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Forse abbiamo trovato i resti delle prime stelle dell’universo

Probabilmente erano molto più grandi del nostro Sole e sono rapidamente esplose in supernove relativamente deboli, lasciando tracce della loro esistenza in nubi di gas risalenti a 11 miliardi di anni fa.
A cura di Valeria Aiello
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Rappresentazione artistica delle tracce chimiche lasciate dalle prime stelle dell'universo. Credit: Eso/L. Calçada, M. Kornmesser.
Rappresentazione artistica delle tracce chimiche lasciate dalle prime stelle dell'universo. Credit: Eso/L. Calçada, M. Kornmesser.

Gli astronomi potrebbero aver individuato i resti di alcune delle prime stelle dell’universo. Queste erano molto diverse dalle stelle che si sono formate più di recente e lo studio delle loro ceneri potrebbe avvicinarci alla comprensione dei primi giorni del cosmo. Identificate utilizzando il Very Large Telescope (VLT) dell’European Southern Observatory (ESO) in Cile, le tracce di queste stelle primordiali si trovano in nubi di gas risalenti a 11 miliardi di anni fa, la cui composizione chimica corrisponde a quella che ci aspetteremmo dalle prime esplosioni stellari.

I ricercatori pensano infatti che le prime stelle, apparse 13,5 miliardi di anni fa, contenessero solo idrogeno ed elio, gli elementi più semplici in natura, e che probabilmente fossero decine o centinaia di volte più massicce del nostro Sole. Sarebbero quindi esplose rapidamente in supernove, arricchendo per la prima volta il gas circostante di elementi chimici più pesanti. Le successive generazioni di stelle avrebbero quindi avuto origine da quel gas arricchito, espellendo a loro volta elementi più pesanti mentre morivano.

Essendo ormai scomparse da tempo, quelle primissime stelle non possono essere più osservate, ma possono essere studiate indirettamente, rilevando gli elementi chimici che hanno disperso nel loro ambiente dopo la loro esplosione. A seconda loro massa e dell’energia di tali esplosioni, le stelle primordiali avrebbero dunque potuto rilasciare elementi chimici come carbonio, ossigeno e magnesio, presenti negli strati esterni delle stelle. Ma alcune di queste esplosioni non furono abbastanza energiche da espellere elementi più pesanti, come il ferro, che si trova solo nel nucleo delle stelle.

Per cercare il segno rivelatore di quelle prime stelle esplose in supernove relativamente deboli, un team di ricerca internazionale, coordinato da Andrea Saccardi, studente di dottorato presso l’Observatoire de Paris – PLS che ha condotto lo studio durante la sua tesi di laurea presso l’Università di Firenze, ha iniziato a cercare lontane nubi di gas che fossero povere di ferro ma ricche di altri elementi. Trovando in tre nubi proprio quello che cercava, come dettagliato in un articolo di ricerca appena pubblicato su The Astrophysical Journal.

L’osservazione di queste nubi è avvenuta indirettamente, attraverso la luce dei quasar – oggetti straordinariamente luminosi al centro di galassie lontane, alimentati dalla materia che cade nei buchi neri supermassicci – , deducendo l’esistenza delle stelle primordiali. Ciò è possibile perché quando la luce di un quasar viaggia nell’universo attraversa le nubi di gas, i cui diversi elementi chimici lasciano un’impronta sulla luce. Per trovare tali impronte, il team ha quindi analizzato i dati di diversi quasar osservati con lo strumento X-shooter del VLT, uno spettroscopio in grado di dividere la luce in una gamma estremamente ampia di lunghezze d’onda, o colori, il che rende tale strumento unico per l’identificazione di gran parte dei diversi elementi chimici.

La nostra scoperta apre nuove strade per studiare indirettamente la natura delle prime stelle, completando a pieno gli studi sulle stelle della nostra galassia” ha affermato Stefania Salvadori, professoressa associata all’Università di Firenze e coautrice dello studio. “Grazie agli spettrografi di nuova generazione di cui sarà dotato l’Extremely Large Telescope (ELT) dell’Eso, il telescopio più grande al mondo in fase di costruzione in Cile, saremo in grado di studiare in modo ancora più dettagliato molte di queste rare nubi di gas e potremo finalmente scoprire la natura misteriosa delle prime stelle” ha concluso Valentina D’Odorico, astrofisica dell’Istituto nazionale di astrofisica e coautrice dello studio.

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