Condannato per aver spiato il telefono dell’ex: l’avvocato spiega perché è reato anche se conosci la password

Non è soltanto una questione di fiducia o rispetto, spiare il telefono di una persona, partner compresi, può essere un reato e valere una condanna fino a dieci anni di reclusione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione rigettando il ricorso presentato da un uomo che era stato condannato dalla Corte d'appello di Messina per aver spiato ed estratto alcune chat WhatsApp e l'elenco delle chiamate dai telefoni dell'ex-moglie per usarli nella causa di separazione tra loro due.
Secondo la sentenza 19421/2025 della Corte di Cassazione infatti "Violare lo spazio comunicativo privato di una persona, abbinato ad un telefono cellulare nella sua esclusiva disponibilità e protetto da password, integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico". Fanpage.it ha contattato l'avvocato Giuseppe Di Palo per chiarire alcuni punti della vicenda.
La sentenza della Cassazione
Il caso in questione inizia nel 2022, quando l'uomo era stato denunciato dalla moglie per atteggiamenti molesti e ossessivi – le avrebbe controllato il telefono – e poi querelato qualche mese dopo sempre dalla donna per aver "estratto, da un telefono cellulare che utilizzava per lavoro e che non trovava più da tempo, diversi screenshot dal registro chiamate e dalla messaggistica, consegnandoli al suo legale, il quale li aveva prodotti in sede di giudizio civile, ai fini di addebito della separazione". Inoltre, tra i messaggi presentati dall'avvocato dell'uomo c'erano anche alcuni screenshot da chat contenute in un telefono che la donna stava ancora utilizzando ed entrambi i cellulari erano protetti da password.
Perché spiare i messaggi è un reato
Spiare i messaggi dal telefono di un'altra persona, compresa la chat di WhatsApp, costituisce – ribadisce la Cassazione – il reato di accesso abusivo a un sistema informatico, previsto dall'ex art. 615 ter del Codice Penale, in quanto WhatsApp può essere considerato a pieno titolo un "sistema informatico". Non solo, "il reato – chiarisce l'esperto – può esserci anche se i messaggi non sono su WhatsApp ma su qualsiasi altra piattaforma, come Facebook, Instagram, Telegram o altre" e non serve nemmeno leggere i messaggi, per commettere reato basta accedere senza consenso all'account social di un'altra persona.
Un punto interessante riguarda proprio il concetto di consenso del proprietario del dispositivo: "Anche se una persona ha ricevuto in passato la password del telefono – chiarisce Di Palo – questo non le dà un permesso illimitato. Il consenso deve essere specifico, limitato allo scopo e al momento per cui è stato dato. Se la persona accede in un altro momento o per leggere messaggi senza una nuova autorizzazione, può commettere reato: si parla di accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter c.p.). In sostanza, non conta conoscere il PIN, ma avere il permesso attuale e specifico per ciò che si sta facendo".
Anche in assenza di password
Non solo, come aveva ribadito un precedente sentenza della Corte di Cassazione di febbraio 2025, l'accesso abusivo può figurarsi anche se il proprietario del telefono non ha previsto nessuna password o codice d'accesso se la persona accede al suo dispositivo contro la volontà del proprietario, ovvero "senza il consenso del titolare e con la consapevolezza dell’illiceità della condotta".
"Anche se il telefono non ha password, accedere al cellulare altrui senza il consenso (o con un consenso scaduto) integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico. Infatti, la legge protegge la riservatezza indipendentemente dalle misure di sicurezza adottate. Quindi, se una persona accede allo smartphone senza essere autorizzata, anche solo per “curiosare”, commette reato. In sintesi: non serve la password perché scatti la tutela penale. Basta che si entri nella sfera privata di qualcuno senza permesso".