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Guerra in Ucraina

Beretta a Fanpage: “Perché l’invio di armi all’Ucraina non migliora le cose, e può solo peggiorarle”

Giorgio Beretta: “L’invio di armi all’Ucraina è una decisione totalmente sbagliata perché configura una situazione di belligeranza da parte dei paesi dell’Unione Europea”.
Intervista a Giorgio Beretta
analista dell'Opal (l’Osservatorio permanente sulle armi leggere).
A cura di Davide Falcioni
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"La prospettiva di un conflitto nucleare, una volta impensabile, è ora tornata nel regno delle possibilità". Parola di Antonio Guterres, segretario generale dell'ONU, che nei giorni scorsi ha messo in guardia dal più catastrofico degli scenari, quello in cui la guerra in Ucraina non solo tracimi in una terza guerra mondiale, ma veda anche l'impiego massiccio di armi nucleari da parte dei Paesi che ne sono in possesso. La Russia, non a caso, ha più volte evocato questa possibilità negli ultimi giorni. Un'ipotesi del genere avrebbe conseguenze catastrofiche per centinaia di milioni di persone eppure paradossalmente da un mese a questa parte le posizioni della nonviolenza e del pacifismo, determinate a proporre soluzioni diplomatiche anziché militari, sono state sovente derise dai leader politici europei. L'UE, e i suoi Stati membri, hanno infatti deciso di abdicare sul nascere al loro ruolo di mediatori inviando aiuti militari alla resistenza armata ucraina. Ma quali sono le conseguenze di questa scelta? E quali sarebbero state le alternative. Ne ha parlato a Fanpage.it Giorgio Beretta, analista dell'Opal (l’Osservatorio permanente sulle armi leggere).

Giorgio Beretta
Giorgio Beretta

Due giorni fa il Consiglio Europeo ha approvato la seconda tranche di 500 milioni di aiuti militari all'Ucraina. Perché pensate sia una decisione sbagliata?
È una decisione totalmente sbagliata perché configura una situazione di belligeranza da parte dei paesi dell'Unione Europea nei confronti della Russia. Sappiamo bene che molti giuristi internazionali stanno dibattendo su questo aspetto e che le opinioni in merito sono variegate, tuttavia riteniamo che l'invio di armamenti costituisca, di fatto, una forma di partecipazione alla guerra, seppur non esplicita. L'UE ha deciso di essere parte in causa nel conflitto, mentre noi sosteniamo che avrebbe dovuto tenere una posizione di neutralità attiva conforme alla vocazione storica dell'Unione Europea e dell'Italia stessa: ricordo che la nostra Costituzione prevede non solo il "ripudio della guerra" come strumento di offesa ma anche "come mezzo di risoluzione di controversie internazionali".

L'invio di armi ha finora prodotto dei risultati positivi per la resistenza armata ucraina?
Direi di no. L'invio di armi non ha portato a un miglioramento situazione sul campo bensì un'escalation della violenza: non a caso ora assistiamo a bombardamenti intensivi anche su obiettivi civili da parte delle forze armate russe e questo accade anche a seguito della maggior resistenza armata. E penso sia totalmente fuorviante e al limite del cinismo affermare – come purtroppo fanno molti commentatori – che le armi, offrendo una maggior capacità di resistenza, indurranno la Russia ad accettare le trattative: il prolungamento del conflitto non crea le condizioni per migliori trattative, ma porta solo a maggiore violenza e più vittime.

Che tipologia di armi stiamo inviando all’Ucraina?
Sebbene il governo abbia spiegato che si tratta di sistemi militari di tipo difensivo la lista effettiva è stata secretata e questo non aiuta alla distensione delle tensioni. C'è poi un altro aspetto che anche la gran parte degli analisti sta continuando a sottovalutare: a causa di questa escalation della violenza non si può escludere l'impiego di armi nucleari tattiche ed è questo lo scenario che occorre tenere molto chiaramente presente. Attenzione, non si tratta di un timore infondato: nei giorni scorsi lo stesso Segretario Generale dell'ONU Guterres ha dichiarato che "la prospettiva di un conflitto nucleare, una volta impensabile, è ora tornata nel regno delle possibilità". Questa ipotesi va scongiurata attraverso gli strumenti della diplomazia e della nonviolenza. L'Europa che invia armi, invece, sta decidendo di non esercitare un ruolo diplomatico attivo bensì di partecipare, seppur in modo indiretto, al conflitto.

