il pensiero riflessivo. Questo meccanismo, ripetuto per ore ogni giorno, porta a una stagnazione intellettuale.

La nostra capacità di concentrarci, ragionare in modo critico e seguire idee complesse si assottiglia, sostituita da una costante ricerca di distrazione facile. Il consiglio, oltre a diminuire lo scrolling compulsivo è di allenare l'algoritmo a contenuti di qualità, evitando chirurgicamente la sbobba artificiale.

Migliora la tua igiene digitale

Non siamo fatti per vivere costantemente online. La dipendenza da notifiche, social e app logora concentrazione e benessere mentale. Per proteggere la mente dal sovraccarico informativo, è utile stabilire dei limiti chiari: ad esempio dedicare alcune ore al giorno a una disconnessione totale dai dispositivi soprattutto prima di andare a dormire, organizzare le notifiche in modo da ricevere solo quelle essenziali e riservare momenti di attenzione consapevole alle attività offline, come leggere, fare sport o passeggiare nella natura. 

Secondo uno studio pubblicato su JAMA Network Open, ridurre il tempo trascorso sui social media può migliorare il sonno, l’umore e la capacità di concentrazione. Curare la propria igiene digitale è un investimento per la salute mentale, un modo per tutelarsi da stress, ansia e affaticamento cognitivo.

Non cadere nella trappola rage bait

Rage bait è tra le parole dell'anno. Secondo l' Oxford Dictionary, è un contenuto digitale che è stato "deliberatamente progettato per suscitare rabbia o indignazione attraverso la frustrazione, la provocazione o l'offesa". È l'esca più efficace del web pensata per faci arrabbiare e di conseguenza aumentare l'engagement. E infatti le piattaforme premiano i contenuti rage bait. Titoli clickbait, meme provocatori, post incendiari che stimolano reazioni emotive immediate. Questo processo innesca un circolo vizioso pericolosissimo.

Uno studio pubblicato su PNAS mostra che l’esposizione ripetuta a contenuti provocatori può modificare la percezione della realtà e amplificare la polarizzazione sociale. Il rage bait, quindi, non consuma solo tempo e attenzione, ma contribuisce a una sorta di infiammazione emotiva cronica: uno stato di irritazione costante che aumenta stress, aggressività e senso di frustrazione. A lungo andare, questo clima emotivo può influire sul benessere mentale, peggiorare l’umore e rendere più difficile distinguere tra informazione rilevante e provocazione studiata a tavolino.

È importante quindi imparare a riconoscere quando un contenuto è costruito per manipolare le emozioni. Controllare la fonte, rallentare la reazione emotiva e prendersi una pausa prima di commentare o condividere. Il primo passo è fermarsi e chiedersi chi sta parlando e soprattutto con quale obiettivo. 

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