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Guerra in Ucraina

Parla l’organizzazione che difende gratuitamente i dissidenti russi che manifestano contro la guerra

OVD-Info offre consulenza legale gratuita ai dissidenti russi, sostenendo chi viene arrestato durante le manifestazioni o perseguito per le sue attività politiche. Dallo scoppio della guerra in Ucraina il suo lavoro si è moltiplicato. Con la portavoce Maria Kuznetsova abbiamo fatto il punto sulle proteste contro il regime di Putin e la repressione, e da come queste sono cambiate dall’annuncio della “mobilitazione parziale”.
A cura di Redazione
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Di Maria Chiara Franceschelli

OVD-Info è un’organizzazione russa indipendente per la tutela dei diritti umani e per il supporto a prigionieri e perseguitati politici, fondata nel 2011. Dichiarata "agente straniero" un anno fa, sin dalla sua fondazione OVD-Info ha svolto un ruolo fondamentale nella tutela della società civile dissidente. Una squadra di professionisti e volontari, numerosa e capillare, offre consulenza legale gratuita online e telefonica 24 ore su 24 alle persone che sono state arrestate o fermate per motivi politici. Avvocati presenti in tutte le maggiori città russe offrono inoltre prestazioni gratuite nei processi alle persone arrestate, che spesso avvengono per direttissima e in cui non sempre la difesa è garantita dallo stato. OVD-Info fa poi un lavoro essenziale di inchiesta, ricerca, raccolta dati e divulgazione, fornendo informazioni dettagliate su arresti, fermi, procedimenti giudiziari e penali, ma anche sulla conformazione delle proteste di piazza, sulle tattiche e sugli abusi delle forze dell’ordine (tra cui è frequente la tortura) e, più in generale, su tutti i vari aspetti della repressione politica del regime di Putin.

Anche in questi mesi, davanti all’ondata di proteste scoppiata in moltissime città russe in seguito all’invasione dell’Ucraina e violentemente repressa dalle autorità, l’organizzazione ha avuto un ruolo fondamentale a supporto della società civile dissidente, che nel regime di Putin trova scarsissimo spazio di manovra, per via di un processo di progressiva erosione delle libertà iniziato vent’anni fa. In questi giorni è iniziata una nuova ondata di proteste in seguito all’annuncio della mobilitazione parziale. Insieme a Maria Kuznetsova, portavoce di Ovd-Info, abbiamo chiarito gli aspetti cruciali del lavoro di Ovd-Info in un contesto sempre più rigido e dei fenomeni che stiamo osservando.

Com’è cambiato il vostro lavoro dall’inizio "dell’operazione militare speciale” in Ucraina? Come avete gestito la situazione e supportato chi protesta contro il regime?

Questa è stata certamente la sfida più grande per noi. Ci sono state proteste un po’ ovunque, non solo nelle grandi città, e nelle zone remote è più difficile per noi trovare avvocati con cui collaborare per prestare aiuto a chi viene arrestato, anche per via dello status di agente straniero assegnato all’organizzazione.

Al tempo stesso, sospettavamo da tempo che sarebbe successo qualcosa di grande e terribile. Gli anni scorsi la repressione nei confronti della stampa, delle organizzazioni e dei dissidenti politici è diventata sempre più pesante, era chiaro che il governo volesse limitare al massimo il potenziale delle proteste di massa in risposta a qualcosa di sconvolgente che sarebbe arrivato. Questa cosa è stata l’invasione su larga scala dell’Ucraina, e al momento di protestare, non c’era in Russia una coalizione, un fronte di opposizione unito che potesse supportare i cittadini e canalizzare le proteste. E così le manifestazioni sono state sparse, disorganizzate, e la repressione efficientissima.

La guerra e le proteste hanno portato più persone a sostenervi attivamente?

La cosa positiva è che più di 6500 volontari si sono uniti a Ovd-Info dall’inizio della guerra, e questo ha consentito alla struttura di reggere il carico di lavoro. Naturalmente, non si tratta di persone intenzionate a lavorare per noi a tempo pieno, bensì disposte a collaborare di tanto in tanto, quando c’è necessità. In certi casi, indirizziamo i nostri volontari verso altre iniziative simili che hanno bisogno. Ci sono molte persone vogliono supportare chi protesta.

Da aprile in poi le proteste si sono placate, ma la repressione non è finita. Ci sono state più di 260 accuse penali a cittadine e cittadini che hanno manifestato, e più di 4000 accuse sia penali sia amministrative a persone che hanno “screditato l’esercito russo”. Le proteste di piazza sono la punta dell’iceberg: è fondamentale capire che se le manifestazioni si sono fermate, la macchina della repressione di Putin invece ha continuato a lavorare a pieno regime, con arresti, intimidazioni, violenze.

Cos’è cambiato dall’inizio della guerra? Chi sono ora le categorie più a rischio?

