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Guerra in Ucraina

Condannato dissidente russo Kara-Murza, l’avvocato a Fanpage: “Sentenza è come una condanna a morte”

“La sentenza è la vendetta di un regime di criminali senza vergogna”, dice a Fanpage.it Vadim Prokhorov, legale del dissidente russo condannato a 25 anni per “alto tradimento” e altre accuse. “Le condizioni di salute del mio assistito, avvelenato due volte dai cekisti di Putin, sono incompatibili con il regime carcerario russo”. Tutti i paradossi e i conflitti d’interesse in un processo “senza giustizia” degno di Kafka.
Intervista a Vadim Prokhorov
Legale del dissidente russo Vladimir Kara-Murza condannato a 25 anni per “alto tradimento” e altre accuse
A cura di Riccardo Amati
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“Il regime russo è una cleptocrazia criminale senza vergogna, e questa è la sua vendetta”, dice l’avvocato. “Viste le condizioni di salute di Vladimir, anche una sentenza di tre anni sarebbe stata di fatto una condanna a morte”. Per Vladimir Kara-Murza i giudici hanno deciso di dare il massimo, accettando la pena richiesta dalla procura: 25 anni per “alto tradimento” e altre accuse relative alle critiche espresse in pubblico da Kara-Murza all’invasione dell’Ucraina. Tra queste, il consueto “discredito delle forze armate” ex articolo 207.3 del codice penale, divenuto l’arma più usata dal Cremlino per sbattere in galera gli oppositori.

Il processo si è svolto a porte chiuse in un clima surreale e in barba a conflitti di interesse impensabili in sistemi giudiziari diversi da quello della Russia di Putin. Il presidente della corte di tre membri, il giudice Sergei Podoprigorov è sottoposto al regime di sanzioni previste dal Magnitsky Act, la legge statunitense che sanziona le violazioni dei diritti umani avvenute in altri Stati, strenuamente sostenuta da Kara-Murza dopo la morte in un carcere russo dell’avvocato Sergei Magnitsky, avvenuta nel 2009.

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La legge permette agli Usa e agli altri Stati che l’hanno adottata di congelare i beni dei sanzionati e impedirne l’ingresso sul proprio territorio. L’altro sostenitore russo del Magnitsky Act, il leader dell’opposizione Boris Nemtsov, amico fraterno di Kara-Murza, è stato ucciso nel 2015 a colpi di arma da fuoco a 50 metri dal Cremlino su ordine di mandanti per i quali la magistratura russa non ha mai aperto una vera indagine.

Il giudice Podoprigorov è lo stesso che ordinò di rinchiudere Magnitsky nel famigerato carcere della Butyrka, dove il detenuto morì dopo esser stato sottoposto a torture, secondo quanto emerso dalle indagini di diverse organizzazioni per i diritti umani. Ulteriore paradosso: Podoprigorov, mentre giudicava Kara-Murza, ha inoltrato formale richiesta al governo Usa di essere escluso dalla lista nera del Magnitsky Act.

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La commedia dell’assurdo, con tutte le sue tragiche conseguenze, non si ferma qui. L’accusatore “in capo” di Kara-Murza, il numero uno del Comitato investigativo della Russia — che si occupa dei casi giudiziari più rilevanti — è un altro personaggio sanzionato dal Magnitsky Act. E indovinate un po’ chi è il capo dei secondini che oggi sorvegliano il condannato nelle sue prigioni? Avete indovinato: un altro funzionario sottoposto a sanzioni ex legge Magnitsky, Dmitry Komnov. Che poi era anche il capo della guardie carcerarie della Butyrka quando ci rimise la pelle lo stesso Magnitsky.

Non stupisce quindi il pessimismo di Vadim Prokhorov, avvocato di Vladimir Kara-Murza. Non sperava in niente di meno, per il suo assistito. Che nel suo discorso finale davanti ai giudici, prima del verdetto e astenendosi dal chiedere sconti di pena, aveva già chiarito: “questo è il prezzo da pagare se si alza la testa sotto il regime di Putin”. Aggiungendo, in poche righe che probabilmente passeranno alla Storia: “Verrà il giorno in cui le nubi sopra al nostro paese si dissiperanno, quando il nero sarà chiamato nero e il bianco bianco, quando si riconoscerà ufficialmente che due più due fa quattro. E una guerra sarà chiamata guerra”.

“La Russia sarà libera”, ha detto Kara-Murza a testa alta dopo il verdetto. Arrivato il giorno dopo la più grande festività russa. Per la Pasqua ortodossa gli è stato di nuovo impedito di parlare al telefono con i tre figli, ancora piccoli o adolescenti — ha reso noto la moglie Evgenia. “Per non diffondere segreti di Stato”, la spiegazione. Un giorno due più due farà quattro, sostiene Vladimir Kara-Murza.

L’avvocato Prokhorov farà appello. Ma l’unica speranza la ripone in una campagna internazionale in favore del suo cliente. O nella caduta del regime. Il legale, che fino a pochi gironi fa era in Russia, si è rifugiato altrove. “Le cose stavano davvero diventando troppo pericolose per me, in patria”, dice a Fanpage.it, che lo ha raggiunto con una chiamata su Telegram. “Non so se potrò mai tornare. Spero di sì”.

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Avvocato Prokhorov, ma è mai possibile che proprio non ci sia stata giustizia, in questo processo? La Russia ha comunque un ordinamento, una costituzione. Non è il regno degli orchi.

