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Oriol Junqueras a Fanpage.it: “Il futuro della Catalogna lo decideremo solo votando”

L’intervista di Fanpage.it a Oriol Junqueras, presidente di Esquerra Republicana de Catalunya e vicepresidente del governo della Generalitat nell’autunno del 2017. Per avere celebrato il referendum, è stato condannato a 13 anni di carcere e ne ha trascorsi quattro dietro le sbarre. Lo abbiamo incontrato in vista delle elezioni catalane del 12 maggio.
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Il prossimo 12 maggio si terranno in Catalogna le elezioni autonomiche, il cui esito determinerà i rapporti di forza all’interno dell’indipendentismo e misurerà la leadership dei socialisti catalani, incidendo sul futuro della legislatura spagnola. Ne parliamo con Oriol Junqueras, presidente di Esquerra Republicana de Catalunya e vicepresidente del governo della Generalitat nell’autunno del 2017, culminato con la celebrazione del referendum, la dichiarazione d’indipendenza e il commissariamento delle istituzioni catalane da parte del governo spagnolo.

Per avere celebrato il referendum, Junqueras  fu condannato a 13 anni di carcere, trascorrendone in prigione quasi quattro, fino al provvedimento di indulto adottato dal governo spagnolo nel 2021. Junqueras è un professore di storia, parla un italiano molto corretto e da giovane ha lavorato all’Archivio del Vaticano. Lo incontriamo a Sant Vicenç dels Horts, una cittadina di 30.000 abitanti in provincia di Barcellona, dove vive e dove è stato sindaco tra il 2011 e il 2015.

Oriol Junqueras.
Oriol Junqueras.

Cosa si decide nelle elezioni catalane del 12 maggio?

Si decide quale modello di paese vogliamo da un punto di vista politico e socio-economico. Noi siamo repubblicani, vogliamo una repubblica catalana, siamo indipendentisti catalani e siamo federalisti europei.

C’è più di una competizione in queste elezioni: una nell’indipendentismo, l’altra nella sinistra e l’ultima tra indipendentisti e non indipendentisti.

Non viviamo le elezioni come una competizione, ma come un’opportunità per rendere il miglior servizio possibile alla nostra società. Vogliamo costruire una grande alleanza con la società catalana, con i sindacati, gli imprenditori, i lavoratori autonomi, il mondo dell’università. Vogliamo costruire un paese moderno e accogliente. Poi, certo, sappiamo di dovere provare a capirci con le altre forze politiche.

Ma voi siete un partito indipendentista e il punto è se ci sarà o no una maggioranza indipendentista nel parlamento

Lavoreremo perché le maggioranze siano il più possibile simili a noi, vogliamo una maggioranza indipendentista e una maggioranza progressista.

Il vostro candidato e attuale presidente della Generalitat Aragonès ha detto che se c’è una maggioranza indipendentista è possibile ricostruire anche un’unità di governo

Cerchiamo sempre di costruire le maggioranze più ampie possibili nel mondo del repubblicanesimo catalano e in quello del progressismo catalano. Purtroppo gli altri non sempre lavorano in questo senso e infatti hanno lasciato il governo (come ha fatto Junts, ndr) o non hanno voluto votare la manovra di bilancio che era molto ambiziosa (è il caso dei Comuns, ndr). Ossia, non siamo stati noi a non volere costruire alleanze con gli altri, quello che dobbiamo chiedere agli altri è se avranno un’attitudine più responsabile in futuro, così da non abbandonare il governo del paese o da votare una legge di bilancio progressista. Quindi la questione è se gli altri partiti saranno capaci di vincere i propri interessi e accordarsi con noi.

Potreste ritrovarvi anche in una maggioranza progressista ma non indipendentista.

Noi vogliamo vincere le elezioni, se possibile con maggioranza assoluta,  siamo convinti che le nostre proposte siano le migliori per la nostra società. La questione non è se siamo indipendentisti o siamo progressisti: noi siamo indipendentisti perché siamo progressisti e siamo progressisti perché siamo indipendentisti. La questione perciò non è scegliere un blocco o l’altro, ma costruire un progetto nazionale, sociale ed economico che sia utile ai nostri cittadini e cittadine.

Perché un indipendentista dovrebbe votare Esquerra piuttosto che Junts o la Cup?

