Aranzulla a Fanpage.it: “Con l’IA il mio sito perde il 25%. Io vivo di rendita ma c’è un problema per tutti”

“Fai come Aranzulla”. Per anni il consiglio dato a chi scrive testi per il web è stato più o mano lo stesso. “Spiega bene ogni passaggio. Usa tante volte le parole chiave. Ripeti lo stesso concetto ma in modo diverso”. Qualsiasi cosa per comparire fra i primi risultati di Google. Ora sono suggerimenti che sembrano arrivare dal giurassico digitale. L’esplosione dei contenuti sui social e l’arrivo dell’intelligenza artificiale stanno ridisegnando internet e anche il nostro modo di starci sopra. E stanno cambiando anche Aranzulla.it.
Salvatore Aranzulla, classe 1990, ha cominciato a pubblicare testi sul web nel 2003 quando ha trasformato la sua newsletter in un blog. È un’informazione che ora tutti possono apprendere da Wikipedia, cosa non scontata. Per circa nove anni la sua pagina sull'enciclopedia online è stata cancellata. Secondo alcuni utenti non rispettava i “criteri di enciclopedicità”. Sì, si dice così anche se è terribile da scrivere.
Il sito di Salvatore Aranzulla è uno degli esempi più interessanti di quello che sta succedendo a internet. Se tutti useremo solo ChatGPT, cosa succederà ai testi che per anni sono stati accumulati in retee? Non sono libri. Non basta lasciarli su uno scaffale. Hanno bisogno di siti aggiornati, server dove essere ospitati, qualcuno che paghi per tenerli attivi e quindi anche di qualcuno che ci guadagni sopra. Ne abbiamo parlato direttamente con lui.
Nell’autunno del 2022 il grande pubblico ha scoperto ChatGPT. Come sta cambiando internet?
Faccio una piccola premessa. Per noi è ovvia, ma magari per i lettori no. C’è un patto implicito tra Google e chi pubblica testi su internet. Gli editori, diciamo. Tu fornisci un contenuto gratuito e Google porta traffico verso il tuo sito. Il guadagno? Puoi monetizzare dalle inserzioni pubblicitarie attorno a questi contenuti. Oppure puoi seguire la strada dei link di affiliazione, ma è un altro discorso.
È l’arte della Seo, quell’insieme di pratiche che ottimizzano un contenuto per farlo comparire nei primi risultati di Google.
Ecco. Ora sta cambiando. Chiedi qual è lo smartphone migliore a Google, magari scrivendo nelle parole chiave anche Aranzulla, e invece di farti andare sul mio sito trovi un testo fatto rielaborando le mie valutazioni o quelle dei miei collaboratori. E questo è un danno per noi.
Qual è il risultato?
È chiaro. Al momento i siti editoriali in Italia stanno affrontando una contrazione per il traffico. Fai conto che per Aranzulla.it parliamo di un 25% in meno. C’è chi ha avuto contrazioni più marcate e chi soffre meno perché può contare su una community diversa.
Le ricerche si sono anche spostate sui social.
Anche io ci sono cose che cerco su TikTok, come le ricette o gli esercizi da fare in palestra.
Non hai mai pensato di spostarti sulla parte video?
Ma non funziona per tutto. Un contenuto legato alla tecnologia si presta meglio alla forma scritta. Tieni il testo da una parte e poi esegui il passaggi con lo smartphone in mano o in un’altra scheda. Senza contare che i testi si possono aggiornare sempre, con i video è più difficile.
La strada presa da Google sembra chiara. Il lavoro su Gemini, AI Overview e ora l’AI Mode per le ricerche.
A lungo andare questa contrazione di traffico si traduce in una contrazione dei ricavi. Se tu generi meno traffico allora vendi anche meno pubblicità. E se hai meno pubblicità non hai più soldi per pagare i collaboratori o comunque chi scrive i contenuti. Per Aranzulla.it lavorano 45 persone.
Stai pensando di chiudere?
Al momento stiamo in piedi. È una struttura snella. Non abbiamo una sede, i collaboratori sono freelance e lavorano da casa. L’impatto sarà più evidente per gli editori più strutturati. Ma guardo la prospettiva. Non si possono continuare a produrre contenuti per un sistema che non paga.
Se il sistema non dovesse più funzionare hai già in mente cosa fare dopo?
Il problema non è per me. Se chiudiamo amen. Vivrò di rendita con i soldi accumulati negli ultimi 20 anni.
Bastano?
Ho sempre messo da parte quello che ho guadagnato. Non spendo soldi in vestiti, giro con un’iPhone e un AppleWatch di qualche generazione fa. Ho una bella casa, è vero. Ci tenevo che fosse bella perché ci passo molte ore a lavorare. Ho studiato Economia e Management in Bocconi: ho imparato a gestire i soldi con gli investimenti. Niente di azzardato, tutti prodotti finanziari molto lineari.
E allora per chi è il problema?
Il problema è per i miei collaboratori, e in generale per gli autori o i giornalisti che lavorano in questa economia. È incredibile che nessuno abbia pensato a tutelare questo mercato. Dico sia a livello governativo che a livello europeo. I sistemi di intelligenza artificiale che abbiamo davanti sono stati costruiti senza tenere conto del diritto d’autore. Ho visto che adesso si sta muovendo qualcosa ma ho paura sia troppo tardi.
Gli algoritmi per dare risposte devono prendere informazioni dai siti. Non è possibile trovare un modo per far pagare questi accessi?
Ci sono già dei modelli di intelligenza artificiale basati su questa idea. Vengono monitorati gli accessi e per ogni pacchetto di accessi si retribuisce una somma. È una soluzione ideale, anche perché mantenere un sito ha i suoi costi e se ci vanno i bot invece che le persone il meccanismo non rende. Spendo per tenere attivo un server che poi non viene visitato da utenti reali. Invece che guadagnare ci perdo.
Perché non si applicano meccanismi del genere?
Il punto è che devono essere d’accordo le società che si occupano di intelligenza artificiale. E devono anche essere d’accordo in fretta. Basta che solo ChatGPT si rifiuta e salta tutto. Ma queste sono società nate ignorando il diritto d’autore.
E gli affari di Google? I loro ricavi passano anche dalle inserzioni nei siti.
Non mi aspetto una flessione dei ricavi di Google. Adesso molte funzioni legate all’intelligenza artificiale sono gratuite. Per altre invece bisogna pagare. Ma possono sempre decidere di inserire la pubblicità direttamente all’interno delle risposte.
Verrebbe da chiedersi: ma in fondo agli utenti cosa cambia?
Per adesso l’intelligenza artificiale sta fornendo risposte aggiornate basate sui contenuti che può trovare su internet. Se nessuno ha più interesse a produrre quei contenuti, in base a cosa saranno date quelle risposte?
Quindi le IA cominceranno a rispondere a caso?
Non solo. Rischiano di venire influenzate dagli inserzionisti. Da chi paga gli editori per creare contenuti dove vengono pubblicizzati solo i loro prodotti. Rischiamo proprio una perdita di qualità. Alla fine quando chiederemo “Qual è il migliore smartphone” troveremo come risposta il modello dell’azienda che ha pagato di più per essere posizionata.