Francamente, è tutto molto chiaro. Vladimir Kara-Murza è uno dei principali nemici del regime E per lui è stata predisposta una pena ancor più alta rispetto rispetto a quelle comminate ad altri oppositori. È un autorevole politico dell’opposizione, un famoso giornalista, con una brillante istruzione, laureato a Cambridge, poliglotta. Quindi preoccupa il suo nemico politico: il regime di Putin. E poi, il maggior successo politico di Vladimir è stato l’approvazione, da lui avocata e sostenuta, del Magnitsky Act. I funzionari e gli uomini del regine colpiti dal Magnitsky Act se la sono legata al dito. Quindi, una delle maggiori ragioni dell’attacco contro di lui da parte del regime di Putin é il suo ruolo nell’entrata in vigore del Magnitsky Act.

Che vuol dire? Una specie di vendetta?

È esattamente questo: una vendetta da parte di un’organizzazione criminale che si è fatta Stato, o pretende di essere Stato. Mark Galeotti ha scritto un ottimo libro su questo, sulla derivazione criminale dell’attuale potere politico in Russia (The Vory, Yale, 2018, ndr). Una vendetta contro il mio assistito per il Magnitsky Act e per l’aperta critica del regime russo e dei suoi stupidi passi, come l’aggressione all’Ucraina.

Ma il Magnitsky Act è in primo piano, secondo lei. Ho capito bene?

È surreale che come presidente della Corte giudicante è stato scelto un giudice colpito dalle sanzioni previste dal Magnitsky Act. Un caso di conflitto di interessi senza vergogna. Tutte le nostre proteste in merito sono state rigettate. Una situazione terribile. Che non si verificherebbe in nessuna altro Paese al mondo.

Cose le dice questo del regime russo?

Mi dice che è un regime criminale, una sfacciata plutocrazia. Una delle prove è che si vendicano dei loro nemici, come farebbe una qualsiasi associazione criminale. E lo fanno senza neanche cercar di nasconderlo, senza alcuna vergogna. Non sono mica timidi. La scelta del presidente della corte lo dimostra. Che non si vergognino di niente lo dice poi anche il fatto che il giudice in questione ha addirittura avuto la faccia tosta di inoltrare una richiesta formale al governo statunitense affinché cancellasse la sua inclusione nella lista del Magnitsky Act.

E a proposito dell’accusa di “alto tradimento”, per aver “a lungo collaborato con uno Stato Nato”, quale era la posizione della difesa?

Ma Vladimir ha solo parlato pubblicamente all’estero su invito di istituzioni pubbliche e private, e criticato Putin. L’accusa di alto tradimento non sussiste. È un ritorno all’Unione Sovietica. E non a quella di Brezhnev o di Andropov ma proprio a quella di Stalin. Quando potevi finire sotto accusa e diventare un prigioniero dello Stato per qualsiasi tipo di attività. Senza alcun motivo legale. Tipiche dell era staliniana, anche all’epoca di Brezhnev qualche esempio di accusa per alto tradimento ci fu. Il caso più eclatante, quello di Alexander Solzhenitsyn, nel 1974: accusato di alto tradimento, appunto, lo scrittore fu costretto all’esilio. Un giorno dopo la messa in stato d’accusa. Per sua fortuna. E nel 1978, fu accusato di alto tradimento Natan Sharansky, che dopo una condanna a 13 anni di lavori forzati fu liberato da Gorbachev in seguito a uno scambio di prigionieri con l’Occidente sul Glienicker Brücke, il “ponte delle spie” a Berlino. Anche se era solo un dissidente e non certo una spia. Posso aggiungere che nel 2012 l’articolo 275 del codice penale russo, che prevede il reato di “altro tradimento” è stato emendato e reso radicalmente più severo.

Ivan Safronov, il giornalista condannato a 22 anni nello scorso settembre, ne sa qualcosa.

In pratica ogni contatto con stranieri, se il governo e quindi i nostri magistrati vogliono, può diventare “alto tradimento”.

Qual è la sua speranza dopo il verdetto?

Non ci sono assoluzioni nel sistema penale russo. Solo nello 0,3% dei casi un imputato viene assolto. Tre volte su mille. È davvero difficile da spiegare e capire, ma questa è la situazione. Le sentenze sono politiche. La giustizia non c’entra. Il problema per Vladimir è che la sua salute è compromessa e una lunga sentenza può ucciderlo. Comunque faremo appello. Ma so che lo perderemo. Il sistema russo non lascia speranze. Quindi, quello che dovremo fare è una campagna internazionale per la liberazione di Vladimir. Naturalmente, ogni cambiamento nel regime, o la caduta Putin. potrebbe portare al rilascio dei prigionieri politici.

Pensa che il regime di Putin durerà altri venticinque anni?

Credo di no, ma il problema è che per Vladimir, con la sua salute, anche solo tre anni in una prigione russa rischiano di essere fatali.

Come sta fisicamente Vladimir Kara-Murza?

La sua salute è davvero precaria. È stato avvelenato due volte dai cèkisti di Putin, prima nel 2015 e poi nel 2017. Si salvò per il rotto della cuffia. Risentiva delle conseguenze degli avvelenamenti anche quando era in libertà. Il regime carcerario russo aggrava le sue condizioni. Ogni giorno di più.

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