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Opinioni

Novità poco incoraggianti dalla “manovrina” fiscale di primavera

In attesa della conversione in legge della “manovrina” fiscale primaverile, vale la pena ricordare i punti più critici, e criticati, del provvedimento…
A cura di Luca Spoldi
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Da qualche tempo sembra essere calato il silenzio sulla recente “manovrina” fiscale di primavera varata dal governo italiano col Dl 23 aprile 2017, n. 50 per cercare di recuperare i 3,4 miliardi chiesti già a inizio anno dalla Commissione Ue e sulle novità da questa introdotte in materia fiscale. Lo studio legale Dla Piper ha tuttavia acceso un faro, commentando alcuni dei punti più critici che vale la pena di ricordare.

Il primo è quello relativo al diritto alla detrazione dell’Iva (Imposta sul valore aggiunto, ossia relativa ai beni e ai servizi acquistati o importati), che ora potrà essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto (ossia l’anno in cui l’Iva è divenuta esigibile) e non più, come finora, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo.

Un dimezzamento dei termini entro cui i titolari di partita Iva potranno detrarre l’Iva a credito sulle fatture di acquisto che rischia di pesare su tali soggetti dal seguente periodo d’imposta nel caso di crediti Iva non detratti secondo le nuove scadenze, visto che l’Agenzia delle entrate, nella persona della direttrice Rossella Orlandi, ha precisato che la norma trova applicazione già per le fatture emesse e ricevute in questo 2017.

Non solo: la “manovrina” ha esteso il meccanismo di fatturazione e versamento dell’Iva da parte del cessionario o committente noto come “split payment tra gli altri anche ai professionisti, mentre il limite di compensazione libera dei crediti fiscali è stato ridotto dagli attuali 15.000 a  soli 5.000 euro.

Che dire poi della nuove regole per i contratti di locazione di immobili a uso abitativo di durata non superiore a trenta giorni, stipulati da persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa direttamente o tramite intermediari immobiliari, anche attraverso portali online, più prosaicamente note come “Airbnb tax”?

Sulla carta i locatori potranno esercitare l’opzione per la cedolare secca del 21% sui proventi percepiti, mentre gli intermediari immobiliari saranno tenuti a comunicare all’Agenzia delle entrate la stipulazione di ogni nuovo contratto e ad applicare una ritenuta alla fonte del 21% sui proventi corrisposti dal conduttore.

L’obiettivo è quello di combattere l’evasione, facendo decollare il gettito, attualmente inferiore ai 100 milioni di euro l’anno, legato agli affitti turistici con cedolare secca, in pratica non è ancora chiaro come si potrà materialmente raccogliere l’imposta visto che proprio i vari Airbnb, Booking.com e Homeaway hanno già fatto sapere che i loro siti non potranno svolgere in alcun modo il ruolo di sostituto di imposta, ma solo di “agente contabile”, visto che nessuna di queste piattaforme ha sede fiscale in Italia.

A proposito di web: tra gli emendamenti proposti che potrebbero essere approvati in sede di conversione in legge del decreto, ricordano gli esperti di Dla Piper, spiccano una serie di disposizioni volte al contrasto dei fenomeni di sottrazione della base imponibile derivanti dall’attività “immateriale” posta in essere dalle web companies operanti nel contesto della web economy. In particolare, l’esame delle competenti commissioni parlamentari verte su una nuova fattispecie di stabile organizzazione occulta “digitale”.

In questo caso il bersaglio è grosso visto che le sole principali compagnie web americane detengono fuori dagli Stati Uniti oltre 2.500 miliardi di dollari di liquidità. Un “tesoretto” che fa gola a molti, a partire dagli stessi Stati Uniti, tanto che non a caso Donald Trump nella sua bozza di riforma fiscale ha previsto un abbattimento dal 35% al 15% dell’imposta sugli utili societari e la possibilità per le imprese di rimpatriare tali somme pagando una sola volta la tassa sull’operazione.

Così non sorprende che anche il G7 tenutosi a Bari la scorsa settimana abbia convenuto di chiedere all’Ocse di elaborare proposte concrete in merito ad una futura tassazione equa e coordinata dell’economia digitale da applicare in tutte le grandi economie mondiali. L’idea sarebbe quella di spartire la torta, anche se resta da capire come.

L’Italia propone di basarsi sul traffico dati, introducendo una sorta di “contatore digitale”, ma come ha confermato il ministro italiano dell’Economia e Finanze, Pier Carlo Padoan, ci sono diverse proposte nazionali e difficilmente si troverà una soluzione prima del prossimo anno, nel frattempo si cercherà di capire quanto sia realizzabile nel concreto una prima versione italiana, visto che il concetto stesso di “stabile organizzazione” appare ormai superato nel contesto della web economy e l’applicazione di una web tax solo da parte italiana finirebbe col rendere il nostro paese ancora meno attraente agli occhi dei grandi investitori mondiali.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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