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Covid 19

Nobel per la Medicina 2023 a Karikó e Weissman per scoperte che hanno permesso i vaccini Covid

Il premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2023 è stato assegnato agli scienziati Katalin Karikó e Drew Weissman per le loro scoperte sulle basi nucleosidiche che hanno portato allo sviluppo dei vaccini anti Covid a mRNA.
A cura di Andrea Centini
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Il Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2023 è stato vinto da Katalin Karikó e Drew Weissman per le scoperte sulle basi nucleosidiche che hanno permesso lo sviluppo dei vaccini anti Covid a mRNA, il Comirnaty di Pfizer-BionTech e lo Spikevax di Moderna. Il prestigioso riconoscimento scientifico è stato assegnato da un comitato dell'Istituto Karolinska di Stoccolma (The Nobel Assembly at Karolinska Institutet), guidato dal segretario generale Thomas Perlmann. Ogni anno il comitato si riunisce per decretare la ricerca (o le ricerche) più meritevole nel campo della biomedicina, che viene annunciata all'inizio di ottobre. Nel 2022 il premio fu vinto dal paleoantropologo svedese Svante Pääbo per le scoperte sui genomi dei nostri antenati e gli studi sull'evoluzione del genere Homo, mentre nel 2021 a conquistarlo furono David Julius e Ardem Patapoutian, per le scoperte sui recettori della pelle in grado di percepire la temperatura e il tatto.

Quasi tutti i premi Nobel vengono assegnati dall'Accademia Reale Svedese delle Scienze, tuttavia quello per la Fisiologia o la Medicina – il primo dei sei – coinvolge l'Istituto Karolinska, uno dei più autorevoli al mondo nel campo della ricerca scientifica. L'annuncio è stato dato in diretta streaming alle 11:45 di lunedì 2 ottobre (con un ritardo di 15 minuti) durante una conferenza stampa tenutasi nella sede centrale dell'istituto svedese a Solna, una città di circa 85.000 abitanti sita nella contea di Stoccolma. Come indicato, il premio 2023 è stato assegnato ai due ricercatori che hanno gettato le basi per lo sviluppo – in tempo record – dei pionieristici vaccini basati sull'RNA messaggero (mRNA), che ci hanno permesso di superare la fase più critica della pandemia di COVID-19. "Attraverso le loro scoperte rivoluzionarie, che hanno cambiato radicalmente la nostra comprensione di come l’mRNA interagisce con il nostro sistema immunitario, i vincitori hanno contribuito allo sviluppo a una velocità senza precedenti di vaccini durante una delle più grandi minacce alla salute umana dei tempi moderni", ha scritto la The Nobel Assembly nell'annuncio della premiazione della biochimica ungherese Katalin Karikó e dell'immunologo statunitense Drew Weissman.

Gli studi sull'RNA come potenziale mezzo terapeutico affondano le radici negli anni '80 del secolo scorso, quando i ricercatori misero a punto delle tecniche per produrre mRNA senza colture cellulari. Venivano chiamati "trascrizione in vitro", tenendo presente che l'mRNA ha il ruolo di trasportare l'informazione genetica dal DNA ai ribosomi, complessi molecolari deputati alla sintesi delle proteine. Ma questa trascrizione in vitro aveva dei limiti molto complessi da superare. "L'mRNA trascritto in vitro era considerato instabile e difficile da preparare, richiedendo lo sviluppo di sofisticati sistemi lipidici trasportatori per incapsulare l'mRNA. Inoltre, in vitro l'mRNA prodotto dava origine a reazioni infiammatorie. L’entusiasmo per lo sviluppo della tecnologia dell’mRNA per scopi clinici è stato quindi inizialmente limitato", ha scritto la The Nobel Assembly. Qui entra in gioco il fondamentale contributo di Karikó e Weissman.