In mano a chi finiscono le armi che stiamo inviando?
Non è chiaro, essendo stato tutto secretato non si hanno notizie certe. Quello che si è visto è che una parte di queste armi, ad esempio i fucili MG42/59 Beretta, sono finiti in mano anche al Battaglione neonazista Azov e, se questo è vero, andrebbe urgentemente chiarito in Parlamento. Qualche giorno fa, il  Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha la delega per la sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli, durante una trasmissione televisiva ha candidamente dichiarato di essere consapevole del rischio che le armi potrebbero finire in mani indesiderate, ma che questo “è un ragionamento che faremo dopo”. Beh, non è un bel modo di affrontare il problema. Quando si inviano armi di questo tipo occorrono garanzie non solo sul destinatario, ma anche sull'utilizzatore finale e oggi queste garanzie non ci sono. Tra l'altro secondo alcune fonti il trasporto di questi aiuti militari è stato affidato a gruppi militari privati, i cosiddetti contractors, il che rende il tutto ancor più problematico.

L’Italia è uno dei principali esportatori di armi al mondo. Quanto conta, nella decisione dell’Italia e di Bruxelles di sostenere la resistenza armata ucraina, la lobby dell’industria bellica?
Dal punto di vista economico l'invio di armi all'Ucraina non ha un grande impatto, ma ce l’ha dal punto di vista ideologico e politico: si rafforza l’idea che si possa contrastare un’aggressione solo ed esclusivamente con la forza. Non credo che in questo caso specifico ci sia stata una particolare pressione da parte della lobby delle armi, perché si tratta prevalentemente di armi vecchie e tecnologie belliche non italiane.

Da tempo si parla dell'istituzione di un esercito europeo; molti sostengono che la sua creazione renderà l’Europa più autonoma da Nato e USA. È vero?
Noi crediamo che occorra ripensare totalmente il modello di difesa europeo e che ciò vada fatto portando a termine l’esperienza della Nato. Pensiamo vada costruito un modello alternativo, sostanzialmente difensivo e calibrato sulle effettive esigenza di protezione e sicurezza, che in nessun modo si presenti come strumento offensivo e che includa, a pieno titolo, anche forme di difesa civile non armata e non violenta. Occorre recuperare la proposta di Alexander Langer di corpi civili di pace europei. Insomma, crediamo che vada ripensata completamente tutta l'architettura difensiva dell'Unione europea anche razionalizzando lo strumento militare, ad esempio valutando di quanti caccia intercettori c'è veramente bisogno, di quanti carri armati, eccetera. Oggi ognuno fa per sé: la Francia si è dotata di jet multiruolo Dassault Rafale, l'Italia degli Eurofighter e F-35 ed è parte del progetto Tempest che è un cacciabombardiere che dovrebbe entrare in servizio dal 2035…

Insomma, manca un coordinamento europeo.
Esatto. E come aspetto correlato vi è quello delle industrie belliche: oggi le aziende europee non calibrano la produzione su reali esigenze difensive dei rispettivi Paesi bensì sulla capacità di competere sui mercati esteri, dunque sulla capacità di esportazione. Il 60% dell'export bellico dei Paesi europei  è verso stati non alleati  situati nella zona con le maggiori tensione del mondo, ovvero il cosiddetto "Mediterraneo allargato", dal Nord Africa al Golfo Persico fino al Mar Caspio e Mar Nero, includendo Paesi come Turkmenistan, Kazakistan e anche l'Ucraina. Quindi siamo al paradosso: l'industria militare che dovrebbe servire alla nostra difesa e sicurezza vende armi nelle zone di maggior tensione alimentando tensioni ed insicurezza. Per questo chiediamo di ripensare l'industria bellica europea modulandola sulle reali esigenze difensive e non sulla mera competitività.

Torniamo alla guerra in Ucraina. Quali sono le alternative praticabili per arrivare a una de-escalation?
Pensiamo che l'Europa debba in questo caso applicare neutralità attiva: ciò significa condannare esplicitamente l'aggressione russa garantendo sostegno e solidarietà alle vittime ma anche mettere in campo tutte le capacità diplomatiche con l'unico scopo di favorire una de-escalation militare e in questo l'invio di truppe aggiuntive Nato ai propri confini orientali non aiuta. Proprio questa crisi fa comprendere come lo strumento militare sia inadeguato a intervenire per prevenire e fermare un'aggressione: per questo vanno subito istituire forme di difesa civile non armata e non violenta. Se ci fossero state, l'UE avrebbe potuto schierare 100mila uomini e donne disarmati ai confini ucraini, mostrando così la sua forza nonviolenta e non armata per provare a fermare l’invasione sul nascere senza fomentare le violenze. Invece ha scelto di inviare armi, rinunciando del tutto a qualsiasi ruolo di mediazione. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

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