Perché noi siamo più coscienti che l’unico modo per vincere è essere in tanti e vogliamo costruire un progetto politico che sia accogliente per la maggior parte della nostra società: il nostro è un progetto di carattere repubblicano profondamente democratico. E’ meglio votare noi, perché l’unico percorso possibile per fare l’indipendenza della Catalogna e costruire una nuova repubblica è essere in questa grande maggioranza che vogliamo costruire. Purtroppo, gli altri preferiscono essere in meno e non vincere.

Questa volta nel campo indipendentista c’è una nuova lista di estrema destra, che ne pensa?

Ci sono sempre altre liste che non ottengono rappresentanza e spero che anche questa volta non entri nessuno in parlamento che non abbia la volontà di costruire una società più giusta. L’indipendentismo catalano è sempre stato profondamente democratico, repubblicano, qualunque soggetto che si riferisca all’estrema destra si situa ai nostri antipodi.

Perché emerge un indipendentismo di estrema destra?

Per la stessa ragione per cui c’è l’estrema destra in Italia, in Spagna, in tutta Europa. Finora noi ci eravamo salvati da questo fenomeno e speriamo che non abbia rappresentanza parlamentare.

Voi dite che Puigdemont parla solo di se stesso, che intendete?

Abbiamo un record di esportazioni in Catalogna, di investimenti stranieri, di occupazione, questo è il modello che noi di Esquerra Republicana vogliamo e abbiamo costruito. Noi vogliamo buoni salari, buone scuole e buoni servizi sanitari: abbiamo un progetto di paese, di economia prospera, questo è il nostro modello.

Il candidato socialista Illa propone un finanziamento giusto e più autogoverno: è sufficiente?

Hanno avuto cinquant’anni per fare quello che ora dicono che faranno e che non hanno fatto mai, non c’è nessuna ragione per credere che adesso sarà diverso. Comunque, un modello di più autogoverno non è sufficiente. Per noi è sufficiente quello che è buono per la nostra società, ossia che la nostra società possa decidere sul futuro del proprio paese. L’unica cosa buona per noi è una repubblica, non possiamo essere soddisfatti con niente di meno.

State riproponendo il patto fiscale, ci spiega?

Vogliamo che la nostra società possa decidere con il voto, vogliamo un referendum per fare la repubblica catalana. E siamo convinti che è meglio avere i migliori ospedali possibili e le migliori scuole possibili. Vogliamo essere un’economia ancora più aperta. Purtroppo, la Spagna non vuole questo e perciò la dotazione catalana di risorse pro-capite per la scuola e le infrastrutture è insufficiente: riceviamo molto di meno della media spagnola e questo non è giusto, dobbiamo ricevere lo stesso che ricevono gli altri.

La vostra proposta mantiene un elemento di solidarietà?

Siamo sempre stati solidali, la solidarietà ha bisogno che gli altri siano solidali con noi come noi siamo solidali con loro. I nostri cittadini e cittadine non devono ricevere meno risorse della media spagnola.

Ma quando volete contrattare il tema del finanziamento col governo spagnolo, non vi muovete dentro una logica tutta “autonomista”?

Per noi questo rappresenta un ulteriore passo per decidere il nostro futuro. Non c’è alcuna ragione per cui noi indipendentisti non dovremmo volere i migliori ospedali possibili, al contrario noi li vogliamo e nessuno ci convincerà che le due cose siano incompatibili.

Avete applicato la strategia del confronto col governo spagnolo, siete soddisfatti dei risultati raggiunti?

Non saremo mai soddisfatti fino a che i catalani non potranno decidere con il voto il loro futuro. Ma siamo contenti per avere contribuito a un’economia che cresce di più della media europea.

Grazie a voi ci sono stati gli indulti nel 2021 e assieme a Junts avete ora ottenuto l’amnistia.

Junts ha detto per anni che negoziare col governo spagnolo era un tradimento, poi quando ha potuto negoziare qualcosa ha fatto lo stesso nostro percorso. Noi siamo fieri di avere realizzato il dialogo, il negoziato, l’accordo senza dovere rinunciare a nulla. Perché è meglio che non ci siano più prigionieri politici, che ci sia un’amnistia che faccia giustizia. Non abbiamo fatto nulla per meritarci la prigione, abbiamo fatto un referendum che non è reato e perciò lavoriamo perché ci sia giustizia.