Nonostante le difficoltà emerse nei vari test di laboratorio, infatti, la professoressa Karikò – che all'inizio degli anni '90 lavorava in un laboratorio dell'Università della Pennsylvania – continuò a cercare strenuamente una possibile via per rendere utilizzabile l'mRNA in ambito terapeutico. Illuminante fu l'incontro col professor Weissman, che all'epoca studiava le cellule dendritiche, cellule del sistema immunitario – facenti parte della famiglia dei globuli bianchi, come indicato dall'Istituto Humanitas  – che fungono da sentinelle, percependo la presenza degli agenti patogeni e innescando la produzione di anticorpi per combatterli da parte dei linfociti B e T. Le cellule dendritiche sono strettamente coinvolte anche nelle risposte immunitarie indotte dalla somministrazione dei vaccini, che com'è noto "addestrano" il nostro organismo al riconoscimento di un patogeno (magari attraverso parti di esso o tramite una forma inattivata) e a proteggerci in caso di esposizione allo stesso.

Credit: The Nobel Assembly
Credit: The Nobel Assembly

Durante i loro studi i professori Karikó e Weissman si accorsero che le cellule dendritiche riconoscevano "l'mRNA trascritto in vitro come una sostanza estranea", che spinge a farli attivare e determina il rilascio "di molecole di segnalazione infiammatoria". Questa reazione infiammatoria, che comprometteva il potenziale approccio terapeutico, avveniva solo con l'mRNA trascritto in vitro e non con quello ottenuto da cellule di mammifero. Per comprendere la ragione di questa differenza i due ricercatori iniziarono a realizzare in laboratorio forme modificate di mRNA, con basi nucleosidiche alterate. Per basi nucleosidiche si intendono le basi azotate che compongono la catena dell'acido desossiribonucleico (RNA), che sono Adenina (A), Guanina (G), Citosina (C) e Uracile (U). Nel DNA le basi azotate sono invece Adenina (A), Guanina (G), Citosina (C) e Timina (T).

Le diverse varianti di mRNA messe a punto dai due studiosi sono state esposte alle cellule dendritiche, facendo emergere un comportamento straordinario: non innescavano quasi nessuna risposta infiammatoria. Fu una scoperta epocale, che spalancava le porte all'uso dell'mRNA in ambito terapeutico. Nei vari studi pubblicati dal 2005 in avanti Karikó e Weissman non solo hanno dimostrato che l'mRNA con basi nucleosidiche modificate teneva a bada l'infiammazione, ma esso incrementava anche la produzione di proteine, grazie alla ridotta attivazione di uno specifico enzima.

Credit: The Nobel Assembly
Credit: The Nobel Assembly

Da questa pietra miliare sono state gettate le basi per produrre i vaccini a mRNA, in grado di consegnare l'informazione genetica di un patogeno (o di una sua parte fondamentale) attraverso microcapsule lipidiche. Una volta arrivata alle cellule, i ribosomi vengono stimolati a produrre le proteine inserite "nel progetto", innescando così la risposta immunitaria dell'organismo contro di esse. Nel caso del coronavirus SARS-CoV-2 i ricercatori di Pfizer-BioNTech e Moderna si sono concentrati sulla proteina S o Spike, il grimaldello biologico che il patogeno pandemico sfrutta per rompere la parete cellulare, penetrare all'interno della cellula, avviare la replicazione e scatenare la malattia, chiamata COVID-19.

I vaccini anti Covid sono stati approvati alla fine del 2020, pochi mesi dopo l'annuncio di pandemia da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e da allora ci hanno permesso di superare la fase più critica della diffusione del virus. "L’impressionante flessibilità e velocità con cui i vaccini mRNA possono essere sviluppati aprono la strada all’utilizzo della nuova piattaforma anche per vaccini contro altre malattie infettive. In futuro, la tecnologia potrebbe essere utilizzata anche per fornire proteine ​​terapeutiche e trattare alcuni tipi di cancro", ha chiosato l'Assemblea del Nobel nel suo comunicato. Le scoperte di Karikó e Weissman sono i pilastri di vaccini che hanno già permesso di salvare milioni di vite e che in futuro, molto probabilmente, ne salveranno moltissime altre.

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