Negli scorsi anni, il governo russo ha stretto la morsa sulla società civile, colpendo in particolare giornalisti indipendenti e attivisti politici. Moltissime persone sono finite in prigione, ma molti hanno anche lasciato il Paese: questo è ciò che Putin vuole. Il governo non vuole giornalisti in prigione, che possano raccontare alla stampa estera lo stato delle prigioni, del sistema giudiziario, e i trattamenti che hanno subito una volta fuori. Vuole i catalizzatori delle proteste, e anche chi può dar loro voce, fuori dal Paese. In larga parte, così è stato. Ora, la repressione del governo si concentra principalmente sui cittadini comuni. Negli ultimi mesi, e anche negli ultimi giorni, in seguito all’annuncio della mobilitazione, abbiamo registrato migliaia di arresti in località remote, piccoli paesi. Non sono i centri tradizionali delle proteste: Mosca, San Pietroburgo, Ekaterinburg. Il governo ora stringe sulle aree periferiche, l’obiettivo è quello di spaventare i cittadini che vogliono ribellarsi: “se il Cremlino arriva fino qui, in un piccolo paese di provincia, allora non si è al sicuro da nessuna parte”.

Quali sono le difficoltà maggiori del vostro lavoro?

Proprio per via di questi cambiamenti, stiamo cercando di trovare collaboratori in regioni in cui siamo meno presenti, ma è difficile.  Fortunatamente, una parte del nostro lavoro è fattibile da remoto, quindi per le consulenze l’unico problema rimane quello di farci conoscere. Il problema più grande, però, è concreto, ed è quando le forze dell’ordine non consentono ai nostri avvocati di entrare nelle stazioni di polizia o nei tribunali. Lì può succedere di tutto, negli anni abbiamo raccolto prove e testimonianze: torture, percosse, ritiro dei passaporti, persone costrette a firmare dichiarazioni e documenti con la forza… Solo nelle ultime settimane, ci sono stati più di 50 casi in cui ai nostri avvocati non è stato permesso di entrare. Le motivazioni della polizia in questi casi sono protocolli anti-terrorismo… Per quanto riguarda la sicurezza dei nostri professionisti e volontari, grazie alla natura del loro lavoro e a numerosi accorgimenti che prendiamo (soprattutto in materia di sicurezza informatica e tecnologie di controllo e riconoscimento), è capitato pochissime volte che i nostri collaboratori si trovassero nei guai specificamente per via del lavoro a Ovd-Info. In compenso, molti di noi hanno vicende legali aperte legate all’attività politica…

Secondo te, cosa succederà nel prossimo futuro in Russia, in termini di società civile e proteste?

La mobilitazione per il fronte ha sconvolto tutto. Putin ha cambiato radicalmente la narrativa della guerra in Ucraina che lui stesso aveva creato: secondo la propaganda, questa era una non-guerra, un’operazione speciale. Il governo ha tradito il patto implicito per cui, in cambio di un potere arbitrario e di un forte controllo sociale, avrebbe sostanzialmente lasciato in pace i propri cittadini. Da un giorno all’altro, i cittadini che prima vivevano convinti che il regime di Putin non li avrebbe toccati si sono ritrovati al fronte, in una guerra che, paradossalmente, tuttora per il regime non esiste.

La propaganda russa è capillare, efficacissima, permea tutto. Con la nuova legge contro le fake news è diventato ancora più difficile reperire informazioni da dentro il Paese. Internet è controllato e censurato, quasi tutti i giornali indipendenti sono stati costretti a chiudere. Per reperire informazioni sul conflitto bisogna cercarle, e a volte anche solo cercare è pericoloso. Erano in molti a non sapere cosa stesse realmente succedendo in Ucraina. Ora molte persone hanno capito cosa succede, che non c’è nessuna “operazione speciale”, ma c’è una guerra sanguinosa in corso, e che a combatterla saranno loro. Le persone, spaventate per la propria incolumità, hanno capito cosa sta succedendo, oppure non sono più in grado di ignorarlo.

Le proteste di questi giorni sono in aree nuove, “non tradizionali”: non si tratta dei grandi centri urbani, che negli ultimi vent’anni sono stati teatro di proteste contro Putin e a favore della democrazia liberale, dei diritti umani, portate avanti dai ceti medi. Ora protestano aree più remote: Dagestan, Yakuzia, Buriazia. Repubbliche nazionali, aree da tempo impoverite e con scarsissime risorse, a cui il regime attinge per nutrire un esercito impreparato. è un nuovo tipo di mobilitazione, che ha orizzonti diversi e si ricollega ad altri conflitti, più antichi, anche di natura etnica, che coinvolgono le relazioni centro-periferia. Siamo davanti a un cambiamento importante nell’azione collettiva. Dobbiamo aumentare le nostre capacità, spostare il nostro sguardo, comprendere nuove lotte, creare nuove alleanze, ripartire dai margini che stanno insorgendo.

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