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Perché gli scienziati hanno gettato un colorante rosa nell’Oceano Pacifico

Lungo la costa meridionale della California i ricercatori hanno avviato un esperimento chiamato PiNC, gettando del colorante rosa nell’Oceano Pacifico. Ecco il suo scopo.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Erik Jepsen/UC San Diego
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In questi giorni chi passeggia lungo la costa di San Diego, in California, può imbattersi in un'esperienza piuttosto curiosa e insolita: osservare una parte dell'Oceano Pacifico tinta di rosa. Non si tratta (fortunatamente) né di inquinamento né di un fenomeno di esplosione di alghe, bensì di un interessante esperimento scientifico. In parole molto semplici, gli scienziati hanno gettato del colorante rosa in acqua, nell'area della laguna di Los Peñasquitos, sita nel cuore della spettacolare Torrey Pines State Beach and Natural Reserve della California Meridionale, un parco statale costiero selvaggio e ricchissimo di biodiversità (che comprende anche il raro pino Torrey da cui prende il nome).

Credit: Erik Jepsen/UC San Diego
Credit: Erik Jepsen/UC San Diego

Ovviamente i ricercatori non sono completamente impazziti a gettare del colorante in acqua, a maggior ragione in un ambiente così delicato e prezioso. Quella utilizzata è una sostanza totalmente atossica e priva di impatto ambientale, che naturalmente resta visibile solo per un periodo di tempo limitato. Gli scienziati della Scripps Institution of Oceanography dell'Università della California (UC San Diego) e dell'Università di Washington hanno lasciato il colorante una prima volta lo scorso 20 gennaio, ma lo rifaranno una seconda volta alla fine del mese e un'altra ancora all'inizio di febbraio. Il nome dell'esperimento è Plumes in Nearshore Conditions o PiNC – con chiaro riferimento al colorante utilizzato – e ha come obiettivo quello di studiare l'interazione tra l'acqua dolce del fiume e quella marina dell'Oceano Pacifico nella zona dell'estuario, dove i due flussi si incontrano e interagiscono, tra onde e pennacchi.

Credit: Erik Jepsen/UC San Diego
Credit: Erik Jepsen/UC San Diego

Come spiegato dagli esperti in un comunicato, infatti, “i fiumi e gli estuari svolgono un ruolo importante nel fornire acqua dolce e materiali come sedimenti e contaminanti all'oceano costiero”. Tuttavia l'interazione tra i flussi d'acqua dolce più caldi, leggeri e vivaci con l'acqua marina più densa, fredda (nella maggior parte dei casi) e salata non è ben conosciuta. Per poter osservare nei minimi dettagli come le due acque si mescolano e interagiscono, un colorante atossico è la soluzione migliore. Nell'esperimento sono stati coinvolti numerosi scienziati di discipline diverse, che hanno piazzato diversi sensori in acqua e sulla sabbia – fissati con dei pali – per rilevare i cambiamenti che si verificano, le correnti, la temperatura, la salinità e una miriade di altri parametri chimico-fisici in questa zona così movimentata, chiamata di surf. Nell'esperimento PiNC vengono utilizzati anche dei droni per le riprese aeree e una moto d'acqua equipaggiata con uno strumento scientifico chiamato un fluorimetro, un dispositivo progettato per rilevare la luce emessa dal colorante (fluorescenza).

Credit: Erik Jepsen/UC San Diego
Credit: Erik Jepsen/UC San Diego

“Sono entusiasta perché questa ricerca non è mai stata fatta prima ed è un esperimento davvero unico”, ha dichiarato la dottoressa Sarah Giddings, scienziata della Scripps Institution of Oceanography. “Stiamo coinvolgendo molte persone con competenze diverse, al fine di ottenere risultati e impatti davvero significativi. Combineremo i risultati di questo esperimento con un vecchio studio sul campo e modelli computerizzati che ci consentiranno di fare progressi nella comprensione di come si diffondono questi pennacchi”, ha aggiunto la specialista.

Capire come i flussi di acqua dolce interagiscono con il mare permetterà di comprendere meglio come si distribuiscono agenti inquinanti, sedimenti e oggetti trasportati dai fiumi, non solo lungo la costa della California meridionale ma in tutto il mondo. Lo studio ha anche una significativa valenza biologica perché molti stadi larvali di animali acquatici giungono in mare proprio perché trasportati dai flussi di acqua dolce. In alcuni casi può trattarsi di specie invasive – magari fuggite da vasche di acquacoltura, come accaduto in Italia con i cosiddetti "gamberi killer" – con un rilevante impatto ecologico.

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