Avete saputo vendere questi risultati?

Probabilmente tutto si può vendere meglio, noi però non siamo qui per vendere delle cose ma per ottenere dei risultati. Non è una questione di marketing, ma di convinzione, di etica. Certo, sappiamo che questo non è di moda, ma noi abbiamo vinto le elezioni con questo impegno etico e vogliamo essere coerenti.

Considerate finita la repressione nei confronti dell’indipendentismo?

No, non è finita. Io non posso presentarmi alle elezioni, non posso fare il professore all’università perché potrei “contagiare” di spirito ribelle gli studenti universitari. La repressione non è finita, ci sono tanti dei nostri compagni e compagne che sono in esilio, o che stanno aspettando un processo accusati di qualcosa che non è reato.

L’amnistia servirà in questo senso?

L’amnistia dovrebbe servire, ma sappiamo anche che i giudici spagnoli non rispettano la volontà del potere legislativo e la loro interpretazione della legge si muove contro lo spirito del diritto. Condannare a 13 anni di carcere qualcuno che non ha commesso alcun reato contraddice lo spirito della legge.

Il movimento Tsunami Democràtic è accusato di terrorismo dai giudici, che ne pensa?

Manifestare in piazza non è terrorismo, è un’interpretazione chiaramente abusiva, in nessun paese europeo queste azioni sarebbero considerate terrorismo. Il problema della Spagna è che una parte del sistema giudiziario, il suo vertice, è erede diretta della dittatura franchista e ha deciso di non dare compimento alle leggi.

Cosa manca per la soluzione del conflitto catalano?

Manca la democrazia. Che lo Stato spagnolo accetti che il futuro di una società si decide votando.

Pensate che sarà possibile concordare con lo Stato un referendum?

Sì, è solo una questione di forza democratica.

È più facile farlo coi socialisti o si fa con qualunque governo?

Si deve poter fare con qualunque governo e con qualunque partito. Noi dobbiamo difendere la democrazia sempre.

Cosa avete sbagliato nell’autunno del 2017?

Probabilmente non essere stati ancora più forti in termini democratici, non avere avuto più sostegno di quello che già avevamo. Noi avevamo la maggioranza democratica, la maggioranza parlamentare e lo Stato decise allora di utilizzare la forza. Forse noi avevamo bisogno di più democrazia, di più forza democratica per contrastare l’uso della forza da parte dello Stato.

Siete stati sconfitti allora?

No, abbiamo vinto in termini democratici. L’uso della forza ha impedito che la volontà democratica si convertisse in una repubblica.

Certo, finire in carcere o in esilio non è proprio un segno di vittoria…

Ma tanti altri prima di noi sono finiti in carcere e il movimento democratico che rappresentavano ha vinto. In India, in Irlanda, negli Stati Uniti o in tante altre nazioni del mondo che sono diventate indipendenti, la perdita di libertà per alcune persone è stata parte del percorso per ottenere la libertà collettiva. Personalmente, sono orgoglioso di essere stato in carcere per difendere la democrazia.

A cosa condizionate in futuro il vostro appoggio a Sánchez?

Il governo spagnolo deve capire che la società catalana ha gli stessi diritti che ha qualunque altra società europea. Da un punto di vista politico ha diritto di votare per decidere il proprio futuro. Da un punto di vista economico abbiamo diritto ad avere gli stessi strumenti che hanno tutti gli altri cittadini perché noi vogliamo delle politiche sociali progressiste per la nostra società.

Volete un referendum in questa legislatura?

Noi vogliamo che la democrazia vinca sempre. Se abbiamo la forza democratica necessaria vogliamo il referendum. Ma non è un problema di tempi, è un problema di forza democratica e il governo spagnolo deve rispettare questa volontà.

A giugno ci saranno le elezioni europee, cosa si aspetta?

In Europa speriamo che ci sia una maggioranza progressista e che la destra europea non cada nella tentazione di accordarsi con l’estrema destra che sembra crescerà alle prossime elezioni. Come tutti gli europei siamo preoccupati per la guerra in Ucraina e per la situazione di violenza in Palestina. A Gaza vi è un abuso della violenza da parte di uno Stato contro cittadini che, per lo più, non hanno alcuna possibilità di evitarla.

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