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Gli occhi possono predire il Parkinson fino a sette anni prima dei sintomi

Lo suggeriscono i risultati di un nuovo studio che ha osservato un’associazione tra l’anatomia della retina e il rischio di sviluppare la malattia.
A cura di Valeria Aiello
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Un esame oculistico potrebbe aiutare i medici a diagnosticare il morbo di Parkinson fino a sette anni prima della comparsa dei sintomi. Lo suggeriscono i risultati di un nuovo studio che ha osservato un’associazione tra l’anatomia della retina e il rischio di sviluppare la malattia. In particolare, gli studiosi hanno rilevato che lo spessore ridotto dello strato nucleare interno (INL) e dello strato plessiforme interno delle cellule gangliari (GCIPL) della retina possono essere dei potenziali biomarcatori predittivi del Parkinson, dunque segni rilevabili prima delle manifestazioni cliniche della malattia stessa.

L’identificazione di tali anomalie, attraverso strumenti di scansione oculare come la tomografia ottica computerizzata (OCT), già ampiamente introdotta nella diagnosi di alcune patologie degli occhi (glaucoma e degenerazione maculare), si aggiunge a crescenti evidenze sull’uso di questo tipo di indagini per rilevare altre malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, la sclerosi multipla e la schizofenia. In questo campo di ricerca, noto come “oculomica”, viene valutata anche la possibilità di predire l’insorgenza di diabete e alcune malattie cardiovascolari.

Nell’ambito del nuovo studio, pubblicato sulla rivista Neurology, i ricercatori hanno preso in esame i dati oftalmici contenuti in due ampi database: l’AlzEye, che dal 2008 al 2018 ha raccolto le informazioni sanitarie di 154.830 persone di età pari o superiore a 40 anni che hanno eseguito scansioni oculari in un ospedale di Londra, e l’UK Biobank, il più grande database biomedico del Regno Unito, in cui 67.311 volontari di età compresa tra 40 e 69 anni sono sottoposti a scansioni della retina tra il 2006 e il 2010.

Le anomalie della retina associate al Parkinson, individuate analizzando le scansioni oculari delle persone con la malattia all’interno della coorte AlzEye (700 pazienti) sono state ricercate con l’aiuto dell’intelligenza artificiale nell’UK Biobank, da cui è emerso che 53 persone hanno sviluppato il Parkinson dopo una media 7 anni. Nello specifico, la riduzione dello strato plessiforme interno delle cellule gangliari e dello strato nucleare interno della retina sono risultati associati a un aumento del 62 e 70% del rischio di sviluppare il Parkinson.

Trovare i marker di una serie di malattie prima che i sintomi emergano significa che, in futuro, le persone potrebbero avere il tempo di apportare cambiamenti al proprio stile di vita per prevenire alcune condizioni che si verificano – ha spiegato il dottor Siegfried Wagner dell’UCL Institute of Ophthalmology and Moorfields Eye Hospital, che ha guidato lo studio  – . I medici potrebbero inoltre permettere di ritardare l’insorgenza e l’impatto di disturbi neurodegenerativi che possono cambiare la vita”.

I ricercatori hanno sottolineato la necessità di ulteriori studi, per verificare l’associazione e permettere lo sviluppo di tecnologie in grado di diagnosticare con precisione il Parkinson. Ciò si tradurrebbe in un futuro in cui i pazienti potrebbero essere in grado di sottoporsi a controlli oculistici di routine per la diagnosi precoce della malattia.

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