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Alzheimer, scoperto segnale rilevabile prima della comparsa dei sintomi: qual è e perché è importante

La diagnosi precoce dell’Alzheimer è fondamentale per combattere efficacemente le terribili conseguenze della neurodegenerazione. Un nuovo studio ha identificato un biomarcatore rilevabile nella fase asintomatica della malattia, una molecola chiamata miR-519a-3p. Ecco di cosa si tratta e perché è una scoperta molto preziosa.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Istituto di Bioingegneria della Catalogna )
Credit: Istituto di Bioingegneria della Catalogna )

Gli scienziati hanno identificato un nuovo segnale precoce del morbo di Alzheimer, che può essere rilevato prima della comparsa dei sintomi della demenza. Si tratta di un biomarcatore chiamato miR-519a-3p che appartiene alla famiglia dei microRNA, piccole molecole di acido ribonucleico (RNA) non codificante a singolo filamento. Sono composte da pochissime decine di basi nucleotidiche. Sebbene non codifichino direttamente le proteine, giocano comunque un ruolo fondamentale nell'espressione genica e nel silenziamento dei geni.

I microRNA, oltre a essere stabili, possono essere rilevati nei fluidi corporei come sangue, saliva, urine, liquido cerebrospinale e altri tessuti, pertanto quando risultano associati agli stadi iniziali e asintomatici delle malattie possono rappresentare un preziosissimo aiuto per la diagnosi precoce. Conoscerne uno specifico legato all'Alzheimer potrebbe migliorare in modo significativo l'efficacia delle terapie e rallentare la progressione della malattia, considerando che i (pochi) trattamenti farmaceutici disponibili – come gli anticorpi monoclonali – funzionano meglio proprio nelle fasi iniziali del morbo.

A scoprire che la molecola di microRNA miR-519a-3p rappresenta un biomarcatore precoce dell'Alzheimer è stato un team di ricerca spagnolo guidato da scienziati dell'Istituto di Bioingegneria della Catalogna (IBEC) di Barcellona e del Dipartimento di Biologia Cellulare, Fisiologia e Immunologia dell'Università di Barcellona, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di diversi istituti. Fra quelli coinvolti il Centro per la ricerca biomedica in rete sulle malattie neurodegenerative (CIBERNED), l'Istituto Bellvitge per la Ricerca Biomedica (IDIBELL) dell'Ospedale di Llobregat e altri. I ricercatori, coordinati dai professori Rosalina Gavín, Dayaneth Jácome e José Antonio del Río, si sono concentrati su questa specifica molecola di microRNA poiché essa è intimamente connessa all'espressione della proteina prionica cellulare (PrPC), i cui livelli sono alterati nei pazienti con Alzheimer e altre patologie neurodegenerative.

Per trovare il legame tra l'Alzheimer e miR-519a-3p i ricercatori hanno analizzato a fondo campioni biologici provenienti da pazienti deceduti con la malattia. Attraverso test chimici ad hoc hanno determinato che nelle prime fasi della patologia i livelli della molecola risultano elevati, come quelli della proteina prionica cellulare, mentre quest'ultima crolla nelle fasi avanzate della demenza, caratterizzata dal declino cognitivo e altri sintomi. Pur non avendo compreso appieno i meccanismi biologici sottostanti, secondo gli autori dello studio sarebbero proprio gli alti livelli di microRNA a determinare il calo della proteina PrPC durante la progressione dell'Alzheimer. Essi infatti “si legano ad una regione specifica del gene PRNP che controlla l'espressione della PrPC, riducendola”, hanno scritto la professoressa Gavín e colleghi in un comunicato stampa.

Oltre ad aver identificato miR-519a-3p come possibile biomarcatore dell'Alzheimer, i ricercatori hanno fatto un'altra scoperta molto importante, ovvero che gli alti livelli di questa molecola sono specificatamente legati alla diffusa malattia neurodegenerativa. “Se il nostro obiettivo è utilizzare il miR-519a-3p come biomarcatore per rilevare la demenza di Alzheimer in persone ipoteticamente sane, è essenziale garantire che i suoi livelli non siano alterati in altre malattie neurodegenerative. Nel nostro studio, abbiamo confrontato i livelli di questo biomarcatore in campioni di altre taupatie e del morbo di Parkinson, confermando che i cambiamenti di miR-519a-3p sono specifici del morbo di Alzheimer”, ha chiosato la professoressa Gavín. Il prossimo passo degli studiosi sarà studiare i livelli della molecola in corti più ampie di pazienti con o senza Alzheimer, per determinare definitivamente se i suoi livelli possono essere effettivamente utilizzati per la diagnosi precoce della più comune forma di demenza, che colpisce circa 40 milioni di persone nel mondo.

Ricordiamo che recentemente uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine ha determinato che i primi segnali dell'Alzheimer possono essere rilevati ben 18 anni prima della comparsa dei primi sintomi, come perdita della memoria, difficoltà nel linguaggio e nell'orientamento. Un'altra ricerca condotta su modelli murini (topi) ha invece scoperto un ulteriore biomarcatore precoce, l'incremento della proteina di densità postsinaptica 95 (PSD-95), che è specifica dei neuroni. Al momento è stata rilevata solo nei modelli animali è non è detto che sia presente anche nella forma umana dell'Alzheimer. Ad oggi non si conoscono le cause scatenanti della malattia, solo fattori di rischio, ma un nuovo studio potrebbe aver fatto luce sui meccanismi coinvolti. I dettagli della nuova ricerca “miR-519a-3p, found to regulate cellular prion protein during Alzheimer's disease pathogenesis, as a biomarker of asymptomatic stages” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Biochimica et Biophysica Acta (BBA) – Molecular Basis of Disease.

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